A Enrico De Vivo, con gratitudine
Tra il marzo e l’aprile 1830:
1.
“L’Università ha concesso anche
diversi carichi di legna
per la stufa di maiolica
che scalderà lo studio
del mio caro amico.
Il domestico assegnato al suo servizio
provvederà alla bisogna
di una temperatura sempre calda,
confortevole, dolcemente accogliente.
Giacomo teme l’inverno tedesco – ma
so quanto fecondo esso saprà essere
per il suo alto genio
se solo gli sarà permesso
accesso ad una comunità che
lo aspetta e stima, che
da lui attende
parole di umanità e dottrina.
Due semestri, Conte Giacomo,
soltanto due semestri
e il calore d’un’amicizia,
di molte amicizie”.
2.
Lungo la dorsale adriatica
latte dolcificato col miele
sgangherata carrozza
(rumorosa e scomoda,
puzzolente di letame mal lavato)
contrade esauste e intristite
da governi retrivi
di preti senza luce di scienza,
di cultura.
A Faenza tetti d’ardesia che preparano
visioni
fantasticante andare
e muri di sasso.
3.
A Bologna il Bunsen gli compera
un grande mantello di pesante lana.
Nel bicchiere di vino rosso danza
una piuma di luce
discesa
dalle Crete senesi
fino alla sete di nobili bouquets
che il palato del Conte Leopardi
avverte nel seccume d’emozione
che gli raschia la gola
(lungo il viaggio,
spaventoso il freddo,
ma
nuovo, novissimo il mondo
che innanzi gli si para).
Colmi di libri i bauli
(ZIBALDONE DI PENSIERI
ultimi di marzo del 1830:
ho ceduto all’offerta dell’amico
generoso.
Temo il gelo.
Aspetto che mi visiti la poesia).
4.
Se l’Italia frantumata
saprà mai risollevarsi.
Gli amici di Toscana generosi
gli hanno donato
qualche danaro:
credono in lui. Fermamente.
Frantumata l’Italia lo
ignora –
lo lascia a morire
di freddo.
Due semestri in Germania –
filologia dantesca –
il gelo del clima invernale –
il caldo di altre menti votate
al sapere.
Libero
finalmente
dal bisogno materiale.
5.
“Spesso parliamo tedesco:
correggo i suoi (rari) errori.
Elogia la mia lingua
sì duttile ad esprimere il pensiero, dice;
trova straordinarie
ricchezza e versatilità lessicali.
E la Vostra lingua, allora?
Rileggo le Ricordanze:
nel Vostro pessimismo
radicale e lucidissimo
l’amore per la lingua
è forza e bellezza
alto impegno di stile e di concetto.
Fermo il Vostro lucido guardare
il Nulla negli occhi.
Ammiro il Vostro coraggio,
la nobiltà d’animo,
la mente concentrata nel vero
nudo e implacabile.
Vi è inviso lo spiritualismo,
or vago or quasi superstizioso,
di tanta letteratura
languida bambola ostaggio
della moda.
Vi è inviso il superficiale
miope ottimismo a buon mercato.
Rileggo le Operette morali“.
6.
Len-
tis-
sima scorre la Pianura lombarda
e le alberete e i cascinali.
Poi il Verbano s’affaccia
azzurrissimo
ai vetri della carrozza;
indica la strada
verso il Nord.
Tenero verde delle ortensie.
Il ricadere dei glicini.
7.
Una luce peculiare per ogni città,
rammenta Leopardi:
rossi riverberanti ed ocra di Bologna
bianchi perlacei di Firenze
lampeggianti verdegrigi di Venezia
afosi marroni di Roma.
8.
Traversando la Svizzera,
oltre il Gottardo.
Bianco, in alto il bianco profilato di cielo.
“Ho timore per il mio amico –
lo accompagno nel viaggio cui
l’ho persuaso
non senza rimorsi (da parte mia)
non senza terrori (da parte sua)”.
Il Bunsen scruta il volto del Conte,
ne anticipa i desideri
(sempre modesti, invero).
9.
Tema del freddo e della neve
del bianco e del silenzio.
Tema dell’ospitalità
in un’altra lingua.
Debole il corpo, impaurito
dal lungo viaggio,
facile il corpo a stancarsi.
Tema della lontananza.
10.
Allontanarsi ora da Zurigo
(sui tetti stridono
le banderuole segnavento –
ultimi nevischianti giorni)
entrare nel Württemberg.
Abitare ora tra le lingue
e ospitalità chiedere
da una lingua
nell’altra.
Quello del poeta è
mestiere di viandante.
Migratoria attitudine.
11.
Nel Gasthaus di Friburgo
trovano fiori freschi sul tavolo
in camera.
Pur inappetente, Giacomo
apprezza però il dolce di panna e ciliegie –
è incuriosito dal caffé che
paziente e lento
accompagna la conversazione,
la meditazione.
La Gastwirtin porge ai viaggiatori
calze pesanti di lana
profumate di lavanda.
Li invita a sedere davanti
al focolare
che ha acceso per loro.
