Prosa, poesia
Prima di tutto, come afferma lo stesso Lamborghini, identificarsi con Rimbaud.
Ma non dalla «prospettiva francese», ma da quella africana o, che è lo stesso, della pampa argentina. La qual cosa significa accettare la decisione di Rimbaud di non scrivere più “poesia”, con tutte le sue conseguenze, che sono almeno tre.
Lamborghini è colui che ha atteso e incontrato Rimbaud in fuga dalla poesia in una stanza d’hotel di Buenos Aires. I due avranno parlato di sesso. Probabilmente avranno bevuto molto. Ma nessuno dei due avrà cercato nell’ivresse un vascello o almeno una zattera che li trasportasse in qualche inferno o paradiso. Tutto ciò era alle loro spalle. Ogni trasgressione linguistica era alle loro spalle. Forse si saranno affacciati alla finestra. Si saranno messi ad ascoltare le voci della strada. Lamborghini avrà confessato a Rimbaud che in fondo la sua era «una letteratura famigliare: il desiderio di prolungare senza fine un dopocena». Che cosa poteva farci se il coltello domestico poi si trasformava in uno strumento di tortura? Forse hanno intuito che dire in un altro modo, «dire male», non comportava più alcuna ricerca del nuovo, che anzi proprio questa ricerca del nuovo si era fatta troppo seria, era diventata accademica. Per questa ragione la vera audacia di Lamborghini sta nel «riprendere le vecchie strofe», nel copiare «il metro dei traduttori di Walt Whitman», nel mimare la loro libertà, il «loro muovere le spalle», come scrive in una sua poesia intitolata Jacobo Fijman non oserebbe. È in questo che egli evita ogni dettato melodico e confonde le acque del cuento e del canto. Al parto, preferisce le doglie; alla follia non solo patologica di Jacobo Fijman, poeta ebreo-argentino morto in un manicomio, «l’inadeguatezza» dei propri mezzi, intercalata ogni tanto da qualche «imprecazione», che proprio perché «incongruente» riesce a riprendere, a pigliare al gancio e a tradurre il poeta, il suo «cambio di tonalità».
Jacobo Fijman non oserebbe riprendere le vecchie strofe di questa poesia. Io sì, il mio Amore Divino si Meraviglia degli Scandolosi Splendori della sua Stele. Se copio il metro dei traduttori di Walt Whitman, la loro dolce libertà,
il loro muovere le spalle
al ritmo di un motivo
adattato dal Primo Movimento e pronunciando
ogni
tanto
un’imprecazione presentata come incongruente,
è perché quel ritmo mi permette di riprendere anche
me stesso
di tradurmi.
Passano gli anni
e il mio gran cambio di tonalità
La ripresa di «vecchie strofe», come del poema gauchesco, l’introdurre «un’imprecazione», una boutade («lamborghini di tutto il mondo unitevi»), il refrain di una musica popolare, la ripetizione di parole scansionate da una punteggiatura del tutto personale (un suo segno distintivo), il taglio sintattico e l’amputazione del ritmo (la prosa cortada) sono operazioni funzionali a ottenere quella tonalità «famigliare» e soprattutto quella distanza ironica in grado di non prendere sul serio l’armamentario del poeta assolutamente moderno: «Mi Aveva – Proibito/Le allusioni letterarie, la rima triviale in questa fase da incorreggibile vizioso./Ma sono nato in uno specchio dove qualsiasi “oggetto”/ era accessibile salvo la distanza». Il poeta dovrà perciò non tanto esibire una volontà innovatrice rispetto alle forme tradizionali, quanto mostrare «l’insufficienza» della propria posizione storica e linguistica, avendo sempre chiaro di appartenere purtroppo a «una generazione» il cui marchio di fabbrica è quello lirico («Se c’è qualcosa che odio è la musica,/Le rime, i giochi di parole»), non importa se in chiave sperimentale o di impegno politico, nella consapevolezza inoltre che cercare la bellezza nell’arte significa assestare a se stessi e al lettore un «colpo basso»:
La delicatezza lirica.
