Fellini e il maschio italiano /2

La maschera comica di Sordi dispiega una falsità che è impossibile condannare poiché è inseparabile dal comportamento quotidiano. Questa tipologia maschile è parte integrante della tradizione italiana della menzogna, che trova la sua forma più perfetta nella spettacolare teatralità della Roma papale; e le sue origini nel modo di concepire la religione e il potere come ostentazione spettacolare proprio della Chiesa cattolica.

1. “La pena amorosa”

In uno dei film più memorabili di Fellini, Roma(1970), c’è un episodio che tenta di recuperare l’atmosfera dei vecchi bordelli italiani.È introdotto da una sequenza che si concentra su un gruppo di giovani “figli dei fiori” americani, come sistema per confrontare differenti modi di porsi nei confronti del comportamento sessuale. Seduti su una scalinata di Roma i giovani Americani si dispongono tutt’attorno molto rilassati. Una ragazza a seno nudo si lava con noncuranza in una fontana; altri si abbracciano con affettuosità piuttosto artificiosa; tutti ostentano pubblicamente i sentimenti erotici che provano l’uno per l’altro. Una voce off commenta: “Per questi giovani ragazzi disincantati che si accoccolano come cuccioli o pulcini, l’amore non costituisce un problema. Forse fanno l’amore, forse no. Ciò che è certo è che non ci si pone la difficoltà di risolvere il dilemma che una volta costituiva per noi la questione fondamentale, quando la nostra pena amorosa ci obbligava a recarci al bordello”.

 

Subito dopo vediamo tre soldati italiani che indossano uniformi degli anni Quaranta, gli anni della guerra, che si aggirano per i vicoli nascosti di Roma alla ricerca di un bordello. L’entrata del bordello è un angusto corridoio stipato di uomini. Sembra un posto infernale, pieno di urla taglienti, con gli uomini in cerca di un qualche tipo di sfogo sessuale condannati al rumore e al disorientamento tra la folla degli altri uomini che li circondano. È l’opposto della scena dei giovani Americani che si atteggiano a beatamente felici. Alcune rapide carrellate e panoramiche mostrano le facce di prostitute dall’aria stravolta che fanno strane smorfie, che offrono seni flosci costretti in reggiseni dall’aspetto pietoso e mutande come quelle che indosserebbe una donna di casa. Di queste prostitute ricorderemo la gestualità scomposta e i corpi privi di fascino, che evocano forse una zia in vesti succinte che vaga per casa in pantofole. Ogni cosa qui ha l’aria di cose che si potrebbero nella vita familiare, cose ordinarie, dozzinali, cose date per scontate. In questi corpi femminili offerti a una sorta di scommettitori, ciò che più spicca è la carne che invecchia; non c’è nulla che alluda alle malie delle”grazie femminili”. Tuttavia questo è ciò che ci fa comprendere che la “pena amorosa” è un impulso molto più elementare, che va molto oltre ciò che potremmo considerare come le discussioni sulla bellezza o i gusti e le preferenze maschili.

 

Il paragone con la generazione dei “figli dei fiori” serve a misurare la distanza tra i costumi sessuali vecchi e nuovi. Nella ricostruzione di Fellini, la differenza essenziale sta nei luoghi spesso squallidi in cui la “pena amorosa”del nostro maschio andava a finire, per lo meno in assenza di nulla di migliore. Per quei giovani americani, d’altra parte, il dolore della “pena amorosa” non pare esistere.

Le immagini del film li mostrano così tranquilli e padroni di sé che sembrano esenti da quel che potremmo chiamare il calore: quello stato di eccitazione sessuale che si trova nel regno animale. Il loro erotismo è totalmente esteriore, come uno spettacolo cinematografico recitato per un pubblico anonimo. Nel nuovo clima sessuale con i suoi diversi atteggiamenti sessuali, l’erotismo viene confuso col sesso come pubblicità, ove la sessualità non pone più problemi poiché ogni cosa è risolta nell’apparenza esteriore del comportamento umano.

2. L’eccitamento sessuale e le convenzioni della coscienza

Torniamo al bordello. Chi sono quelle donne in mutandoni coi loro seni esibiti, che sembrano Furie venute per eliminare ogni pretesa sessuale? Credo che fossero tutte o quasi tutte prostitute reclutate da Fellini per girare il film. In ogni caso, col loro comportamento eccentrico, le oscene espressioni del viso e la generale aria di follia, esse producono uno spettacolo straordinario che ci colpisce come una sorta di selvaggio e antico rituale. Compiono gli stessi gesti abitudinari e usano le stesse espressioni che venivano utilizzati per uno scopo pratico nei vecchi bordelli italiani, quello di stimolare il maschio. Era come uno smascheramento di ciò che l’uomo ingoiato deve tenere nascosto; e nei bordelli più a buon mercato, se i clienti non sceglievano chi volevano “portar su” abbastanza rapidamente, finivano per essere sgridati come bambini sottoposti a sarcastiche accuse di impotenza: “Deve essere duro avercelo moscio!”.

