1.
Arrivare oltre la galleria era diventato molto difficile. Usciva di casa quasi all’alba, in modo da percorrere le vie centrali ancora deserte, trovare un parcheggio e incamminarsi verso l’ufficio postale, prima che l’impiegato prendesse servizio. Era affaticato, stanco di una stanchezza senza peso, che non aveva nulla a che vedere con il lavoro. Le strade della città, a quell’ora, sembravano accogliere ancora qualche cambiamento, qualche novità. Quello era forse l’unico momento della giornata che concedeva alle sue aspirazioni, ma sapeva attendere, era costante. E c’è da dire che le circostanze di un’attesa possono essere molto varie. Nonostante quest’arco di tempo si scandisca secondo fasi alterne, un effetto sembra sempre confermato: la costanza con la quale ci si assoggetta a questa prova può modificare profondamente il comportamento di un individuo. In un certo senso, visto il peso che assumono le abitudini, può persino dar forma ad un’esistenza.
Ogni mattina, dunque, dopo aver percorso otto chilometri in macchina, andava ad aspettarla davanti alla porta dell’ufficio postale nel quale lei lavorava. La aspettava per invitarla a bere un caffé, perché doveva “convincerla”. Così, prima di cominciare la giornata, la accompagnava nel bar vicino. Guardando al fenomeno da un punto di vista comune, si dovrebbe osservare che non aveva incontrato molte difficoltà: lei aveva ricambiato fin da subito le sue attenzioni e avevano cominciato ad uscire insieme. Tuttavia, almeno per quanto lo riguardava, sentiva che la cosa non poteva che maturare molto lentamente.
Il bar era un vecchio locale con ricevitoria, dove il più delle volte si restava in piedi, appoggiati al bancone. Rivedeva le sue debolezze, gli studi, i giorni in cui non era in grado di uscire di casa. Ora, prima di andare al lavoro, riusciva quasi a trovare un momento di intimità. Mentre gli altri clienti facevano colazione, le parlava di quel che gli capitava. Del lavoro, delle sue preoccupazioni. Poi, bevuto il caffé, d’un tratto portava avanti la sua opera di persuasione: “Allora, sei convinta?”.
2.
Fermandosi un po’ da lei, si era reso conto di molte cose. La domenica, dalla sua finestra poteva seguire la rigorosa compostezza delle passeggiate pomeridiane.Restava a guardare, poi, girando quasi nudo per l’appartamento, si fermava a sfogliare i libri della libreria, mentre lei leggeva una rivista. Toglieva un libro dallo scaffale, lo apriva e si metteva a leggerne qualche pagina.
La persuasione mediante la quale un individuo si convince che quella che sta vivendo è davvero la sua vita (per cui comincia a riconoscersi nelle sue attività quotidiane e la vita cessa, per così dire, di essere quella che immagina) trae origine da una lunga serie di motivazioni, fra le quali la più comune è forse la coerenza. Riuscire a rimanere coerenti con se stessi, con quella che si è concepita di anno in anno come l’organicità del proprio sviluppo interiore, comporta un notevole dispendio di sé: un sacrificio che alla lunga può essere premiato, ma un successo cui, in quella forma, non desiderava più ambire. Da quando aveva cominciato a lavorare come corriere, poco prima di concludere gli studi, la cosa si era fatta sempre più evidente.
Ragionando con un amico che gestiva un negozio di alimentari, era arrivato a ritenere che le trasformazioni nei comportamenti delle persone che incontrava (cui poteva assistere ogni giorno) meritassero maggiore attenzione. Lo interessavano i cambiamenti. Fra una corsa e l’altra, fermandosi nei parcheggi dei supermercati, restava ad osservare. Spegneva la radio. Non c’erano ancora altoparlanti accesi. Di tanto in tanto, le persone mostravano ancora una disposizione d’animo favorevole all’incontro. Più tardi, invece, progressivamente (verso le dieci, le dieci e trenta) alcune preoccupazioni e in primo luogo quella per la preparazione del pranzo, riprendevano il sopravvento: nella breve bagarre generata da questa esigenza – un momento che percepiva come elemento distintivo del suo tempo – la conversazione mostrava alcune punte, si inaspriva, fino a riconfermare il carattere competitivo e inevitabile della vita in comune.
3.
Passando fra i clienti, mentre cercava di guadagnare la via che portava verso i sobborghi, guardava i campi di granturco che si affacciavano dietro lo stabile, ampie distese in mezzo alle quali si alzavano i tralicci dell’alta tensione. Aveva finito il giro.
