I testi raccolti in questo volume risalgono al tempo in cui – poco meno di dieci anni fa – me ne andavo in giro per i luoghi in cui sono nato e vivo, nei paraggi di Napoli, a prendere appunti su tutto: sulle insegne dei negozi, sui muri scrostati dei palazzi, sui cortili, sulle storie della mia famiglia, sui paesaggi e su altre cose che mi ispiravano. Avevo da poco fatto ritorno, dopo anni trascorsi a studiare e lavorare fuori, e mi era sorto un interesse spontaneo per tutto quello che vedevo qui; ero attento alle minime apparenze del mondo esterno, perfino il modo in cui erano disposte le file di alberi lungo una strada mi suscitava pensieri. In un certo senso, viaggiavo rimanendo sempre nello stesso posto, per questo ho messo come titolo Divagazioni stanziali, perché mi accorgo che l’intenzione (o l’illusione) era quella di ridare vita per iscritto, attraverso le divagazioni della scrittura, all’umore del personaggio locale che ero allora. Personaggio che non ha fatto viaggi o compiuto imprese in giro per il mondo, ma che, scrivendo, va accorgendosi pian piano di non essersi mai mosso veramente da dove si trovava e ancora si trova.
Le tre sezioni in cui è suddiviso il volume fanno riferimento all’atteggiamento dominante, ma non esclusivo, dei diversi scritti in esse raccolti.
“Divagazioni in osservazione del mondo”, la prima sezione, è introdotta dalla riscrittura di una storia del Novellino, e l’atto del guardare vi è peculiare; in “Divagazioni in ascolto del mondo”, i racconti captati in giro dal personaggio narratore sono introdotti da una riscrittura di una novella di Vittorio Imbriani, Per questo Cristo, ebbi a farmi turco!; in “Divagazioni in pensiero sul mondo”, infine, l’introduzione è affidata alla riscrittura di un racconto politico-filosofico di Heinrich Von Kleist, Michele Kolhaas, e leggendo i due testi che seguono si dovrebbe capire perché.
Tuttavia, è nel dittico in versi conclusivo, ispirato a due affermazioni di Leopardi e Avicenna, che forse si esprime in sintesi quello che ho appreso scrivendo le Divagazioni stanziali: e cioè che osservare, ascoltare e riflettere vanno sempre insieme, perché dalle cose che guardiamo e ascoltiamo affiorano naturalmente i pensieri, come nei pensieri altro non c’è che l’immagine delle cose che abbiamo visto o ascoltato. È per questo che la suddivisione del presente volume è da intendersi in maniera retorica più che categorica, come artificio per sottolineare la solida concatenazione dei suddetti movimenti del corpo e dell’anima, prima della loro essenza e differenza.
Questo testo costituisce l’introduzione a Divagazioni stanziali di Enrico De Vivo, QuiEdit 2009
QUARTA DI COPERTINA di Divagazioni stanziali
Ecco un libro pieno di pazienza, di calma, di attenzioni, di bei racconti, senza niente di romanzesco, tutto al naturale. Quasi tutti quelli che scrivono mettono avanti serie giustificazioni, mostrandosi gente che sa come va il mondo e cosa bisogna pensare. Invece qui troviamo uno che scrive come per un gioco di onde di corrente che passano attraverso il suo sistema nervoso, per tornare poi all’esterno – ma strada facendo hanno scaricato un po’ di effluvi maligni. Scrive Gianni Celati : “Sui monti, nelle valli, nelle paludi, nei deserti di sabbia o nei deserti delle città, lontano da quelli che non vogliono sentirsi sbagliati, e che per non sentirsi sbagliati stanno sempre a calcolare la mossa vincente… noi cerchiamo qualcosa che somigli al libro di Enrico De Vivo – scritto per le delizie del divagare, del riscrivere storie e tentare strade senza obbligo, in uno stato di atarassia napoletana, o dei paraggi”.
Enrico De Vivo (Nocera Inferiore, 1963) ha pubblicato nel 1999 Racconti impensati di ragazzini (Feltrinelli) e nel 2004 ha curato l’antologia Il fior fiore di Zibaldoni e altre meraviglie (Edit Santoro). Nel 2001 ha ideato la rivista letteraria Zibaldoni e altre meraviglie (www.zibaldoni.it), che dirige tuttora. Vive e lavora ad Angri, in provincia di Salerno.