 

Attraverso alcune carrellate che creano un senso di violenta aggressione, vediamo gli uomini che vengono sgridati rispondere con sciocche risatine e sguardi sorpresi mentre le prostitute continuano con la loro cantilena preparata con lo scopo di eccitarli, alludendo tutto il tempo ai loro desideri e inibizioni. Uno di loro, in una specie di cantilena, nomina la madre, come se stesse evocando un fantasma che si cela dietro la nudità del bordello. (In una intervista Fellini sostiene che le immagini della prostituta e della madre italiana non possono essere separate: “È impossibile concepire l’una senza l’altra”). L’intera scena è una sorta di profanazione del sancta sanctorum della vergogna maschile.

 

Allo stesso tempo, l’aspetto di quelle donne, coi loro corpi invecchiati, fa pensare ad un desiderio che sia in qualche modo dissociato da qualsiasi tipo di critica del corpo femminile. È un punto decisivo circa il modo in cui Fellini tratta la questione: il desiderio non coincide con le convenzioni della coscienza, e la necessità pressante dell’eccitamento sessuale non dipende da alcuna valutazione corrente dell’aspetto femminile. Ciò che vediamo in quei frequentatori di bordelli, e che è componente essenziale della “pena amorosa”, è una specie di ottenebramento mentale piuttosto che uno sguardo giudicante.

Questo si può constatare anche all’inizio di Clowns, in cui Fellini racconta la storia di un certo Giovandone che vaga per la campagna facendo proposte oscene a diverse donne e esibendo l’arnese che ha tra le gambe. Un’inquadratura lo mostra ripreso in controluce, trasformandolo in un semplice profilo. Nello stesso momento una contadina che maneggia una piccola falce gli grida: “Te lo taglio!” (il suo arnese in bella mostra). L’oscurità che lo avvolge dà il senso di un individuo che vive tra le ombre, ma anche in un offuscamento mentale da cui emergono le pulsioni sessuali. I tipi umani come Giovannone (“maniaci sessuali”) ci fanno pensare più di qualsiasi altro a quale mistero sia l’eccitamento sessuale, uno stato con cui le convenzioni della coscienza non hanno niente a che fare. E nel modo privo di pregiudizi in cui Fellini ce lo descrive, quel mistero richiama l’antica idea di amore come un dio che ci domina”Ecce Deus qui dominabitur mihi”, dice Dante dopo aver visto Beatrice per la prima volta.

3. Scena del desiderio

Un altro episodio in Roma ci rammenta un vecchio teatro di quartiere romano: il Baraonda, teatro di varietà. A giudicare da come Fellini lo presenta, e dal numero di balle stravaganti, commenti comici, burle e altre pazze trovate che si susseguono in platea, si direbbe che il posto è una sorta di santuario dell’umorismo comune. Così tanto che, piuttosto degli attori sul palco, il vero protagonista è il pubblico, come quando alcuni giovani teppisti obbligano un comico a terminare il suo monologo poiché non fa ridere nessuno. Come nell’episodio del bordello, anche qui la questione principale è quella del desiderio maschile.

 

Il numero principale nello spettacolo di varietà è quello dei ballerini. I ballerini nell’episodio del Baraonda, tuttavia, sono sorprendenti per la loro ordinarietà; ragazze comuni come se ne trovano ovunque, paffute e goffe, prive di qualsiasi speciale fascino., senza dubbio delle “non-bellezze”. Guardandole, è inevitabile fare il paragone con i plotoni di “bellezze” nei musical americani: ragazze tutte allineate in formazione militare, ragazze senza un grammo di grasso superfluo, con le stesse misure standard seno-vita –fianchi, lo standard aureo della “bellezza americana”. I film di Fellini fanno frequenti paragoni impliciti con il cinema americano, per la maggior parte nella forma dell’inversione comica o dell’allusione ironica che sembra parodiare il modello americano.

 

Nell’episodio del Baraonda, l’inversione comica diviene più evidente quando vediamo ballare le nostre “non-bellezze”; pensiamo al contrasto con le showgirl americane, che danzano in formazione con perfetta sincronia. L’abilità professionale delle nostre danzatrici, d’altra parte, consiste in poco più che mostrare le gambe a un pubblico che ha pagato un biglietto, mentre l’emozione di quegli uomini col biglietto dipende dal dare una sbirciatina ad alcune porzioni di carne femminile, non troppo affascinanti e spesso visibili a malapena, che si mostrano in distanza sul palcoscenico.

 

Ma c’è qualcos’altro da dire sulle nostre “non-bellezze” che le lega alla “pena amorosa”. Il film mostra qualcosa come uno spasmo, un brivido che attraversa il pubblico: la reazione maschile a qualcosa che non è visibile, ma che viene tuttavia accesa dalla grazia e il favore dell’immaginazione. Tanto che uno dei bulli del luogo inizia a dichiarare apertamente la sua passione per una delle ballerine: “Mio amore, mio angelo, mia chiappona d’oro!”. Quest’omaggio estatico alle natiche femminili è il culmine di una scena in cui il desiderio maschile riesce a sostenersi su quasi niente, su una visione distante di ragazze per nulla notevoli.