Nei primi tempi, i continui spostamenti lo avevano portato a considerare i paesi e le cittadine che incontrava come luoghi inesplorati, terre straniere. Mentre studiava non si era mai mosso tanto. Poi, naturalmente, giorno dopo giorno, quei luoghi e quelle terre erano ritornati indifferenti: quando l’attesa non viene premiata in alcun modo, l’abitudine prende forma e i gesti non sperano più in uno scopo inatteso. E tuttavia la cosa più sorprendente che aveva colto nei suoi giri era data dalla regolarità con la quale la gente traeva beneficio da certe azioni. A volte, per esempio, nelle prime ore dell’alba, mentre attraversava il paese di *** (poco distante da dove viveva) incontrava una signora che, in sottoveste, uscendo di casa per prendere il latte, cantava canzoni americane in modo commovente. Oppure osservava il modo in cui qualche coppia entrava in macchina con i figli per cominciare la giornata.
Dopo quel tratto di strada, arrivato finalmente all’ufficio postale, gli pareva di dover parlare, gli sembrava che in quello che aveva visto ci fosse davvero qualcosa di cui convincerla. Qualcosa di cui potersi in qualche modo fidare.
4.
Seduto sul muro poco fuori il negozio di tessuti, parlava con il commesso, un suo vecchio compagno. “È inutile pensarci. E d’altra parte, che vuoi fare? Neanche la carriera militare è più la stessa. Non prendono più nessuno”. Guardava il palazzo di fronte, un vecchio edificio dell’Amministrazione, ceduto ora ad un ente che organizzava corsi di recupero. Rispetto al tempo in cui, da ragazzo, frequentava il negozio, la via era molto più pulita. Non c’era più nulla fuori posto, solo le insegne di un bazar. Il commesso voleva invitarlo ad una prova musicale (per la quale si ritrovava il mercoledì a suonare in casa del cugino) ma l’offerta non poteva più interessargli. Pensava invece agli anni trascorsi a studiare, anni di letture che si polverizzavano nel ricordo.
Dopo averlo ringraziato, aveva preso a camminare in direzione del parcheggio della città vecchia. Poi, sul ponte, oltre la Porta medievale, si era fermato. In basso, poteva scorgere un fenomeno familiare: il verde dell’acqua si era fatto estremamente chiaro. Il fondo calcareo esaltava il colore al punto da attrarre molte persone sul greto, curiose di osservare la cosa da vicino. Tenendosi alla vecchia ringhiera di ferro, cominciò anche lui a scendere.
Il pensiero, l’immagine di lei non rappresentavano più un’aspirazione, erano qualcosa su cui fare affidamento, eppure era difficile abbandonare le pretese della propria formazione, smettere di diventare qualcuno. Sulla sabbia bianca portata dal torrente, i turisti si chinavano a raccogliere i rari ciottoli più scuri. Più in alto, sulle pareti che chiudevano la forra, gli alberi crescevano con una notevole inclinazione. Il modo in cui lui e i suoi compagni avevano sviluppato aspettative tanto precise poteva sorprendere: d’altra parte, per un lungo periodo l’avvenire era stato presentato loro come una dimensione del tutto progettuale. Per questo, forse, fra loro e gli amici di un tempo non era rimasto più nulla. Solo ora, dopo il suo ritorno, cominciava a rendersi conto di dover abbandonare la dimensione illusoria degli istituti di formazione. Si tirava discretamente in disparte, lontano dalla riva, in mezzo ai molti che continuavano a fotografarsi ed a fotografare il torrente. Il ponte, in alto, pur nelle sue dimensioni contenute, suscitava una certa imponenza.
Arrivato vicino all’acqua, si mise ad osservarne la trasparenza, così, senza far caso al resto. Prima che il grosso della comitiva si muovesse, risalì in strada.
5.
Negli ultimi tempi, gli ritornava spesso in mente un episodio. Un giorno, andando ad una commemorazione, si era accorto che molti fra gli intervenuti portavano la cravatta, un numero superiore a quanto potesse immaginare. Non erano forestieri e si trattava di una cerimonia comune. Eppure quasi tutti, giovani e vecchi, la indossavano. Il particolare gli era sembrato sconcertante: quell’accessorio era destinato a sopravvivere alla vanità di tutti coloro che lo portavano; anzi, in modo inavvertito, annunciava una durata materiale impensabile, che aveva poco di umano.