12.
Viaggiano alla volta di Bonn
per onorare l’Alighieri,
la sua lingua.
È amore alla poesia.
Leopardi sorride grato al domestico
che silenzioso e servizievole sistema
il baule-scrittoio in camera.
Dolcissime ore dopocena
a stendere note al Poema dantesco!
(e si volge il disìo alla poesia
spalancano le parole del Maestro
sempre nuovi orizzonti sempre
più vasti sempre
più svariando in lontananza
in profondità di concetti
in altezza di pensiero
sempre convocando moti nuovi
d’affetti, d’idee).
Non si deve qui risparmiare
sulle candele: ardono, tante,
e riscaldano l’occhio che
il moto della mano segue
nello scrivere.
S’impingua frattanto lo zibaldone
di pensieri.
13.
Quando discendi alla radice
etimologica della tua lingua;
quando cerchi quello
che
ne sta all’origine;
quando il viaggiatore
gustando tra sé e sé
parole nella sua lingua
attraversa regioni di un’altra lingua.
14.
Nuota la Luna sopra i tetti
cuspidati di Friburgo.
Un libro di Heine, das Buch der Lieder,
dimenticato da un ospite distratto
nel salone del Gasthaus.
(Ad Occidente da qui
s’apre
la modernità –
fuggirà – ma
sarà davvero fuga? o non
un migrare
verso spazi più liberi?
ancora poco e andrà a Parigi
il poeta ebreo
libertà va cercando ch’è sì cara. . . . .
non desiderano
libertà
i suoi compatrioti?
Larghe plaghe d’Europa
cieche a servire
i tiranni?)
(e poeti come una ferita
nel corpo della lingua-
poeti rifiutati, poeti rimossi, poeti male intesi).
Uno spazzacamino in ferro battuto
s’arrampica
da sempre e per sempre
sul tetto della casa di fronte.
Durante la notte
Giacomo si sogna
a volare sopra sabbie d’argento
poi torri e galli segnavento
appare un fiume nella valle.
15.
Giacomo ha saputo del Poeta Folle
rinchiuso nella torre a Tubinga.
Occorre deviare dal percorso.
Gli rendono visita.
È un vecchio l’uomo in piedi
davanti alla finestra.
L’Italiano ne misura sùbito
la distanza incolmabile
tra il duro nucleo di assopita
coscienza e lo spazio della stanza,
entro cui stanno
loro due, gli estranei, – e la luce.
Leopardi s’inchina davanti al Poeta,
si scusa,
gli sembra ora indelicata
quell’intrusione.
Quasi si vergogna.
Hölderlin pronuncia “pallaksch”
e rimane tranquillo, le spalle
alla finestra.
Odora la torre di colle da falegname
e al pianoterra le ragazze della casa
cantano, mentre ricamano.
16.
Lasciano Tubinga
che il rintocco delle campane
allaga di suono.
Quanta sofferenza accoglie
una mente che recide sé
dal mondo!
Quanti sogni, quanti ideali
si dissolveranno poi
nel nulla!
E una cella nella torre
dond’essere contemporaneo
del mondo.
Giacomo ridice tra sé e sé
qualche verso del Canto notturno
(ci lavora con alacrità,
ne va definendo la stesura finale).
Come scrisse il Poeta tedesco tempo addietro?
Nel vento gelido stridono le banderuole.
È scabra indifferente muta superficie
lunare
il nostro esistere.
Come acqua di scoglio
in scoglio precipitata
lungo gli anni nell’incertezza,
in giù.
17.
Quando mi dipartii da Circe . . . . .
Un baule colmo di libri.
Durante la notte a Karlsruhe
Leopardi si avvolge in un mantello
di luce lunare
e cammina sopra i tetti
della città.
Scrittoio da viaggio fluttuante sopra
i colli marchigiani
a Occidente di essi lattescente il Gianicolo
e l’estuario dell’Arno, a Pisa, più a Nord –
sedersi allo scrittoio che lento vola,
sfregare le dita intirizzite
e
scrivere!
Migranti
anatre mandarine controluna.
18.
“Ecco: seguiremo il corso
del Grande Fiume
fino a Bonn.
La mia è terra di fiumi,
di grandi, lente chiatte
che li navigano.
E l’idea m’assale repentina,
quasi assassina,
ridicola forse:
Conte Giacomo, proseguireste
il viaggio
in battello?”
19.
I battellieri accettano,
prendono a bordo i forestieri.
La chiatta oscilla,
Leopardi ha le vertigini,
poi lo assale la nausea,
si sporge fuori bordo.
Ma non è più un ragazzino, cribbio!
Odia il proprio corpo
disobbediente e goffo
mangiucchiato da ridicoli malesseri
tirannico nell’aver freddo, sempre freddo –
sull’acqua s’accende l’aprile
il battelliere capo parla di sua
moglie, incinta, che lo aspetta
e Bunsen ascolta, ma
è in ambasce per l’amico.
(La nausea si placa, piano,
mentre scivola la chiatta
sul Fiume che sfolgorando
addita la Strada del Nord).