Quella dichiarazione del bullo richiama i Disegni di Fellini e le interviste che ha rilasciato, nelle quali egli fa spesso riferimento alle culone. Questa è un ‘espressione che Fellini utilizza come un codice, e mi sembra indicare una donna che attrae più per la sua carnale materialità che per le forme del suo corpo. In altre parole, una donna che sfugge le forme razionalizzate del modello greco di bellezza, corrispondendo invece a una espressione del desiderio che è meno legata alle valutazioni correnti della forma femminile. Non si tratta del desiderio che si risolveva nella conquista di una bella donna, ma di una visione distante che viene riempita dai fantasmi dei nostri bisogni, grazie al contributo reso dall’immaginazione. Quella scena è senza dubbio un’immagine del territorio che l’industria cinematografica rivendica per se stessa, più di tutto, in relazione agli imperativi stabiliti dalla spettacolarità del cinema americano.

4. Sulla norma della bellezza

Nel cinema americano c’è una categoria di personaggi femminili che più o meno corrispondono al tipo di donna preferita da Fellini.È la cosiddetta ”broad”: una parola che potrebbe essere usata per tradurre il felliniano “culona” (una donna con un gran sedere) poiché crea un’immagine di carnalità del tutto corporea piuttosto che una forma perfettamente armoniosa. È indicativo che le culone recitino sempre in ruoli secondari, in qualità di donne indipendenti ma generalmente di origini umili, e che, per la maggior parte, tali restano. All’opposto, le “bellezze” ufficiali del film, l’attrice protagonista, è solitamente associata al denaro o destinata a divenire ricca. È come se la bellezza femminile e il potere del denaro fossero inestricabilmente legati, non solo perché gli uomini ricchi “do regola” sposano belle donne, ma pure perché sembrerebbe che la spinta all’amore trova maggior favore se sostenuta dal denaro.

 

La fusione tra la spinta a soddisfare le pena amorosa ed immagini di ricchezza è un dato nelle sceneggiature di Hollywood degli anni Trenta. L’amore è associato col consumo, col lusso, con l’arrampicata della scala sociale. Molto si è detto sul cinema come una specie di droga, ma per agire come una droga l’industria cinematografica ha dovuto garantire che sembrasse normale identificarsi solamente con gli attori che emanavano il crisma del successo; che fosse normale pure venerare quelle figure femminili poiché possedevano” una voce piena di denaro…il fascino inesauribile…il suo tintinnio” (da Il grande Gatsbydi F. Scott Fitzgerald). L’attrazione tra i sessi, l’aspirazione ad arricchirsi e l’incantevole miraggio dello spettacolo cinematografico sono annodati assieme in un altro offuscamento della mente, non dissimile da quello dello “strano Giovandone”.

Salvo che ora si tratta del buio della sala cinematografica, che caratterizza la condizione dell’uomo moderno nella sua separazione sia da se stesso che dagli altri. Tutto questo serve a spiegare perché la nudità per nulla attraente delle prostitute felliniane o l’aspetto ordinario delle ballerine al teatro Baraonda rappresenta una piccola rivolta contro la norma cinematografica della bellezza femminile e l’inevitabile associazione con l’idea di ricchezza.

 

Nel cinema di consumo di massa, lo spettatore deve essere in grado di giudicare le virtù dell’eroe o la perfidia del cattivo con familiarità così da poter creare un sistema di simpatie e antipatie che sia efficace per potersi schierare. Allo stesso modo, egli non può avere dubbi in quanto a giudicare se una donna sia bella o meno, o se sia il tipo giusto da sposare, o solo attraente dal punto di vista sessuale. La trama e i modi della presentazione devono tutti concorrere a rappresentare l’idea che ogni cosa nella vita umana possa essere afferrata e valutata senza errore, grazie al sistema di riprese che scoprono ogni possibile attività dietro le quinte come fossero l’occhio di Dio. Inoltre, egli deve uscire dalla sala con l’idea che grazie all’onnipotenza informativa del cinema persino le vite morali e amorose degli uomini possono essere portate allo scoperto. Con le sue “ingiudicabili” prostitute, Fellini capovolge questo punto di vista e ci mette di fronte al fatto che le cose che accadono tra uomini e donne sembrano valutate secondo elenchi di tabelle uscite direttamente da un manuale di vite e amori hollywoodiani. Allo stesso tempo, gli effetti dell’invecchiamento, le naturali imperfezioni del corpo, i segni della caducità nell’avvicinarsi alla morte, tutto questo è stato trasformato sempre più in sintomi di un’ anomalia che deve essere nascosta o camuffata cosmeticamente.