La Pace. La profondità dell’anima.
Ma che profondità sarebbe questa
senza la bellezza (stupida, sentimentale)?
La condanna della bellezza
è sempre
(è sempre)
di essere sentimentale: come l’arte,
un colpo basso.
Maschio, femmina
La seconda conseguenza è che Lamborghini, «a forza di non scegliere», resta al di qua dei generi. Nella duplice nozione di poesia e prosa e di maschio e femmina.
È vero che iniziò la sua vicenda letteraria nel 1969 scrivendo un racconto, El fiord, e che la terminò dedicandosi quasi interamente, nella sua stanza di recluso di Calle Berna a Barcellona, a un ciclo di tre romanzi, Tadeys, uscito postumo. Ma bisogna sottolineare che questo ciclo era nato precedentemente in forma di «prosa cortada» o poesia e che anche il suo secondo racconto, Sebregondi retrocede, pubblicato nel 1973, nella sua versione originale era un libro in versi che egli stesso si preoccupò di riscrivere in prosa. Del resto, è vero anche il contrario. In molte sue poesie lunghe il racconto interviene, si alterna o si sostituisce al verso. Il caso di Lamborghini non è quello di un poeta che non riesce a scrivere in prosa, o che quando lo fa s’imbatte nel saggio o nella prosa poetica. Era un grande lettore di romanzi, un eccellente oratore, un inventore di storielle. César Aira, amico e curatore della sua opera, proprio analizzando le due versioni di Sebregondi retrocede, parla del metodo Lamborghini – un metodo che non prevedeva correzioni o ripensamenti – come di una: «traduzione virtuale: né prosa né verso, né la combinazione di entrambi, quanto piuttosto passaggio». Il fatto è che lo scrittore non scegliendo o, che è lo stesso, confidando pienamente nella sua «impotenza al genere racconto» così come della sua scarsa propensione a potenziare il verso, non si vuole né poeta né prosatore. Egli lascia aperta per sempre la porta affinché le forme circolino liberamente. Nella sua stanza d’albergo perfino il pensiero diventa una «sensazione» e la strada da prendere, come al solito, non si conosce o meglio non si sceglie: il cammino verso il «Personaggio» subito s’incrocia con un eroe ben più concreto, «lo scrittore», colto nella sua patetica quanto comica maturità:
Aria
aria,
Aria di bilancio senza un soldo e aria di morte che conferma quanto,
Considerando che nella cucina dell’albergo la luce non è un fuoco fatuo:
Lì trionfa una fiamma tentatrice.
Pronto a suggerire la sensazione «pensiero»,
Non sapevo che strada prendere: Personaggio,
Uno scrittore giunto alla sua grave maturità come un malato grave
Non scegliere alcune genere artistico, «né prosa o verso/ poesia o racconto» significa inoltre, rimanere fedele al pibe Rimbaud della pampa, che per quanto invecchiato e perfino obsoleto nella devastata Buenos Aires degli anni Settanta, tra depressione economica, violenze, colpi di stato, torture e sparizioni, è sempre giovane, «inadeguato»: «così parlo almeno nel ritmo cercato,/Il ritmo arbitrario del progetto senza sostanza,/E scrivo come un principiante, un pivello». Come afferma con efficacia Tamara Kamenszain, amica del poeta e lei stessa poetessa:
Simile a quella di Rimbaud, la voce di Lamborghini sembra venire dall’oltretomba. A forza di non scegliere, si mantiene sempre giovane e perviene, grazie al suo dettato giunto dal passato, a dimostrare che tutto ciò che si dice è antico. Come se esistesse una tonalità in grado di dire male, cioè in altro modo, quello che da sempre è scritto in un quaderno a righe.
Lo scrittore, «a forza di non scegliere», «si mantiene giovane», «un principiante», «un pivello» sempre alle prime armi. La sua forma poetica perciò non può essere che «una disgrazia passeggera».
