LETTERATURA
Così aggressivo, si disse un calamaro,
sono ridicolo: un fine raggio d’inchiostro
già depista questi mostri, assai poco critici.
Perduta l’abbondanza del cuore,
scoprì la voluttà formale:
mentirsi oggettività nell’arabesco
e con tutto ciò mostrarsi ancora soggettivo.
La posa orgogliosa per non celarsi troppo, la chiamò
sincerità: il timore di trovarsi
troppo esposto, sentimento dello stile.
Consegnato alla speranza che le convulsioni
dell’acqua lo favorissero,
ripose fede nel linguaggio. Morì
divorato: l’ineffabile lo tentò.
ATTRAVERSO I TEMPERAMENTI
Alcuni pini troppo sensibili si contorcono
lasciando intendere come si sentano patetici
mentre compiono questo dovere lirico
di esprimere il vento, che pure giunge limpido.
Le radici scricchiolano sorde, e i rami
esultano di dolore per proclamare
che è grave che soffi lo spirito. Il vento,
quando esce dal bosco, è tutto marcio di lamenti.
LA VITA PERDURABILE
La sera non dice nulla di oggi. Siamo già
piuttosto a domani. Fa freddo, come se
tutte le cose fossero giallo limone.
Come chi va per strada recando un pacco
senza ormai nessuna traccia di memoria
che gli possa aprire il ricordo di una vita
non oppressa dal peso del pacco,
così le mie mani, morte dal troppo
sopportare un tempo fattosi presente prima dell’ora,
non si levano per un cenno di addio. Non c’è
passato. Sì, faccio anche collezione
di giorni, ma ho solo doppioni.
PAESAGGIO CON FIGURE
Due reattori tarlano il cielo. Si arrampicano
fino a iniettare l’ago di pulviscolo
nel cuore del vasto oblio solare. A
terra, il mondo nasconde che il senno
gli sfugge ancora e gira con lenta astuzia
imperiosa: ogni verticale
s’inclina e scivoliamo ai bordi
del vivere nel cui centro ci troveremo
domani. Oggi è domenica. I mandorli
ridono nel vedersi, ancora nudi, nell’acqua
dei ruscelli che lasciano precipitare
le loro ombre verso il fondo. È il momento giusto,
tutto è perfetto e nulla possiede per intero
la sua primavera. Tutto è più
persuasivo così, sottile e traslucido.
E giacché ci crediamo, ci sentiamo ricchi.
Felici di assaporare tutti un unico sapore,
ci sembra di assaggiare il futuro. Dividiamoci
fra noialtri i giorni che verranno,
come gli spicchi di un’arancia. Tieni…
IL DISTRATTO
Certamente oggi c’erano nuvole,
ma non ho guardato in alto. È tutto il giorno
che vedo volti e pietre e tronchi d’albero,
e porte attraverso cui volti entrano ed escono.
Guardavo da vicino, non mi alzavo da terra.
Ora m’è venuto buio e non ho visto le nuvole.
Bisogna che domani me ne ricordi. L’altro giorno
ho guardato in alto, e oltre la ringhiera
di un terrazzo, una ragazza che s’era
lavata la testa – un asciugamano
sulle spalle – si passava
una, dieci, venti volte, il pettine fra i capelli.
Le sue braccia assomigliavano ai rami di un albero molto alto.
Erano le quattro del pomeriggio, e c’era vento.
JOSEP CARNER
Nella notte più profonda e buia, non voglio sentire
l’odore di maggio che fuori vibra, ed è piccola
la lampada che getta abbastanza luce
sulle pagine pallide del libro, le poesie di Carner,
che mi hai regalato ieri. Son passati due anni e quattro mesi
da quando donai questo libro a un’altra ragazza. Parole
che ho letto pensando a lei e che lei ha letto
per me e che sono del tutto nuove ora
che le leggo per te, pensando a te.
Parole che han parlato a tutti e tre e che fan
sì che ci assomigliamo. Parole che restano,
mentre variano i nostri giorni e i nostri sensi mutano,
offerte perché ritorniamo a comprenderle. Come una patria.
IDOLI
Allora, quando stavamo distesi e
abbracciati davanti alla finestra
aperta sul pendio degli ulivi (due
semi nudi dentro un frutto che l’estate
ha spaccato con violenza e che si riempie
di aria) non avevamo ricordi. Eravamo
il ricordo che abbiamo ora. Eravamo
questa immagine. Gli idoli di noi stessi,
per la sottomessa fede del dopo.
Queste poesie sono tratte dal volume Curriculum vitae – Poesie 1960- 1968 di Gabriel Ferrater, a cura di Pietro U. Dini, edito da Metauro (2010) nella collana “Biblioteca di poesia” diretta da Massimo Rizzante. È la prima volta che questo poeta catalano viene tradotto in Italia. “Concepisco la poesia come la descrizione, momento per momento, della vita morale di un uomo ordinario, quale io sono”, diceva Ferrater. “Quando scrivo una poesia, l’unica cosa che mi preoccupa e che mi costa sacrificio è quella di definire bene il mio atteggiamento morale, ovvero la distanza che c’è tra il sentimento che la poesia esprime e ciò che potremmo chiamare il centro della mia immaginazione. Uno dei motivi per cui scriviamo poesia è il desiderio di vedere fin dove possiamo elevare l’energia emotiva della nostra lingua, e ciò ci conduce a scegliere temi insidiosi, molto adatti a corromperci e a ottenere dai noi stessi un eccesso di partecipazione. Ma non dobbiamo consentirlo, e il dovere primario del poeta davanti a un tema è di collocarlo al suo posto, senza contemplazioni”.