5. Lo spettacolo capovolto

L’episodio al teatro Baraconda è uno dei primi esempi in cui Fellini analizza ciò che intendiamo per spettacolo assieme a tutti i valori che convergono nel creare uno “show”. Qui il comportamento del pubblico diviene il tema principale mentre lo spettacolo, lo “ show”, sia sullo schermo che sul palcoscenico, diviene secondario oppure un mero fondale. È uno spostamento che equivale alla più decisiva innovazione del cinema felliniano, che principia con l’ultima sequenza di 8 e œ. In quella sequenza, l’invenzione cinematografica viene rivolta per la prima volta verso il mondo esterno, con gli attori, le comparse, gli operai, e tutti gli altri mischiati insieme, come a creare un’esibizione di ciò che lo “spettacolo” sempre nasconde dietro la sua facciata di oggettività. Finalmente, vediamo rappresentata in un film tutta la confusa eterogeneità del mondo: gente accalcata tutta insieme come se desiderasse salutarci, in uno spazio in cui lo spettacolo è stato sostituito dal gioco del girotondo. Per di più, si poteva vedere ciò che fino a quel punto incombeva sul film: i congegni della finzione responsabili della presentazione del mondo come se tutto fosse comprensibile, omogeneizzato, tutto compreso, un mondo col quale noi spettatori dovremmo essere in grado di identificarci o rigettare in un battito di ciglia.

Il potere della scena del teatro Baraonda sta in questa inversione di significato, nel bisogno di recuperare l’eterogeneità e la naturale confusione del mondo. Fellini dice: “Per me, il cinema è una stanza che respira di voci e sudore, gente che indossa maschere, castagne arrostite, pianto di bambini: quell’aria di disastro, la fine del mondo, lo strappo finale”. È ciò che vediamo nel teatro Baraconda: la confusione di gesti, commenti arguti, litigi, oscenità e generale pazzia senza alcun tipo di struttura unificante a suggerire l’idea di uno spazio controllabile. E’ una deviazione senza centro o scopo poiché ora ogni cosa è “rappresentabile”: non c’è più una forma di giudizio che selezioni gli atti umani in termini di uno spettacolo riuscito o meno, o suddivida uomini e donne in vincitori e perdenti. Nel cinema di Fellini non ci sono vincitori e vinti. Invece, tutto ciò che ha a che fare con la vita è in eccesso: un eccesso di pena amorosa negli uomini; un eccesso di carne in espansione nelle donne; un eccesso di smorfie facciali; un eccesso di vitalità. Anche quelle prostitute nel bordello romano sono modellate in accordo con le regole dell’eccesso carnevalesco (studiato da Michail Bachtin): o troppo grasse o troppo magre. Se ne sono andati il medio, il normale, la confezione standardizzata di forme corporee idealizzate che scivolano sulle passerelle.

6. Il “banale” e la posa

Nei primi film di Fellini (Luci del varietà e Lo sceicco bianco) la situazione è questa: noi, gli spettatori, guardiamo attori che nel film interpretano i loro ruoli per altri spettatori come noi. Le reazioni degli spettatori sono istruttive ma di secondaria importanza. Circa venti anni dopo, in una delle prime parti di Roma, le reazioni degli spettatori sono il fulcro della scena ( una sala cinematografica, facce che guardano, discussioni in platea, flirt nel buio), mentre lo spettacolo sullo schermo è così noioso da essere ridicolo. In questo passaggio, il ruolo del “banale” è completamente cambiato: cioè a dire, il ruolo di ciò che viene considerato relativamente insignificante, e perciò banale, le abitudini, le reazioni e i modelli di comportamento che possono essere applicati a chiunque.

Il banale è ciò che ognuno conosce e fa senza pensarci: un luogo di raccolta collettivo di idee e modelli di comportamento sui quali non è necessario accordarsi. Alla sua base, non è nulla più che senso comune, qualcosa che circola tra di noi come una specie di inconscio legame. Senza di esso, non ci potremmo mai comprendere gli uni con gli altri e l’umorismo, per esempio, non potrebbe esistere. La grandezza di Fellini consiste nell’aver resuscitato il theatrum mundi dei gesti e dei modi di comportamento “banali”, trasformandoli in qualcosa che prende continuamente di sorpresa la nostra percezione. Usato in questo modo, il cosiddetto “banale” dimostra che non c’è nulla di “significante” nel mondo perché ogni cosa è ugualmente significante.

Le costruzioni spettacolari del cinema devono nascondere il banale dietro uno schermo di “significati”. E più meccanica è la costruzione, più deve mascherare il banale attraverso i trucchi della trama e della messa in scena. La maniera classica di fare ciò è di fare assumere a qualcosa o qualcuno una posa, non diversamente dalle perfetta composizioni dei paesaggi delle foto da cartolina. Ogni messa in scena dello spettacolare è niente più che una messa in scena del banale. Lo stesso dicasi degli attori famosi, gli idoli del pubblico: tutto quello che devono fare è assumere una posa, in una continua rappresentazione di se stessi.

