I passeri sono, tra tutti gli animali che vivono accanto all’uomo, quelli più comuni e quotidiani. Sono paradossalmente così comuni che nessuno quasi li nota. Sembrerebbe impossibile se non fosse palese evidenza che zampettano accanto a noi e riescono a vivere nel marasma del mondo di oggi con compassata decenza. Tutti i giorni questi uccelletti benevoli spazzolano le briciole e i rimasugli degli umani tra i tavolini di un bar o ai margini dell’entrata di qualche negozio. Sui balconi si appoggiano per spiccare il volo verso i tetti delle case, sulle strade atterrano per qualche ricognizione e se ne vanno. Se ne incontrano in tutte le stagioni dell’anno, ora a far bagni di polvere, ora a far “passeraio” dentro la chioma di un albero che scolora. Li si vede saltabeccare sulla neve e viene da chiedersi come fanno quei mucchietti di piume e ossa a cavarsela d’inverno. Si ascoltano cinguettare con fraseggi amorosi a primavera che sembrano abbiano frequentato le rime di qualche poeta tanta è la grazia dei loro canti. Sono consustanziali alla città e ai luoghi dell’abitare umano. Si incantucciano sotto i tetti delle case, consapevoli di questa vicinanza, apparentemente indifferenti, a volte perplessi, come a guardare con la coda dell’occhio, perché con gli umani che vivono accanto “non si sa mai”. Città o paesi che non sia frequentato da passeri sono luoghi di infelice abitare, bastano infatti un paio di passeri magari a ciucciare col becco in una fontana per mettere contentezza. Proprio fontane e passeri sono quasi in via di estinzione, i passeri decimati dall’inquinamento urbano, l’acqua un tempo bene comune, da non disperdere per fontane, scarsa e da pagare.
L’elogio che qui si vuol fare dei passeri è una dimessa allegoria e si dovrà fondare su qualche assunto, tanto per cominciare scientifico: sono uccelli onnivori che sanno stare in ecosistemi antropizzati in stretta relazione con altri animali e piante. Il passero maschio si riconosce per il vertice grigio, la nuca castana, la gola nera e le guance biancastre. La femmina ed i giovani non hanno la gola nera, sono bruno sporco di sopra e bianco grigiastro di sotto, senza segni di riconoscimento. La nicchia ecologica dove si insediano sono le aree coltivate, le zone con costruzioni, raramente lontano dalle abitazioni. Fanno i nidi sotto i coppi dei tetti delle case o tra arbusti e piante rampicanti dei cortili.
La loro è una comunissima vita di cittadini spazza briciole o di altri scarti dell’umano consumare. I passeri possiedono la qualità rara della compostezza e una scioltezza esistenziale che fa vivere con poco. Nessuno come loro sa tenere occhi e orecchie ben aperti, usando i sensi con giudizio, in modo perspicace, affrontando i problemi quotidiani con efficacia.
Possiedono più di tanti altri animali, l’uso del comune, andar per briciole, usare quello che serve e per le altre cose sentirsi incapaci. Riparasi quel tanto che basta, amoreggiare senza disturbare quelle qualità comportamentali che fanno vivere senza correr dietro alle fanfallucche di imbonitori. Il passero anche quando saltella si sente che ha le ali, che c’è in questo modo di essere terra – aria, una sapienza molto alla buona che fa stare con agio nella quotidianeità. Come ha osservato Saul Bellow il mondo è pieno di idioti con un alto quoziente di intelligenza; tra questi lo scrittore esclude i passeri, che infatti non brillano di qualche particolare intelligenza, non sono consiglieri governativi, non fanno giornalisti, non intrattengono relazioni con editori, della televisione conoscono solo le antenne che sporgono sui tetti dove si appoggiano momentaneamente per riposare. Detto in altro modo, il senso comune del passero è praticità, leggerezza e inaccessibilità
Come Socrate nella Atene di un tempo, che se ne andava per la città confuso e trasognato sempre a dimostrare la sua inadeguatezza e il suo non sapere, così i passeri per niente confusi semmai incapaci, e tuttavia presenti e partecipi.
Una cittadinanza onoraria hai passeri?
Del senso pratico dei passeri si può fare un’epica, non si tratta della praticità nel senso strettamente pragmatico dell’utilità, ma nel senso più ampio popolarmente filosofico della sagacità. Intelligenza, perspicacia nell’intuire e valutare le situazioni, acutezza e avvedutezza e grazia dell’uso del comune. Dire a qualcuno di percepire “l’uso del comune”, non significa dirgli di restare attaccato all’utilitaristico quanto dirgli di mettere la testa a posto, di non farsi imbambolare dai dispositivi che catturano, non comprare monetine di legno, stare dalla parte di ciò che non si può domare, lasciare che i morti seppelliscano i morti.
I passeri assomigliano a certi omini di un tempo che stavano tra la gente nascosti, però presenti e inaccessibili, pronti di battuta proverbiale, di mossa franca e spiazzante che porta semplicemente dalla parte del senso comune: “Chi esita è perduto”, “Guarda prima di saltare”, “Chi la fa l’aspetti”.
I passeri non sono sentenziosi sebbene ci sia un qualche eloquenza e un pensiero sbrigativo, forse il sentito dire degli uccelli quando sollevandosi sulle zampette e alzando il petto fanno un forte “cip” di intesa emotiva.
