Io sono nato negli anni Venti, proprio all’inizio, l’anno preciso non conta. Mio nonno bestemmiava spesso, soprattutto la domenica. Non bestemmiare, vilan bègher, diceva mia madre che voleva dargli del pecoraio, e tra bestemmie e rimproveri, sono andati in fretta gli anni Venti.
Poi sono venuti gli anni Trenta. Io, per quello che mi consta, ci tiro su una bella riga, gli anni Trenta. L’inizio, braghe corte e fucilino in mano, fucilino di legno, poi la fine, braghe lunghe e fucile di ferro, fucile con la baionetta innestata.
Gli anni Quaranta, ci sarebbe da tirare un’altra riga, per com’erano iniziati, sempre a mio parere. Poi verso la fine le cose si sono raddrizzate, e ho ricominciato a mangiare due volte al giorno. C’è stata anche abbondanza femminile, la fine degli anni Quaranta. Non poteva lamentarsi nessuno, nemmeno un paralitico.
Quando sono arrivati gli anni Cinquanta ho dovuto sposarmi, il Cinquantaquattro, e sono nati anche due figli. Io guadagnavo poco ma il mangiare c’era. Solo che è difficile accontentarsi, s’impara a fatica, l’arte di star contenti.
Gli anni Sessanta, è stato quando mi sono guardato allo specchio e ho detto, Can sa sun gnu vecc’, improvvisamente vecchio, ecco come mi son visto. Però le donne continuavano a piacermi, s’erano messe a portare dei vestiti che stavo male solo a guardare, dopo col tempo mi sono abituato, ma l’inizio era fatica. Senza contare che è venuto il turno di mia moglie. S’era convinta anche lei di andare in giro con le cosce di fuori. Ormai hai quarant’anni, dicevo, cosa vuoi andare con le gambe nude! Tu sei rimasto indietro, diceva lei, sei uno all’antica. Erano discussioni. Alla fine dovevo cedere, fa ben quello che vuoi, dicevo. Tanto, faceva lo stesso quello che voleva.
Poi abbiamo cominciato con Milano Marittima, d’estate. Tutti gli anni due settimane, sabbiature la mattina, un bombolone al pomeriggio, e il caffè corretto con la Sambuca Molinari dopo cena. Non ci facevo più caso alla pancia di fuori e ai capelli grigi, quelli rimasti. Anche i bikini ci badavo sempre meno. Quegli anni, alla fine, ricordo che è venuta fuori una musica nuova, un gran rumore. Anche lì, non riuscivo abituarmi, subito.
Una sera d’autunno, il Settant’uno, il Settantadue, non ricordo, mia figlia è uscita di casa. Erano venuti a prenderla in macchina, non l’ho più vista per due settimane. Devo vivere le mie esperienze, diceva. Telefonava, parlava con sua madre, chiedeva se ero arrabbiato. No, che non sono arrabbiato. Invece ero arrabbiato. Poi non ci ho più pensato, arrabbiarmi? troppo vecchio ormai, non m’arrabbio più, io. Invece, gli anni Settanta, è successo che m’è sembrato di tornare giovane. Chissà come vengono fuori queste cose, non so dire. Per un po’, tutto è diventato politico e in quel brodo politico ci stavo così bene che son tornato giovane.
Gli anni Ottanta, ne tiro sopra due di righe, ce le tiro davvero. Dieci anni senza sugo, come tutti quelli che ci sono nati. Anche quei somari dei miei nipoti. Adesso si chiamano la gente. Alla fine di quegli anni se n’è andata anche mia moglie. Ero io, il vecchio, ma lei è morta prima.
Adesso siamo a metà degli anni Novanta e non so neanche se arrivo al Duemila. Ma non ci penso. Sono contento che mio figlio ha messo su un’officina per conto suo. Fa l’elettrauto. Dice che bisogna aggiornarsi, che non è più come prima, con tutte le novità tecniche. Si deve stare al passo con l’elettronica. Dice che va bene. Se va bene a lui, va bene anche a me.
Io, qui al ricovero, sono venuto di mia iniziativa. Guardate, tolgo il disturbo, ho detto una domenica. Eravamo a pranzo da mia figlia, c’erano tutti. Vendete pure la casa e dividete i soldi. Lei ha detto che non c’era bisogno, ma suo marito, gli ridevano anche le orecchie.
Qui sto bene. Ci sono delle infermiere che quando si chinano, guardo volentieri dentro la scollatura. Mi hanno messo in camera doppia. Io do dentro la pensione e pago un supplemento. Un po’ di soldi li ho tenuti da parte. Mangio in camerata con gli altri vecchi e il venerdì vado giù al bar a prendermi un cornetto Algida. Dopo andiamo alla televisione, più che altro il telegiornale e le ballerine. Se Zannoni e Farioli non hanno male alla schiena, per via della carrozzina, facciamo qualche raggio a briscola, e tiriamo dentro Beltrami.
Poi vengo qui in camera mia. Zanichelli è capace di aver già spento la luce. Io accendo quella del comodino, mi metto il pigiama e prima di dormire leggo mezz’ora. Ho preso gusto con Dante Alighieri, anche se faccio fatica con le parole. Però c’è il vocabolario e imparo qualcosa. Dopo, quando mi sono stancato, anche se Zanichelli è dietro a ronfare, io prendo sonno subito.