 

Diamo uno sguardo ad Anita Ekberg nella Dolce Vita e a Claudia Cardinale in 8 e œ. Quando appaiono sullo schermo per la prima volta, sono come due divinità provenienti dall’Olimpo scese tra noi comuni mortali.

Ma in confronto alle prostitute del bordello, le limitazioni della loro recitazione sono enormi. Non potrebbero mai raggiungere quei livelli di naturalezza, così realistica e radicata nel luogo comune. Inevitabilmente, la Ekberg e la Cardinale sono sempre in posa, ma la mossa intelligente di Fellini è farle interpretare se stesse, come se fossero entrate in un mondo fittizio del film solo per scopi pubblicitari. Come tali, esse sembrano due citazioni dal “libro delle attrici spettacolari” ma questo è ciò che le riporta al livello del banale, trasformandole attraverso la loro semplice presenza in qualcosa di sorprendente.

Questo è l’intento di Fellini, che culmina nel finale di 8 e 1/2: riportare un mondo che è stato “messo in posa” (bloccato dal rifiuto del “banale”), indietro al flusso ordinario e multiforme della vita. Prima parlavo di come il cinema americano ha associato la bellezza femminile al valore del denaro, il che implica pure che l’amore senza denaro abbia una durata molto breve. Ma in questo modo, la “pena amorosa” non può nemmeno raggiungere il livello di consapevolezza, perché in un mondo dove i consimili di Gary Cooper, Clark Gable e Tom Cruise hanno tutte le donne più belle “in posa” ai loro pied, quella è l’idea ufficiale di vita. In altre parole, la vita intera è stata “messa in posa” fino al punto che riconoscere l’oscurità dei nostri impulsi primari sarebbe troppo inquietante e antisociale.

ETOLOGIA EMPIRICA DEL MASCHIO ITALIANO

1. Uomini che guardano donne

Dopo aver collaborato con Rossellini come sceneggiatore e braccio destro alla nascita del nuovo cinema italiano, Fellini fa il suo esordio come regista quando co-dirige un fil m c on Alberto Lattuada nel 1951. Il film si chiama Luci del varietà e ha una trama che rispecchia la commedia di costume italiana e un nuovo modo di girare. Una delle innovazioni del nostro cinema del dopoguerra era quella di fondere completamente i personaggi nell’ambiente, come se non avessero più il diritto ad essere considerati speciali rispetto ad ogni altra cosa. André Bazin, in un articolo scritto nel 1948, dice: “A causa di ciò, i registi italiani sono gli unici che possono girare una scena in un bus, o in un camion, o su un treno…” (come si vede in Luci del varietà). Parliamo di un tipo di cinema che si viene girato prevalentemente in esterni o in ambienti di vita reale, quali erano quelli disponibili nell’immediato dopoguerra.

 

È anche una riscoperta delle province italiane poiché durante i venti anni di fascismo precedenti, l’iconografia della campagna italiana (dalle cartoline alle guide) era rimasta bloccata ad un’Italia composta solo di monumenti storici, tesori d’arte, o viste su tramonti fantastici. Attraverso i film di Fellini, Rossellini, e De Sica-Zavattini vediamo emergere un altro tipo di Italia, lo sviluppo di una visione che è contro ogni cosa spettacolare, aperta invece all’imprevisto e al casuale dell’ambiente.

 

Luci del varietà, il film co-diretto da Fellini e Lattuada, si muove nella direzione anti-spettacolare del nuovo cinema. È girato in ambientazioni naturali, in oscure location provinciali. La parte più fresca del film rimane come il viaggio attraverso il paesaggio è girato senza alcuno speciale effetto cinematografico. Inoltre, una specie di stupore si sviluppa mentre osserviamo la banalità di erti aspetti della vita di ogni giorno, cose che paiono essere rimaste ferme nel tempo. Il film racconta la storia di un gruppo di attori di una compagnia viaggiante che portano il loro spettacolo in piccoli teatri di provincia. Ciò che mi interessa, comunque, è il modo di percepire la relazione tra gli uomini e le donne, in particolare un’osservazione sul comportamento maschile che mi sembra già felliniana.

 

Una delle prime scene nel film mostra un teatro provinciale pieno di uomini che guardano come ipnotizzati le gambe nude di una ballerina, L’immagine di un largo gruppo di uomini che guardano una donna è parte del folklore della sessualità italiana, qualcosa che ha spesso sorpreso gli stranieri, per esempio quando una folla di uomini si gira a fissare una donna per strada. Queste scene ci fanno pensare che c’è qualcosa di compulsivo nel maschio italiano, come i tori o i caproni separati dalle loro femmine. Questo gruppo di uomini ipnotizzati dalla vista della ballerina sul palcoscenico del varietà ci ricorda pure l’irreale situazione dello spettatore cinematografico che guarda un film: la fissazione per il famoso attore o attrice, il firmamento delle star di Hollywood importato nei nostri cieli, assieme al suo intero repertorio di cosiddetti sogni.

