“Questo articolo sarebbe dovuto uscire, in una versione appena diversa, il 1° gennaio scorso. Il giorno prima, nel pomeriggio, Marco Olivotto mi comunicò la morte, avvenuta da poche ore, di Paolo Benvegnù. Chiamai Enrico De Vivo e fermai la pubblicazione. Fu un turbamento grande, non ero pronto a unirmi al coro mediatico del lutto. Il San Silvestro con Marco, quella sera, fu un veglione funebre. Due giorni dopo salutammo Paolo nella camera ardente a Brescia, ma a me ci volle un po’ per tornare ad ascoltarlo, poi ci ho messo cinque mesi per riprendere in mano questo testo. Mi hanno incoraggiato amici con cui ho da poco condiviso un concerto-tributo per questo artista senza eguali, alto negli esiti e capace di muovere e instaurare affetti ovunque arrivasse. L’impressione, in simili spettacoli, che Benvegnù sia vivo, vivissimo in tutti quelli che lo ascoltano e l’hanno amato, mi ha indotto a lasciare il racconto così com’era: al presente, come se Paolo fosse davvero ancora qui”. S. Z.

Da qualche giorno in libreria, “La fabbrica dell’uomo occidentale”, seguito da “L’uomo come assassino”, è un nuovo libro curato da Massimo Rizzante e dedicato ai testi di Pierre Legendre, giurista iconoclasta, psicoanalsita inclassificabile, autore di un’opera straordinaria, “che non ha smesso di denunciare il nichilismo del XX secolo”. In anteprima per la nostra rivista, il saggio introduttivo di Rizzante.

Bentornato. Già già già, anche la colazione era un sogno. Ora sei sveglio. Questo, sì, sei. Segui con gli occhi il tratteggio di luce della tapparella malchiusa, e c’è ancora l’ombra del terrore di quando da bambino piccolo pensavi fossero gli occhi di un cane giallo nascosto nel buio. Lo sei ancora, un bambino.

Con la scomparsa in anni recenti di Philip Roth (2018) e Cormac McCarthy (2023) gli Stati Uniti avevano perduto due degli autori più importanti del Novecento, i cui romanzi sono stati – e sono tuttora – letture imprescindibili per tutti i lettori interessati alle storie di una certa America. Nell’ultimo quinquennio in particolare si era [continua]

Talvolta, nell’euforia che lo prendeva, sembravano aprirsi possibilità per sentirsi parte di una realtà che contava, nella quale anche lui rivestiva un ruolo, riconosciuto al modo in cui riconosceva gli altri; ma erano istanti luminosi dai quali sembrava destarsi bruscamente tanto che, in un improvviso e vertiginoso bilancio negativo, d’un tratto piantava tutti a metà brano e tornava a rifugiarsi sui divani.

Benché fossero in tutto trentatré (li aveva contati) e alcuni di loro presumibilmente parenti degli autori delle diciassette sculture, non degnavano l’allestimento di particolare attenzione, attardandosi invece a valutare la bontà dei nuovi fari, dell’impianto a pavimento: «Questa è una struttura destinata a durare», concluse in sintesi l’Assessore alla cultura, come se rispetto all’edificio le statue, specie quelle in bronzo, recassero in sé un destino più breve.

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