[…] Il parlare d’altro è molto interessante, forse di molto più interessante di quanto non sia il parlare di qualche cosa che ci si propone. Perché succede di parlare d’altro? Se io incomincio a parlare o a scrivere di un qualsiasi argomento, io credo di avere in testa un argomento. Questa è sempre una delle illusioni in cui si cade quando si scrive. […] Questo fornisce delle bande, dei binari al discorso che noi ci proponiamo di fare, però purtroppo questo discorso viene fatto con le parole e le parole non sono così ubbidienti […]. Le parole hanno una loro qualità cattivante, insidiosa, aggressiva […]. Il significato della parola nel momento in cui agisce nel testo è per l’appunto il mistero, l’enigma con cui si viene a contatto scrivendo. Quindi la cosa più normale è quella di uscire di tema […], essere incoerente, e cioè di cominciare un discorso e poi di farsi sedurre lungo la strada dal prestigio delle parole […], dalle allucinazioni della struttura della frase, che portano verso immagini, verso frammenti interiori […]. Ed è questa alterità del discorso verbale nei confronti dell’interezza dell’io che è la vera, eccitante avventura della letteratura […]. Il fatto che le parole hanno dei suoni è fondamentale perché l’accostamento, il ritmo, la giacitura, il cadere, il giustapporsi o lo scindersi delle parole fa sì che queste parole agiscano in una maniera molto sottile, molto losca direi, leggermente impudica, proprio suggerendo delle immaginazioni e delle fantasie. […]. Questo discorso […] vorrebbe toccare il tema che per me sembra essenziale, cioè dell’estraneità tra l’autore, il cosiddetto autore, e ciò che accade venga scritto sotto il nome dell’autore […]. Non si sa mica che cosa succede quando ci si mette a scrivere […] sto parlando direi piuttosto di seduzione, di una corruzione che la losca fertilità verbale esercita nei confronti dell’integrità morale dell’io.
da Giorgio Manganelli, Conversazione universitaria, in Lettura d’autore, Bulzoni 1988, pp. 91-94)