 

Prima delle scene girate in teatro, il film mostra scene di vita quotidiana della provincia: strade deserte nelle ore serali in un sobborgo anonimo, uomini che si recano al varietà, altri a casa coi loro bambini e le loro mogli poco attraenti. Ogni cosa sembra suggerirci che il varietà rappresenta qualcosa di fuorilegge, una fuga dall’addomesticamento sociale. Gli attori del varietà sembrano anch’essi parte di questa esperienza, poiché la loro posizione di esterni alla legge domestica incarna il mito dell’artista che è libero da tutti i legami della vita borghese. Il capocomico (interpretato da Pappino De Filippo) parla di se stesso come di un’artista e del teatro di varietà come di una forma d’arte: “l’intero mondo artistico italiano sentirà parlare del nostro successo!” dice a un certo punto. C’è qualcosa di sintomatico in queste mitologie italiane per quanto riguarda il teatro, dove tutto è falso: falsa l’idea di fuga, che in verità si limita a rinsaldare la natura inclusiva dell’addomesticamento sociale, e falsa la posizione dell’attore-artista che non smette mai di camuffare le realtà della vita con promesse che sono irraggiungibili, false e fuori luogo. Questo è lo sfondo dei primi film di Fellini, sul quale viene delineata la fenomenologia del maschio italiano.

2. La bugia nelle vita quotidiana italiana

E ora un immagine speculare delle precedente: il maschio italiano nel suo travestimento da amante esotico. È tratta dal primo film di Fellini, Lo sceicco bianco, girato nel 1952, e parla di una moda del dopoguerra, che correva parallela ai film americani sui nostri schermi all’epoca, con tutta la loro mitologia e popolarità diffusa. È la voga del cosiddetto “fotoromanzo”, ciò che in inglese si traduce pressappoco come “racconto per immagini”. C’erano storie d’amore narrate scena per scena come nei fumetti salvo che i le foto sostituivano i consueti disegni. Erano anche pubblicazioni economiche che sia riflettevano sia imitavano le mitologie cinematografiche del tempo nel modo in cui i foto-attori venivano trasformati in star piene di successo dai loro lettori. Il film di Fellini racconta la storia di una innocente sposina di provincia in viaggio di nozze a Roma, che vuole incontrare il foto-attore di cui è innamorata. L’attore è noto come “lo sceicco bianco” perché riveste ruoli esotici e si veste come Rodolfo Valentino nei famosi film girati nel deserto arabico.

 

L’attore che interpreta la parte nel film di Fellini è uno dei più grandi attori comici italiani, Alberto Sordi. In questo film appare alla giovane sposa mentre dondola su un’altalena molto alta vestito come un principe esotico. Vediamo qui per la prima volta una delle immagini felliniane che rende il senso di una visione fantastica, ma resa con un umorismo che ne ribalta il significato. È la figura dell’uomo che vola sulle ali della fantasia, ma incarnato da un attore che è sia soprappeso che dall’aria in qualche modo equivoca. Fellini si serve delle straordinarie doti di Alberto Sordi per far sembrare che ogni cosa il suo personaggio faccia o dica sia falsa. L’effetto è rinforzato dal fatto che Sordi ha sempre incarnato il tipo di personaggio che non può fare a meno di travestire la vita con una maschera di promesse fasulle.

 

I personaggi di Sordi giocano un ruolo centrale nel nostro cinema comico, ma non perché rappresentino alcuna doppiezza personale o psicologica, come nelle vecchie commedie di costume.

La maschera comica di Sordi dispiega una falsità che è impossibile condannare poiché è inseparabile dal comportamento quotidiano. Questa tipologia maschile è parte integrante della tradizione italiana della menzogna, che trova la sua forma più perfetta nella spettacolare teatralità della Roma papale; e le sue origini nel modo di concepire la religione e il potere come ostentazione spettacolare proprio della Chiesa cattolica. Fellini parla spesso di un maschio italiano che non riesce a “liberarsi dalle vecchie complicità e compromessi” e della Chiesa cattolica come”la maggiore responsabile per questo tipo di Italiano bloccato in un infantilismo cronico”. A dire: un insieme di norme del vivere che predispone ogni cosa all’esibizione, persino per quanto concerne i più piccoli affari della vita quotidiana. Per questo motivo, non c’è motivo nel fare una precisa distinzione tra ciò che è vero e ciò che è falso (come è il caso della cultura intellettuale anglosassone).