Ancora più profonda e radicale, tanto da trasformarsi forse nel suo tema, è la non scelta tra «maschio o femmina».
El pibe Lamborghini desidera sperimentare nella lingua e attraverso la lingua ogni genere di sessualità: infantile, omosessuale, transessuale.
Nel primo caso non siamo di fronte a una semplice regressione, quanto a una volontà di liberare la sessualità dalle sue convenzioni linguistiche: «El amor existe: lo falso sono los pronombres, un ella y un él». Lo scrittore si adopera affinché la lingua si apra al corpo, o, in altre parole, che il piacere, questa creazione adulta chiamata erotismo – con il suo rovescio della medaglia chiamato pornografia – ritorni a essere un godimento infantile, sessuale. Si tratta di un’operazione ardua, di uno scontro violento che deve essere in grado di superare le «offese» che la «rima», «la musica», «i giochi di parole», la grammatica stessa della lingua, tutti nemici sempre in agguato, portano alla leggibilità dell’espressione: «Odio la mia lingua/ questo spagnolo chiuso come il culo di un pupazzo/ odio la mia lingua/ così come odio il mio sesso/ e impararne un’altra non ho mai voluto». Il solo modo di infrangere allo stesso tempo le frontiere della lingua, dei generi e delle età è quello di trasformarsi in «un uccellino, carne sottile e attenta», nel farsi carico di «un modo di pensare/ colpevole e allo stesso tempo/ irresponsabile/ assolutamente irresponsabile/ colpevole e due/ irresponsabile», di accollarsi la scelta, colpevole e irresponsabile, di non scegliere: di esistere poeticamente, come un bambino, prima di ogni lingua, genere o età.
E qual è il luogo per antonomasia di questa non scelta?
Il corpo ha un organo metaforico
è il luogo di tutte le trasmutazioni
è il luogo poetico per eccellenza, l’ano
nel senso che è il luogo
dove il bambino e la bambina
ancora s’incontrano
Si comprendono allora meglio le molte allusioni di Lamborghini al desiderio omosessuale.
Essere omosessuale in poesia, nella lingua, non è che un altro modo di far naufragare i relitti occidentali sulla sessualità: le spiegazioni di Freud, di Lévi-Strauss, di Lacan si trasformano così in «leggenda». Demistificare i loro assunti non significa ancora una volta, come ai tempi del liceale di Charleville, scandalizzare i buoni sentimenti borghesi, «mostrare il culo» (Tamara Kamenszain), quanto farne un uso linguistico, metaforico, ovvero parlare da quel luogo di incontro e di relazione, dove cuento e canto si confondono e in cui ciascuno di noi si può riconoscere: è questo l’altrove(«ningún lugar»), il luogo poetico per eccellenza di Lamborghini.
Tutti coloro che hanno avuto a che fare con il poeta sono concordi nel riportare il suo amore sconfinato per le donne. La sua biografia lo testimonia: dal suo matrimonio in giovanissima età con Piera fino all’ultima tappa catalana protetto dall’affetto di Hanna Muck. Una sua amica, ad esempio, ricorda di come gli brillavano gli occhi quando un giorno, commosso, le aveva confessato che niente al mondo era comparabile a quel momento allorché sentiva una donna afferrarlo tra le sue cosce e attirarlo a sé con forza. Certo, non fu femminista. César Aira afferma che egli diceva spesso di cercare «vere donne, non la stupida verità della donna». Come ogni uomo, desiderava essere anche donna. Non c’era in lui nessuna ideologia gay, queer. Non aveva nessuna concezione minoritaria dell’arte. Non si occupava di gender studies. Quando, un po’ per scherzo, un po’ perché non sapeva come tirare avanti, fondò una scuola di Psicoanalisi a Mar de Plata, amava firmarsi «Lord Acting out» o «Osvaldo Lamborghini, la mujer con pene». Avvertiva come forse nessun altro poeta del XX secolo l’incompletezza della sua sessualità, la retorica maschile della sessualità: «Poesia sono le tette che mi mancano».
