Berna, Luisenstr. 14, 20 giugno 1927
Caro, stimatissimo dottor Rychner,
Le restituisco senza indugio in allegato la correzione (in precedenza del tutto arbitrariamente tenevo per me le correzioni; ora come vede, non più). Mi concedo alcune osservazioni a costo di venire considerato da Sua eccellenza un chiacchierone.
La faccenda di questa lettera a un membro dell’associazione sta nel fatto che in origine – vale a dire nella sua prima stesura – avrebbe dovuto essere indirizzata ad una gentile signora di qui, circostanza particolare questa, che io tuttavia per ragioni di discrezione, poiché poteva apparire un po’ troppo piccante, ho ritenuto opportuno mascherare, generalizzare, virilizzare, vale a dire molto semplicemente trasformare in un fatto culturale affermando il principio che uno scrittore ha bisogno urgentemente di modelli ma che è comunque obbligato all’occorrenza a trattare questi modelli in modo più delicato, vale a dire a lasciarli completamente integri, privi di manipolazioni.
Credo che un autore possa dire questo e altro al proprio signor redattore o severo esaminatore e padrone, tutto quello che il lettore non ha necessità di sapere poiché lo scrittore desidera semplicemente intrattenere e richiamare la sua attenzione su cose importanti e così via.
Menzionando l’oggetto della prima stesura ho voluto raccontarle una storia di creatività e di vita poiché Lei deve sapere, caro signore, che già da dieci anni abbozzo per prima cosa a matita tutto il materiale di mia produzione in modo timido e devoto per cui il processo della scrittura ha acquistato naturalmente una quasi colossale, strascicante lentezza.
Sono grato al metodo della matita che si è conseguentemente assimilato al sistema del ricopiare alla maniera burocratica. A questo sistema devo veri e propri tormenti, ma questo tormento mi ha insegnato la pazienza ed è in forza di questa pazienza che sono divenuto un artista.
Lei forse non si è accorto che nel presente articolo eccezionalmente le quattro o cinque ultime righe non provengono dal territorio della matita bensì sono state aggiunte all’ultimo minuto frettolosamente e in modo abborracciato.
Forse troverà ridicolo il fatto di prendere tanto sul serio la nascita di un articolo. Tuttavia per me il metodo della matita ha una sua importanza. Poiché ci fu un’epoca per l’autore di queste righe nella quale egli ebbe spaventosamente in odio la penna, nella quale egli ne fu stanco a un punto tale che non saprei veramente descrivere, nella quale egli diventava del tutto stupido appena si metteva un pochettino a servirsene, e per liberarsi da questo disgusto della scrittura si mise ad abbozzare a matita, schizzare, folleggiare. Le posso assicurare (e questo è già cominciato a Berlino) che ho assistito, con la penna, ad una vera rovina della mia mano, una sorta di crampo dalla cui presa mi sono faticosamente, lentamente liberato per mezzo della matita. Un crollo, un crampo, una confusione, sono sempre di natura corporale e psichica al tempo stesso. Fu per me un periodo di sfacelo che si manifestò nella mia scrittura, nella sua dissoluzione, ed è copiando i miei appunti a matita che, come un bimbo, reimparai a scrivere.
Forse mi trova poco interessante per via della mia schiettezza perciò mi affretto a salutarLa nel modo più interessante e artificioso possibile e rimango nella menzognera e tuttavia massimamente abbagliante stima che spero libera da affettuosità poiché quest’ultima affatica. Lei però deve rimanere ad ogni costo efficiente.
Il suo devoto
Robert Walser
N.B. Un Zurighese, quattordici giorni fa, mi assestò un colpo nella zona appena al di sopra del cuore. Nel frattempo mi sono ripreso. Luogo: “I portici”; ora: l’una del mattino; causa: alcool!
(Lettera a Max Rychner – Neue Schweizer Rundschau)