 

Non penso che sia possibile comprendere il background dei film di Fellini senza avere una qualche familiarità con queste tipologie di personaggi. Da una parte l’uomo ingoiato in una banda con altri uomini ingoiati, tutti che guardano una donna, a dall’altra un attore gigione che si traveste da latin lover, che incarna una sorta di falsitànazionale, tirato su con una dieta di esibizione. Questo è tutto in evidenza negli euforici commenti osceni diretti alle donne e nel patetico esibizionismo del tenore lirico. L’Opera ha costituito un importante punto di riferimento nello sviluppo dei nostri atteggiamenti e costumi poiché i tenori agiscono come galli in un pollaio, cantando mentre incedono impettiti rivendicando il terreno per le loro galline. Fellini attira la nostra attenzione su questo tipo di etologia comica in una scena di E la nave va, dove c’è una competizione tra tenori che gonfiano il petto (com’era solito fare Mussolini) nel tentativo di superare ciascuno le note alte dell’altro.

 

Visto da vicino, questo comportamento è sintomatico della nostra cultura cattolica, presa com’è sempre tra repressione privata e pubblica ostentazione. Da una parte c’è la famiglia, che insiste sul nascondere gli impulsi sessuali, dall’altra c’è il bisogno da parte dei nostri rubacuori di rendere note le loro imprese sessuali: due tendenze che convergono grazie all’automatismo della bugia e al processo di mistificazione, Il risultato di tutto questo è stato un condizionamento sociale che differisce in maniera evidente da quello dell’Europa moderna e dell’America.

3. Il tipo maschile auto-erotico

Sordi crea caricature di tipi romani che considerano se stessi furbi o intraprendenti o affascinanti, ma che sono tutti destinati a finire come figure piuttosto patetiche. In ciò egli è grandemente debitore della tradizione delle macchiette romane (“personaggi tipici romani”), raffinata al livello più alto di arte teatrale da Ettore Petrolini negli anni venti. Il personaggio dello sceicco bianco, come lo rappresenta Sordi, ricorda molto da vicino un personaggio di una commedia del 1924 di nome Gastone, una delle creazioni più famose di Petrolini. Gastone si presenta cantando: “Ho donne a profusione/e sto facendo collezione”: era un attore che interpretava sempre il rubacuori, atteggiandosi come se fosse un dono di Dio alle donne, proprio come Sordi agisce in effetti quando dondola con noncuranza sull’altalena sotto lo sguardo estatico della giovane sposa di provincia.

La creazione esotica di Sordi nel film di Fellini è anche direttamente correlata all’immagine di Rodolfo Valentino nel suo film più famoso, Lo sceicco, girato nel 1921. Utilizzando gli stesi prototipi, Sordi dirige la nostra attenzione verso un denso groviglio di clichè che circondano il maschio italiano.

 

Non c’è dubbio che in tutto il mondo occidentale l’avvento della seduzione cinematografica come si vede nei film di Hollywood abbia determinato un enorme e radicale trasformazione nei comportamenti sessuali e nei clichè riguardanti il sesso. L’immagine di Rodolfo Valentino gioca un ruolo cruciale in questo: un’immagine esotica collegata agli stereotipi già diffusi dall’industria turistica americana e orientata verso i paesi caldi, con una dose aggiunta di clichè sentimentali. Valentino era un attore italo-americano, e la sua origine latina giocava una parte decisiva nella sua incoronazione come uno dei leggendari “grandi amanti”. Ha avuto pure un certo impatto sulle fantasie sessuali italiane durante il periodo fascista, che si è poi evoluto in quel tipo specifico di maschio che è il “latin lover”. Il latin lover è il riflesso speculare dell’uomo in gruppo che guarda la femmina da distante: è il volo della fantasia che lo porta oltre l’impotente fissità del suo addomesticamento sociale. Ci sono due versioni opposte dello stesso clichè, e l’una non potrebbe esistere senza l’altra.

 

Nella figura del “grande amatore” le chimere del desiderio fluiscono dall’immagine femminile a quella del maschio centrato su se stesso: il maschio che si trasforma in un’icona erotica, il maschio il cui amore per le donne è mediato da come esse gli riflettono la forma della sua adorata immagine.

Si tratta del tipo “auto-erotico” che il nostro Gadda pensava applicato a Mussolini: “reso un idolo dall’idolatria delle donne”, col suo atteggiarsi fortemente mascolino e vanitoso, “il grande amatore” che vuol fecondare tutte le donne nel nome della patria (dice Gadda).

 

Questo afferma la fantasia auto-erotica del maschio che crede di essere adorato e sognato da “donne a profusione”; cioè a dire, la tipica fantasia del latin lover, o del collezionista di donne come il Gastone di Petrolini. Fellini, nel suo primo film, si serve della maschera comica di Sordi per trasformare l’icona idealizzata da Valentino in un memorabile personaggio comico. In verità, gli occorrono appena alcuni fotogrammi per trasformare tali fantasie maschili di fuga dalla vita domestica in qualcosa di simile alla pantomima; e la macchina dello show business, gli attori adorati dal pubblico comune, l’intera retorica della seduzione mirata allo spettatore, ogni cosa diventa una caricatura, una sorta di finzione dozzinale.