Aveva compreso che per quanto lontana, remota avesse potuto pensare la propria fine, non avrebbe potuto vivere abbastanza a lungo perché nessuno al suo funerale portasse la cravatta. Nonostante i cambiamenti, anche considerevoli, che potevano intervenire, per alcuni (per molti che gli sarebbero sopravvissuti e, quel che era peggio, per tutti i suoi conoscenti e i suoi coetanei) questo costume sarebbe rimasto immutato. Nessuna avventura, nessuna speranza, avrebbe potuto ovviare a questo fenomeno.
6.
Il Monumento ai Caduti era costituito da un grande blocco di marmo che si alzava poco distante dal cimitero. Spesso, durante la cerimonia di commemorazione, era rimasto ad osservare i sopravvissuti. Aveva provato una forte commozione per loro, mista ad un senso di ingiustizia che era poi durato più a lungo. Per alcuni anni, vivendo in collegio, non aveva più dovuto partecipare a queste ricorrenze. Erano diventate un evento del tutto inconsueto, nel quale aveva finito per non riconoscersi. Lentamente, aveva smesso di pensarsi parte di quella comunità.
In quei giorni, impressioni simili riaffioravano di continuo. Forse era tornato a vivere in un posto che non poteva più accoglierlo. Si sorprese tuttavia a pensare di non essersi ancora abituato a lei. D’altra parte, dopo tutto quel che era accaduto era difficile riprendere, pensarsi felici. La fatica accumulata in molti mesi, in anni doveva ancora esaurirsi. Talvolta, perfino quando andava da lei, era sopraffatto da una sensazione di disagio in cui era vissuto a lungo; pur non avvertendola più come propria, sentiva di esserne ancora soggetto. Quando accadeva, si fermava per un po’ sul lato della strada.
Mentre sostava confuso sul da farsi, gli pareva di comprendere che era in questa dimensione che si giocava l’opinione che ciascuno ha di sé; che era inutile giudicarla dai successi, dalle circostanze più o meno fortunate. D’un tratto, era sicuro di poter andare avanti solo a patto di non sacrificare questa sua scoperta.
Più tardi, nel piccolo appartamento di lei, mentre scriveva, la osservava studiare per prepararsi ad un concorso.
7.
Si erano seduti in un angolo del ristorante, ancora mezzo vuoto a quell’ora. Lei gli disse: “Devo parlarti di un posto. È da tanto che ci penso, ma ora sento che te lo devo dire. Poco lontano da qui c’è il parco. Hai in mente quella panchina presso la siepe del belvedere, dove di solito si fermano i turisti? Il panorama è davvero bello. Hai frequentato le scuole poco lontano da qui, perciò sono sicura che ci sarai già stato. In fondo, è un posto relativamente noto, no? lo indicano tutti: così noto che, dopo che ci si è stati una volta, si finisce per non passarci più. E d’altra parte è difficile, dopo tutto, aver voglia di tornarci. Voglio dire, è difficile trovarlo ancora interessante. A volte c’è un po’ di silenzio, ma di fatto è pieno di turisti, tanto che la foto che si scatta di lì è diventata quasi un luogo comune. Insomma, è proprio la solita storia: ci si stufa a pensare a tutto quello che gli gira intorno. Eppure – so che potrà sembrarti banale e spero tu non ti metta a ridere – è stato lì che ho fatto l’amore per la prima volta.
Mi dirai: che sciocca, vero? In un posto tanto ridicolo, dove passano tutti. Eppure è così, e in fondo non mi dispiace. In un posto che a forza di essere segnalato dalle guide è finito col diventare comune. Non so. Mi pare che ci sia qualcosa di buono, in questo. Al tempo non ci avevo pensato, ma ora, a ricordarlo, mi sembra perfino giusto che un momento della vita che in fondo ricorderai per sempre conservi qualcosa di comune. Ho deciso di dirtelo perché a questo punto mi sembrava giusto: era giusto che lo sapessi. Ogni tanto ci penso. E devo dirti che quando ci penso è un po’ come se, finalmente, potessi essere al mondo senza pretendere di essere irripetibile. Sono cose che capitano a tutti, in fondo: tanto, unici lo si è ugualmente, no?”.
Fuori, un cameriere cercava di risistemare i sedili della giostra di ferro. Si trattava di fare pochi passi. Chissà se sarebbe riuscito a togliersi di dosso tutti i suoi propositi. A pochi metri, una comitiva di anziani sostava sotto l’insegna del parco.