Inattualità
Massimo Rizzante presenta Le trasformazioni dell’uomo di Lewis Mumford, un libro che ci consiglia di leggere perché, pur essendo del 1956, ci sembrerà più nuovo dell’ultima versione di Apple. “Non abbiamo imparato nulla dall’esperienza storica finché non abbiamo imparato che l’uomo non vive facendo ricorso alla sola intelligenza”. Parola di Lewis Mumford.
Subito era nata una riflessione su come un oggetto, pensato, fabbricato, utilizzato in modo coerente con la cultura che lo ha prodotto, quando sia separato dal suo ambiente e trasportato altrove, presso una società lontana che ne stravolge la funzione, non perda la sua identità ma, in una sorta di rite de passage, acquisisca un nuovo status a seconda dello sguardo che ad esso si rivolge: di objet témoin della cultura che lo ha prodotto, per l’antropologo; di oggetto artistico, per l’esperto d’arte; di oggetto di analisi, per lo storico; di oggetto da collezione per il collezionista; di curiosità, per il visitatore di passaggio, così che tutte le sue dimensioni, funzionali, estetiche, simboliche vengono alla luce.
“Vedo il viso del Mahatma Gandhi e di tanti altri maestri di umanità (forse anche Socrate, Gesù Cristo, se i nomi non vi sembrano troppo grandi). Anche di loro si diceva che avevano violato la legge. Avevano violato la legge vecchia perché ne nascesse una nuova, migliore. Qualche volta è necessario”.
All’interno del più rotondo anniversario della nascita del Partito comunista d’Italia (gennaio 1921), quest’anno cade anche quello di uno dei suoi fondatori, Antonio Gramsci, nato il 22 gennaio 1891. Una delle porte più agevoli per entrare nella biografia, se non nell’articolata opera, del pensatore di Ales, restano Le lettere dal carcere.
La prima volta che ho visto il Maradona reale è stato nella semifinale dei mondiali di Italia ’90, Italia contro Argentina: ed è stato, per me giovine italico, un brivido di terrore: contro chi c’eravamo messi? Contro di noi giocava non un uomo ma un grido di guerra, non un essere in carne ed ossa ma una parola magica. Avevamo le stesse possibilità di Marsia contro Apollo. E già il terrore rivelava la sua segreta sorellanza con l’estasi.
Il flauto stridulo di Per un pugno di dollari, semiscala discendente che è l’esatta versione speculare dello zufolo con cui Papageno risponde al richiamo di Tamino nel Zauberflöte, e come quel flauto ogni segmento tematico che Morricone sbriciola lungo i “suoi” film, è come una lama invisibile il cui scatto libera immediatamente i personaggi di quelle lardosità che usiamo chiamare “psicologia”, restituendo loro la grazia terribile della marionetta.
Ho sempre sostenuto che la mia città doveva sprovincializzarsi; beh ora abbiamo fornito al mondo l’immagine iconica che probabilmente resterà a simboleggiare questi mesi: la processione di camion dell’esercito, carichi di bare, che attraversano le strade notturne, emettendo un rumore sordo e persistente.
Quello che non s’è mai visto prima è il mondo degli oppressori, che è il nostro e vostro mondo, agghindarsi a vittima con slogan così nauseanti. Andate nelle zone del pianeta dove ogni anno ci sono milioni di morti di ogni età per quanto di peggio si possa immaginare tra inedia, malattie e guerre, e provate un po’ a dire, “Certo che questa polmonite… una cosa mai vista prima, eh?”.
Le riviste si sono sempre nutrite della discussione interna. Visto che gli interventi di Angelo Angera sul progetto di una serie tv tratta dal romanzo di David Foster Wallace hanno destato molta attenzione, a testimonianza del dialogo interno abbiamo deciso di pubblicare un contributo di Walter Nardon.
L’infiltrato
Calvino americano
“Sono qui per rendere onore a Italo Calvino. È morto trent’anni fa. Ho come la sensazione che in Italia sia stato prima postmodernizzato, accusato cioè con frivolezza di tutte le derive di quella stagione che ormai nessuno ricorda più, poi canonizzato, quindi messo nel dimenticatoio dove stanno tutti i morti”. Massimo Rizzante ricorda Italo Calvino a trent’anni dalla morte.
Leopardi. Quanta luce intorno a questa figura! Chi è mai? Oh il Manzoni. Manzoni. Leopardi! Quanto mi piace rivederti. Non me l’aspettavo. Leopardi. Perché mi credevi nell’inferno, eh? Manzoni. Che inferno e paradiso. Sono morto da otto giorni, e non so dove io sono e che sono divenuto. Vado scorrendo per l’aria, e non trovo [continua]