Che cos’era che mi piaceva de I detective selvaggi di Bolaño? In termini formali, per me era chiaro che quella sua prosa, di apparente semplicità, aveva un lirismo contenuto e suggestivo e una musicalità poderosa e molto diversa da quella che avevano prodotto tutti gli autori del boom. La lettura di Bolaño produsse in me una dipendenza istantanea; sia per il carattere ludico e desacralizzante con il quale lo scrittore cileno si confronta con i diversi generi con i quali dialoga solo per decomporli; sia per questo suo desiderio di coinvolgere noi come lettori attivi, offrendoci opere frammentarie che appaiono sempre incomplete affinché le completiamo con la nostra immaginazione diventando così complici, indaghiamo come decifratori, congetturiamo alla ricerca della verità attraverso meccanismi narrativi dove convivono mescolate la realtà e la finzione, i fatti e le congetture, i personaggi apocrifi con quelli storici. Non per caso il critico José Miguel Oviedo ha detto che “Bolaño finisce sempre per convertire i suoi lettori in detective”.
Sotto l’aspetto affettivo, c’era qualcosa in Bolaño che non avevo mai trovato in nessun altro scrittore, qualcosa come una fraternità o una complicità silenziosa mediante la quale lui, che aveva sofferto molto, si rivolgeva a me come un giovane scrittore perduto e ansioso e che si era fatto nitido per me, dopo aver letto questo paragrafo del suo racconto Incontro con Enrique Lihn [Puttane assassine, pag. 271]: “Questo succede a tutti i giovani scrittori. C’è un momento in cui non hai più niente su cui appoggiarti, né amici, né tanto meno maestri, e non c’è nessuno che ti tenda la mano, le pubblicazioni, i premi, le borse sono per gli altri, quelli che hanno detto “sissignore” ripetutamente, o quelli che hanno adulato i mandarini della letteratura, un’orda interminabile la cui unica virtù è il loro senso poliziesco della vita, a quelli non sfugge niente, non perdonano niente”.
Non conobbi mai Bolaño, anche se, certamente, ci provai. Nel 2003 andai in Francia a scrivere e vivere come immaginavo avevano scritto e vissuto gli autori latinoamericani che vissero nella Parigi degli anni ‘60. Una totale stupidaggine, naturalmente, anche se allora era abbastanza reale e significativa per me che andavo per la vita come un orfano. Grazie al caso, conobbi Robert Amutio, traduttore francese di Bolaño, e tramite lui mi venne in mente di scrivergli una lettera manoscritta emulando una lettera che Bolaño aveva scritto a Enrique Lihn quando era un poeta adolescente.
La risposta mi arrivò in forma elettronica tramite Amutio. Bolaño ironizzava, diceva a Robert che sembrava che non avessi e-mail. Trascrivo qui il breve interscambio espistolare-elettronico che sostenemmo alcuni giorni dopo.
29/5/2003
Stimato Sig. Bolaño,
ho ricevuto un messaggio di Robert Amutio. Può scrivermi quando vuole, mi piacerebbe molto ricevere la sua risposta. Le ho inviato una lettera postale, perché lei fece allo stesso modo con Enrique Lihn, e beh, ho pensato che così era meglio. È stato un errore non aver incluso il mio indirizzo elettronico, mi dispiace.
Sarò a Barcellona in ottobre (anche se credo che questo già lo sa).
Un cordiale saluto
D.
30/5/2010
Querido Diego,
quando scrissi a Lihn non esisteva internet né e-mail o come si chiama questo sistema di posta elettromagnetico, né avevo soldi, nel caso fosse esistito, per permettermi una macchina simile. In ogni caso desidero ringraziarti per il tuo saggio su I detective selvaggi, molto generoso, che ho letto come se non fosse riferito a me. Di sicuro credo che hai indovinato nell’identificazione del poeta peruviano. Che fai in Too loose? E che è successo con il messicano e la nordamericana che ho conosciuto a Parigi? Ricevi un forte abbraccio.
Roberto
31/5/2003
Roberto,
non vivo a Toulouse sebbene, sì, mi sento Too loose con regolarità. Sono venuto a Bordeaux per scrivere (magari suona ingenuo ma è la verità). Ho terminato il corso di laurea e ho deciso di postergare il dottorato di un anno per dedicarmi in pieno al mio romanzo due. Non c’è motivo di ringraziarmi per il saggio, al contrario, sono io che ti ringrazio per il romanzo. Non solo mi ha condotto in Messico (cercando qualcosa che non avrei mai trovato; aspettando invano una vaga ombra di qualche errante Maria Font) ma mi ha anche accompagnato fin là e ora mi segue ovunque vada. La mia permanenza in Europa è temporanea. voglio finire il mio dottorato, più in là del mio odio, confesso di abitare le desertiche arene del Texas. Ti racconto questo perché amplierò la mia tesi di laurea (su I detective selvaggi) nella tesi dottorale (che è già quasi un libro) includendo Monsieur Pain e Notturno cileno.
Poco tempo fa ho letto Fuoco pallido di Nabokov, un romanzo raro e stupendo che devi aver letto, l’idea del lettore come detective è nitida nel romanzo. L’atto di procedere saltando pagine e seguendo le indicazioni di un
editore fittizio e il fatto che questi ti va dando pezzetti di informazione e ti deformi l’esistente secondo la sua personale convenienza, mi ha dato idee importanti per il mio romanzo. Mi piacerebbe parlarti di esso: Non l’ho mostrato a nessuno (nemmeno alla principessa basca) perché sono di quelli che il pudore soggioga. Non voglio nemmeno scriverti dieci pagine al riguardo, so quanto sei occupato e qualcosa mi ha riferito Robert del nuovo libro di racconti a cui stai lavorando. Di Oswaldo e Sarah so che ritorneranno ad Austin per continuare gli studi (sempre a cavallo tra i due paesi). Bene, Roberto, ti ringrazio molto per la tua risposta, è stato molto emozionante. Un abbraccio.
A presto.
D.
2/6/2003
Caro Trelles,
che invidia provo per la tua gioventù, l’abbondanza di energia, tutte le possibilità del mondo pronte per essere conquistate o morire nell’impegno. Parlami del tuo romanzo, però soprattutto scrivilo. Senza paura; però anche, e questo forse è importante, con una umiltà degna di San Francesco o almeno di Jacopone da Todi. Ogni giorno che passa sono sempre più convinto che l’atto di scrivere è un atto cosciente di umiltà. Bene, resto in attesa. Nel frattempo ricevi un forte abbraccio,
Bolaño.
L’ultima mail che scrissi a Bolaño, non ebbe mai risposta. In essa gli chiedevo alcuni minuti del suo tempo per andare a Blanes a conoscerlo. Il 15 di luglio del 2003 seppi della morte di Bolaño da una lettera cruda e commovente di Robert Amutio.