Il romanzo Iperione o l’eremita in Grecia ha reso famoso il poeta Friedrich Hölderlin più delle sue poesie. Addirittura ai suoi tempi per molte persone lui era l’autore di Iperione e nient’altro. Lui stesso era affezionato a quest’opera a cui aveva lavorato – a quanto ci è dato a sapere – cinque anni, forse anche di più. Quando esce il secondo volumetto di Iperione Friedrich scrive due dediche nella copia per Susette Gontard, la persona che ama di più al mondo: una sul frontispizio in grandi lettere corsive: “A chi altri se non a te“; e un’altra nascosta all’interno della copertina:
L’influenza di nature nobili è necessaria all’artista come la luce del giorno alle piante, e come la luce del giorno si ritrova nella pianta non nel suo consueto aspetto, ma soltanto nel gioco variegato terrestre dei colori, così le nature nobili non ritrovano se stesse ma tracce sparse della loro eccellenza nelle varie figure e giochi dell’artista (L’autore)”.
La cosa bella è che Susette a sua volta percepiva profondamente l’indole poetica di Hölderlin, e si vede da una sola frase in una lettera che ha scritto al suo amato Friedrich: “… tu parli spesso del tuo Iperione chiamandolo un romanzo, io lo penso come un’unica bellissima poesia”. Con intuito e grande sensibilità musicale e con le sue semplici parole, Susette dice per prima quello che più tardi scopriranno alcuni grandi studiosi: cioè che Hölderlin non è capace di scrivere in prosa, le sue frasi ubbidiscono sempre a una prosodia, a un ritmo poetico, sia legato a qualche metro o libero.
E questo modo di scrivere non lo ha mai abbandonato, nemmeno negli anni del ritiro nella torre quando era considerato malato di mente ed aveva quasi smesso di scrivere: quel poco che ancora gli succede di comporre sono sempre poesie, semplici, ma impeccabili, perfette nei ritmi e nelle rime.