Forse sarà un’eresia, ma a volte viene da chiedersi se i musicisti virtuosi, quei mostri di bravura capaci di infilare le acrobazie più spericolate, di innalzarsi al di sopra della mischia col sorriso sulle labbra e una folla osannante ai loro piedi, facciano davvero bene alla musica. Talvolta infatti ho come la sensazione che in giro ci siano troppi musicisti bravissimi e troppo poca musica bellissima, quasi che i primi togliessero l’ossigeno alla seconda. Ai concerti, nonostante la Banda Bassotti che ci governa, qualcuno ancora ci va. Non importa se pop, classica, jazz, opera; il fatto è che quando si riaccendono le luci e sento il pubblico che dice: «Dio com’è bravo!», divento triste. Perché la frase che vorrei sentire non è quella. «Dio che bella musica!» Quella è la frase che vorrei sentire. Ma capita di rado. Nelle sale da concerto, nei locali o negli stadi quando arrivano i Lang Lang, i Wynton Marsalis, i Keith Jarrett, le Cecila Bartoli, i Pat Metheny, gli Stefano Bollani la musica sembra farsi da parte per lasciare il passo alla bravura. Certi iperconcerti sfolgoranti come super cd ci fanno rimpiangere il vecchio fisarmonicista cieco che giù all’angolo della strada sbagliava qualche nota ma ti gonfiava il cuore di commozione, la banda di paese che non ne intonava una giusta eppure ha saputo trasformare quella piazza nel ricordo del paradiso perduto. Oppure Thelonious, il più enigmatico dei jazzisti, che sulla sua nomea di pasticcione alla tastiera ha costruito la sua fama e ha fatto galoppare le nostre fantasie più indicibili. «I made the wrong mistakes» disse una volta Thelonious Monk, ho fatto gli errori sbagliati. Il che indirettamente significava che esistono gli errori giusti. E allora, cari bravissimi musicisti, per favore, tornate sulla terra, regalateci qualche piccolo, umanissimo errore. Da tempo abbiamo capito quanto siete bravi e inarrivabili e trascendentali. Ma per favore adesso uscite dal vostro mondo digitale, da replicanti infallibili. E regalateci un po’ di musica fatta a mano, semplice, imperfetta e indimenticabile. Ma forse chiedere proprio a voi di rendere indimenticabile la musica facendoci dimenticare il divo è pretendere troppo…
Tratto da «l’Unità» del 26 luglio 2009, pag. 41.