E allora, bello mio, sei stato a Mikonos,
alle Seicelle e alle Maldive?
Com’erano? Più o meno della loro fama?
O, davanti a San Pietro e Piazza Duomo,
devono correre a nascondersi?
È meglio Montecarlo? O forse Gargazzone?
“Gargazzone” dici “lo sai bene cos’è:
un posto più triste di Salorno,
e vuoto più di Sinigo, eppure
là vorrei vivere: dimenticati i miei,
e da loro dimenticato; vorrei
star là, guardare il mare sfrenarsi, dalla riva, per ore”.
Ahi! Ahi! Bello mio, che ti prende?
Sei come quello che canta le lodi del bar
che l’ha salvato dalla pioggia, però
ci passerebbe mica la vita, nel bar che l’ha salvato.
Sei come quello che dice: “mai più yacht”
dopo l’uragano, e poi se lo tiene
bene stretto, lo yacht.
Mikonos Maldive e Seicelle ti farebbero un baffo
se tu fossi davvero sereno:
sarebbero un tuffo nel Tevere d’autunno,
un paio di mutande di lana d’estate.
Lodale pure, Seicelle e Maldive,
ma da qui, dove ogni ora tranquilla
devi prenderla subito, dono del dio,
e non rimandare indietro niente.
Tutti, di te, dovranno dire:
ha vissuto bene dappertutto
perché è il cuore (o la testa)
a sciogliere gli affanni, non un belvedere
alto da cui guardare il mare, per ore.
E chi lo oltrepassa, il mare
cambia solo cielo, non l’anima, la sua anima, cosiddetta.
Frenesia immobile. Che ci sta alle costole.
Con moto e spider sempre in cerca di vita felice.
Ma quello che cerchi è qui.
È a Gargazzone. Solo che tu sia
sereno.
Libera traduzione di Alessandro Banda dalle Lettere (I, 11) di Orazio