Giunse a creare alcuni eteronimi, il più importante dei quali è forse quello di Juana Blanco. Il transfert, nel ciclo di poesie a lei dedicato, sembra avvenuto.
Ho fallito in molte cose!
Tuttavia.
Non ho il pene, ad esempio.
No ce l’ho e non ce l’ho.
E non so
se è uno scherzo.
E non so
se questo
è qualcosa di serio.
Tuttavia l’identificazione non è mai completa. Il poeta mantiene un margine di manovra da cui osservare e immaginare il mistero, tra il serio e il comico, di non avere un pene. In ogni caso, ciò che non può fare è pensare Juana Blanco morta. Juana non può morire in quanto il suo «nome», questo sì, si identifica con la parola «femmina»:
Ma tu
per me non sei morta.
È triste. Sono entrato in un bar,
ho chiacchierato con un amico. Ha detto il tuo nome:
ti ha quasi toccato, con la parola «femmina».
È lo stesso. Per me non sei morta.
In realtà il «luogo di tutte le trasmutazioni», quell’altrove da dove si può entrare in relazione con la poesia non può per Lamborghini coincidere né con l’essere uomo né con l’essere donna, ma nell’essere entrambi, nell’essere prima di ogni distinzione o nell’essere tra, in continuo divenire l’uno o l’altra, pasaje… Per questo può dire:
Che cos’é essere una checca?
Il contrario di un omosessuale,
per cominciare bene.
(…)
A noi checche non piacciono, per prima cosa,
gli uomini. Per,
per una questione di rigor logico
adottiamo nel coito una posizione passiva
intendiamoci: non vogliamo essere donne.
Ma uomini con la ragna-tela
C’è un passo poetico nell’opera di Lamborghini che, nel breve spazio di pochi versi, riesce a coinvolgere le radici della nostra civiltà, facendole girare a vuoto e mostrando la possibilità di un rapporto tra uomo e donna non più soggiogato ma liberato dalle distinzioni. Eccolo:
Voglia leggera d’introdurre esterrefatto
il pene scontroso nella patinosa vagina
e adorare poi la volta celeste.
Mi piacerebbe essere ebreo,
e come lo Spirito astuto e transessuale,
e non un tordo, un aedo marchiato,
che emana orrore anche se si traveste da Cupido.
L’uomo con «la ragna-tela», l’uomo-donna – l’uomo liberato dal pene («il pene esagera gli aneliti») in dialogo con la donna liberata dall’invidia del pene («un clitoride magnifico si lancia all’avventura») – così com’è in grado di descrivere lo stupore originario, filosofico, aristotelico, che ogni volta comporta una penetrazione, allo stesso modo non si accontenta della sua poesia, della sua religione, della sua razza. Desidera andare oltre il suo credo, il suo corpo e il suo godimento: transustanziarsi, secondo un nuovo dogma, nello «Spirito». L’amore infatti, tutto ciò che la nostra civiltà ha chiamato amore («Cupido»), emana «orrore»: si tratta di una lunga storia di schiave e padroni, di vittime e carnefici, di guerre in nome di un’Elena, di sacrifici e inquisizioni, di cazzi che si ergono eccitati di fronte ai massacri, di virilità confusa con la forza, di forza confusa con la debolezza, di vanità e di sindromi di Stoccolma.
E la vera profanazione – non lo scandalo –, cioè la concreta capacità di demistificare quell’«orrore» e di spostare in avanti il territorio del sacro, sarà possibile, secondo Lamborghini, solo se siamo disposti a riconscere «los falsos pronombres» lui e lei, se accettiamo di avventurarci, con astuzia, verso quel «luogo di tutte le trasmutazioni» in cui tutti noi, esseri finiti e caduchi e sessualmente di passaggio, transessuali, ci incontriamo e ci riconosciamo. Che poi questo luogo, l’ano, sia per Lamborghini «il luogo poetico per eccellenza» e per molti un luogo osceno, dipende dal fatto che tale profanazione provoca resistenze, paure, silenzio, appartenendo ancora a qualcosa su cui si deve tacere, su cui la “poesia” deve tacere, qualcosa che deve rimanere fuori dalla scena.