4. L’altro lato del “grande amatore”

La sceneggiatura dello Sceicco bianco era stata scritta da Michelangelo Antonioni, che stava pensando di realizzare una denuncia sociale di come le menti delle persone vengono manipolate da fenomeni quali gli attori da “fotoromanzo”, come essi influiscano sulle vite di persone quali le spose di provincia. In seguito Antonioni decise di non fare il film, permettendo a Fellini di intervenire sia come sceneggiatore che come regista. Nella versione di Fellini, il versante di critica sociale è molto attenuato. Invece la trama viene ridisegnata sui contorni delle commedie italiane di costume. Tuttavia l’innovazione decisiva è qualcos’altro. Ciò che interessa Fellini nei “racconti per immagini” è che si tratta di un tipo di cinema in economia. Le immagini sono create con una macchina fotografica, ma il resto è come le produzioni cinematografiche che vediamo in altri film di Fellini, per esempio Intervista: il set nel caos, gli attori principali che indossano dei costumi, il regista che urla, la segretaria di produzione che lo segue, etc.

 

Una delle scene più divertenti nello Sceicco Bianco è quella della battaglia nel “deserto” (siamo naturalmente sulla modesta spiaggia di Ostia, vicino Roma), con gli attori equipaggiati di vestiti esotici e la sposa di provincia addobbata da odalisca. Un regista sciatto sta dando indicazioni mentre gli attori fanno ciò che è scritti nella sceneggiatura. Poi stanno tutti fermi immobili per essere fotografati. La scena ci ricorda che tutta la seduzione del cinema si basa su un gioco ridicolo: qualcuno che posa come una statua, proprio come Sordi su quell’ altalena incredibilmente alta, allo scopo di attrarre l’attenzione stupefatta di una donna. Ed è lo stesso nel cinema di oggi: dove una volta la vita andava e veniva in modo naturale, ora ogni cosa è immobilizzata in una rappresentazione fissa come i nostri monumenti al passato.

 

Dopo la scena della battaglia, arriviamo alla scena sulla barca dove lo “sceicco bianco” tenta di sedurre la sposa di provincia, ma combina un disastro. Poi arriva la moglie per riportarlo a casa, ed è una delle scene più divertenti e istruttive dell’intero film. La moglie del “grande amatore” è una megera che lavora proveniente dai sobborghi romani, che è tutt’altro che timida e scorrazza su uno scooter. Per di più, quando le giunge voce di quello di ciò che aveva combinato, la donna comincia a maltrattarlo. Quando Sordi prova a calmare la moglie infuriata, adulandola pateticamente e blaterando come un venditore, vediamo emergere un altro tipo di cinema, l’opposto del cinema di pose da statua quali quelle della falsa battaglia nel deserto. Vedo il nuovo cinema italiano nell’apparizione di quella moglie dai sobborghi che demolisce i clichè del “grande amatore”, mostrando il retroscena di ogni messa in scena spettacolare. Questo nuovo cinema è stato il primo ad attirare la nostra attenzione sul modo in cui la cosiddetta realtà quotidiana viene sepolta sotto queste rappresentazioni, non più percepibile tranne che attraverso il contrasto e il paradosso, come quello tra il “grande amatore” fasullo e la sua vivace moglie megera.

 

(Binder Lecture, Maggio 2006, San Diego Universitry of San Diego, Los Angeles, California. Traduzione di Stefania Conte)

 

(*) NOTA REDAZIONALE – Questo testo è un estratto da uno studio “ancora in corso” e inedito, che Celati ha presentato in inglese a Los Angeles nel maggio 2006. Nella Premessa, Celati scrive: “Questo saggio […] è stato suggerito dalla straordinaria serie di osservazioni sul maschio italiano che abbraccia l’intera produzione filmica di Fellini. Si tratta di osservazioni su abitudini e atteggiamenti collettivi, stereotipi nazionali, inclinazioni sessuali, etc. Lo strumento che Fellini applica più di frequente è il senso dell’umorismo, poiché la sua mappa di esempi è quasi interamente composta da maschi caricaturali. Tuttavia sarebbe assurdo cercare un riferimento al normale maschio italiano, e lo sarebbe ancor più aspettarsi una sua rappresentazione ‘oggettiva’. Fellini ha sempre sostenuto di non avere idee generali o opinioni politiche da sbandierare. Il terreno in cui ci attira è quello delle visioni, come un modo di pensare per immagini. In questa pratica, l’immagine non deve essere vista come rappresentazione della cosiddetta realtà, ma piuttosto come un mezzo che lasci trapelare qualcosa al di là delle raffigurazioni correnti. In questo senso, il cinema di Fellini rappresenta una sorta di cannocchiale antropologico che ci aiuta a comprendere il carattere italiano da una prospettiva molto più ampia di quella che sarebbe possibile sulla scorta di pure e semplici informazioni. Credo che le osservazioni di Fellini su certi tipi di maschio italiano ci aiutino a gettare uno sguardo sull’Eros malato che bombarda attualmente le nostre ricche società”. Un’altra parte di questo saggio è leggibile qui. Le due parti non sono consecutive.

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