Quando sono tanti e fanno cip cip, l’eloquio comunitario condiviso è saggezza che spunta fuori da un passeraio. E così via. E’ per questo pot-pourri di nozioni disparate che possiamo dire dei passeri tutto il bene possibile, così come lo diciamo dei sistemi di senso comune in generale, che ci permettono di cogliere la grande uniformità della vita nel mondo. Ai passeri non la si fa, sono di mosse spicciole, di abilità comuni, non si lasciano sopraffare dalle contraddizioni grossolane, dagli impostori mascherati.
Può esserci una vicinanza tra passeri e umani che vada al di là della indifferente convivenza? Si raccontano storie in Romagna di un vecchio venditore di giornali di Marina di Ravenna che dava ricovero nella sua edicola a una famiglia numerosa di passerotti. Magro e sottile, con una barbetta ispida e mal rasata, l’edicolante stava tra mucchi di giornali a vendere o contare le rese con grande fatica, per via della scarsa vista. Sui cappelli arruffati e bianchi si posavano i passeri… questa forse è una diceria da non avvalorare…come l’altra che affermava che avesse sbollito una febbre terzana sudando tra due materassi e annusando nafta, con i passeri che lo stavano a guardare. Era il vanto del paese, come la fontana dell’acqua che veniva su da sotto terra che prendeva fuoco, per via del metano del sottosuolo. La sua edicola era attorniata da ombrelloni, panchine, vasi, fioriere e un piccolo cucinotto dove si preparava il pasto di mezzogiorno. Molti passanti o massaie e anche piccoli mendicanti si sedevano a chiacchierare e ad osservare i volteggi degli uccelletti. Per questa ragione aveva qualche problema con le autorità del paese che gli imputavano di sottrarre spazio al parcheggio delle macchine.
Per i passeri, teneva da parte rimasugli di pane e pasta che offriva con molte cerimonie e moine. I passerotti arrivavano quando lui li chiamava, si mettevano in fila sul suo braccio e uno per uno saltellando, arrivavano sulla sua mano per raccogliere briciole con il piccoli colpi di becco. Li apostrofava con discorsetti umoristici o proverbiali. “L’uccello mattiniero piglia i vermi”, rimproverava ai ritardatari e agli impazienti, “Chi ha troppa fretta beve il the con la forchetta”. I passeri lo guardavano con intensità anche se con occhio laterale e lui si sentiva come un re del paese delle fiabe ritenendo lo sguardo di passero una fatagione. Quando il vecchio andava a giocare a bigliardo, lo accompagnavano attraversando la piazza del paese in volo fino alla porta del bar, per poi ritornare sul tetto dell’edicola, dove aspettavano il suo ritorno. Il vecchio suonava il violino con una certa sgradevole genialità che i passerotti non sapevano apprezzare e allora si allontanavano costernati.
Perché tanta passione per i passeri in vecchi rimbambiti e strambi, in lunatici poeti e giocattolai? A sentire poeti e letterati le risposte a questa domanda sono tante quanto le briciole che cadono a terra da una pagnotta di buon pane, spezzata e condivisa:
Passero, delizia della mia fanciulla, col quale è solita giocare. (Catullo)
Passero mai solitario in alcun tetto non fu quant’io. (Francesco Petrarca)
Ormai nei nidi di ieri non c’è più passeri. (M. Cervantes)
Tu pensoso in disparte il tutto miri. (Giacomo Leopardi)
Quanti propositi vani, che sicumera farnètica e buffa e che sussulti di passero. (A.M.Ripellino)
Ci sono alcuni passeri. Ma come si fa a intrattenere un rapporto costruttivo con un passero?(Giorgio Manganelli)
Passeri, indiani dalla testa nera. (Peter Handke)
Una strada senza passeri, un giocattolo senza bambini. (Peter Handke)
I passeri sono dei grandi incapaci. (H. Michaux).
Guardo un passero che becchetta una merda fresca, straordinario come è facile campare per un passero. (Henry Miller)
In un calendario dedicato a Mario Quintana, il poeta brasiliano dei passerotti secondo Ruben Alvez, c’è un cielo azzurro con una enorme luna piena e il profilo del vecchietto sorridente, con un bastone e un passerotto in mano.
Non è comune che i passerotti si posino in mano a contatto con gli esseri umani, anche in Brasile. La ragione la spiega Bachelard : “Gli uomini sono coloro che hanno perso la fiducia degli uccelli”. Ma sembra che il passero fermo sul bastone dell’anziano poeta Mario Quintana non abbia letto Bachelard. Lui si fida dell’uomo che tiene il bastone.
Questo uccellino è una allusione a una quartina che Quintana ha scritto per vendicarsi dei sui assassini. E’ noto che lui è stato ucciso diverse volte, secondo la sua stessa testimonianza. “La prima volta che mi hanno ucciso, ho perso il sorriso che avevo…Dopo, ogni volta che mi uccidevano hanno portato via qualcosa di me…”
E’ un testo triste che sanguina. Quando l’ha scritto sentiva ancora il dolore provocato dal coltello.
Dopo, col tempo, ha imparato che ridere è l’arma che uccide più della rabbia.
E’ stato allora che ha trovato la fine del proprio caso.
Poemino del contrariato:
“Tutti quelli che ingombrano la mia strada,
loro passeranno… io passerotto”.