Una poesia di Osvaldo Lamborghini
(Juana Blanco)
Odio a mi lengua
el español cerrado
cerrado como un cu de muñeco
odio mi lengua
tanto como odio a mi sexo
y aprender otra nunca quise
y sí
me anticipo
: puedo entenderlo
– aunque acaso ¿acaso?
sí, acaso
no lo entienda
espacio
odio mi lengua
odio mi sexo
puedo entenderlo
y acaso no lo entienda
es divertido ser mujer
es lindo y bien caliente
es divertido como jugar
toda la vida a los indios
aunque a la larga o corta
venga
siempre
el triunfo y la venganza del ejército
¡pero tener
femenino el sexo!
los órganos ¡femeninos!
del sexo
adiós
ahí se acaban las plumas
los ululeos y las flechas
adiós
adiós juego
Treblinka nos abre sus puertas
(Juana Blanco)
Odio la mia lingua
questo spagnolo stretto
stretto come il culo di un pupazzo
odio la mia lingua
quanto odio il mio sesso
e impararne un’altra non ho mai voluto
e sì
lo dico prima
: posso capirlo
– anche se forse forse?
sì, forse
non lo capisco
spazio
odio la mia lingua
odio il mio sesso
posso capirlo
e forse non lo capisco
è divertente essere donna
è bello e molto sensuale
è divertente come giocare
tutta la vita agli indiani
anche se alla lunga o in breve
giunge
sempre
la vittoria e la vendetta dell’esercito
ma avere
il sesso di una donna!
gli organi femminili!
dal sesso
addio
lì finiscono le piume
gli ululati e le frecce
addio
addio gioco
Treblinka ci apre i cancelli.
Osvaldo Lamborghini nasce a Buenos Aires nel 1940. Nel 1969 pubblica il suo primo libro, El fiord, un racconto in prosa che circola di mano in mano, sebbene si venda solo in una libreria della capitale. César Aira, amico, scrittore e curatore dell’opus di Lamborghini ha scritto che «anche se non fu mai ripubblicato, fece un lungo cammino ed ebbe il destino dei grandi libri: fondare un mito». Nel 1973 esce un secondo libro: Sebregondi retrocede, che ha la stessa sorte del primo. Sempre nel 1973 Lamborghini si lancia con alcuni amici scrittori in un’altra avventura: Revista Literal (1973-1977) che, come tutte le riviste che segnano un’epoca, dura pochissimo, due o tre numeri. In Literal pubblica alcuni saggi e diverse poesie. Nel corso degli anni settanta, di Lamborghini, se si esclude qualche edizione artigianale e stravagante, si perdono editorialmente le tracce. Le sue poesie e i suoi racconti calamitano tuttavia molti aficionados, diventando oggetto di culto. Nel 1980 esce il suo terzo e ultimo libro pubblicato in vita, Poemas. Dopo una breve stagione tra Mar de Plata (dove fonda una Scuola freudiana di Psicoanalisi) e Pringles, decide di andare a vivere a Barcellona. Malato, torna in Argentina nel 1982. Nel 1983 è di nuovo a Barcellona, dove morirà due anni dopo, nel 1985. Gli anni catalani, trascorsi in volontario isolamento, saranno per Lamborghini estremamente fertili e culmineranno nella creazione di un’ampia opera prosastica, il ciclo Tadeys, e nell’elaborazione del Teatro proletario de cámara, un’opera allo stesso tempo poetica, prosastica e grafica.
Sí EDV, lo sé… es como tú dices, pero ahora ya está claro ¿no?
Grazie a T. L. per la precisazione. La poesia è di Oscar Steimberg, ripresa da Lamborghini.
Purtroppo, all’epoca della presente traduzione la questione non era ancora stata chiarita.
Todo bien, pero “Jacobo Fijman” en Majestad, etc. (1980) siempre fue de Oscar Steimberg.
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