“È lungo il viaggio verso la foce,
cari signori.
Un’intera vita avanti e indietro
da Sciaffusa a Rotterdam: e
caricare
mandorle, seta, vini, tutto quello che
noi non potremo mai comperare e
trasportare
un siciliano canto
un agostano sole fattosi vino
centinaia di braccia di seta comasca
rinchiusi nella juta di robusti sacchi
o nel rovere d’antiche botti.
Talvolta traghettiamo esuli.”
20.
Approdano a Magonza –
proseguiranno in carrozza.
E sempre poesia: quotidiana
disciplina dell’esistere.
21.
COME CONCLUDERE
il Canto notturno, come concludere?
Poesia inenarrabile andare.
22.
“Mi piacerebbe mostrarVi
la Brughiera di Lüneburg
e le pianure della Pomerania, del Meclemburgo,
dilatati spazi a continuare
fino a noi
le infinite distese d’Asia.
Quanto concordi col Vostro poetare
le vastità terracquee del mio Paese . . . . ”
Leopardi ascolta. Annuisce.
Quell’amicizia
quel viaggio
gli dànno calore, conforto.
Gli duole il corpo
martoriato dai sobbalzi.
Vigile la mente,
curiosa,
assetata.
23.
Ricordi?
L’attesa d’una parola sapiente
e dire a che i poeti nei tempi
di carestia.
Ricordi?
24.
Un bicchiere di pochissimo vino del Reno
due coperte sulle gambe
(COME CONCLUDERE
il Canto notturno, come concludere?)
– e gli sovvengono i sogni,
quelli d’uomo maturo
e quelli di giovinetto.
Insonni notti, brevissimi sonni.
Viaggi, nel sonno.
Viaggi in volo.
Lune nel vino dello specchio galleggiano.
25.
Tema del volo e dello scrivere
tema del viaggio lungo
e lento
e traverso il bianco del freddo.
Fecondo bianco per la stagione
che verrà.
26.
Si spalanca la Luna
sopra i tetti cuspidati di Coblenza
ospiti in casa d’un amico del Bunsen
incisioni di Albrecht Dürer
lungo è il dopocena a discutere
d’arte
MELANCHOLIA:
un compasso tra le mani
a misurare la vanità del tutto
e l’abilità dell’arte
a muovere il bulino sulla lastra.
Le figlie dell’ospite suonano
Beethoven al pianoforte.
Una di loro canta.
Conosci la terra dove fioriscono i limoni?
Nell’ombra densa delle foglie ardono le arance . . . . .
27.
Un sorriso, forse?
Soltanto per lui?
Tenue rossore delle guance
ed occhi concentràti
sulla partitura.
Forse un vago cenno del pensiero
nella fanciulla gentile:
Venite anche Voi dal paese
assolato di Mignon.
28.
Durante il sonno
Leopardi cammina sospeso
stringendosi al petto
i lembi del mantello
di luna
cristalli di ghiaccio le stelle.
Con le dita li sfiora.
Un baule colmo di libri
(terrazzati vigneti)
s’abbandona il salice al fiume.
Da quelle altezze si scorge
Parigi-tappeto-di-luce
e più in là le Fiandre:
la Manica inquieta, insidiosa.
I boulevards
e un battello ebbro tra pochi anni
a discendere fiumi
boulevards (e la poesia)
le spleen, l’idéal
(e la poesia per dire
il caos della mente
oltre se stessa
scaraventata).
29.
Sapeste quanto decisiva
la Vostra poesia, Conte Leopardi,
per gli anni a venire.
Italia, asfissiante provincia.
30.
Eticità e bellezza
del verbo studiare.
Matura lentamente il libro.
31.
E se Voi voleste, conte Giacomo,
se Voi voleste
V’offrirei un viaggio a Dresda
nella pausa tra i due semestri:
Vi porterei a conoscere
un pittore:
blu
e sotteso blu.
La gamma vastissima
dei bianchi.
Macina ed amalgama i pigmenti
come nell’uso antico,
prepara da sé i colori.
Studi sull’esistere –
l’esistere traverso il vedere –
le finestre del suo studio danno
sul fiume –
vedere è pensare –
pensare è vedere
Il mar da lungi ?
32.
La biblioteca di Palazzo Leopardi,
la stanza sull’Arno a Pisa
ed ora gli spazi di Germania:
non
luoghi d’isolamento.
Al contrario, invece,
ben al contrario:
così stare
ben dentro all’esistenza di tutti:
ben dentro al mondo.
33.
Adesso va’, parola,
fino alla stanza del Poeta.
È notte: sei sola nello spazio
azzurro.
Adesso abiti, sola, tra le pareti
abbuiate.
Ti avvicini alle finestre schermate,
vuoi abituare le pupille alla
luce che dal Tempo
filtra nel recinto intriso di stupore.
Ascolta, parola, férmati e ascolta.
Ondeggia di mondo la stanza.
Il dolore si fa lame di canto.
Ultima tappa:
domani:
a Bonn.