Quando, molti anni fa, cominciai per diverse ragioni a frequentare Modena, nei miei giri senza meta per la città una scappata alla Delfini ce la facevo sempre. La prima volta mi ci aveva portato un amico un po’ più grande di me, che qualche tempo prima mi aveva prestato da leggere il Ricordo della Basca, e solo per questo io mi sentivo l’unico forestiero a sapere chi si nascondesse dietro quel nome ancora poco noto (nella libreria di questo mio amico accanto a Delfini avevo trovato anche Sputerò sulle vostre tombe di Boris Vian, e a pensare a quella lettura fatta in un pomeriggio d’estate sul divano di casa sua mi viene ancora l’angoscia, ma questa è un’altra storia). Anche adesso che vengo a Modena meno spesso di prima, e che la biblioteca della mia città non ha più nulla da invidiare a nessun’altra, alla Delfini ci torno sempre volentieri, magari solo per sedermi qualche minuto nel chiostro a non far nulla (anche se devo dire che da qualche tempo al mio itinerario solito ho aggiunto l’ara di Vetilia nel Palazzo dei musei, quella trovata per caso scavando una rotatoria sulla via Emilia, e più di tutto mi piace il colpo di benna che ha scheggiato il marmo, nell’angolo in alto).
La prima volta che andai alla Delfini me la ricordo ancora bene, fu poche settimane dopo che era stata aperta. Mi muovevo in punta di piedi e con circospezione, presagendo sbarramenti variamente distribuiti e in quantità direttamente proporzionale a quanto quel posto mi piaceva; mi aspettavo che da un momento all’altro si avvicinasse un addetto in divisa a chiedermi chi fossi e se avevo il permesso per prendere in mano quel libro. Qui devo spiegare che, per quelli che vengono da Firenze o da zone limitrofe, andare in biblioteca è da sempre un’esperienza traumatica. Se in Italia l’organizzazione delle biblioteche è tradizionalmente arcaica, a Firenze sembra immobile dai tempi dell’Unità. La prima cosa che si capisce appena si entra in questi posti è che stare lì dentro è un privilegio che ci si deve guadagnare, che gli impiegati ti concepiscono come un delinquente in potenza, che di principio non sei gradito e faresti meglio ad andartene. Biblioteche ricchissime di fondi rimangono precluse se non a una ristretta cerchia di privilegiati per cultura, per professione, per predisposizione innata agli arzigogoli burocratici. Per tutte le persone normali comprendere le regole, sempre diverse ed estrosamente insensate, che regolano l’accesso, la consultazione, il prestito delle biblioteche è un tormento che umilia e toglie la voglia di leggere.
Invece, quella volta che entrai alla Delfini nessuno mi disse niente. Gli impiegati non erano i soliti infeltriti dai modi polizieschi, e sembravano anzi ben disposti; sembrava che fossero lì non per fare la guardia ai libri, ma per aiutare chi li voleva leggere. Piano piano cominciai a prendere sicurezza e a muovermi con maggiore disinvoltura tra le scaffalature in legno chiaro. Mi ricordo che su un ripiano c’erano in fila tutti i volumi della Storia naturale di Plinio, quelli dei Millenni Einaudi. L’idea che se fossi stato di Modena sarei potuto andare lì quando volevo, prendere un volume di Plinio, leggermene un pezzo e rimetterlo a posto senza dover rendere conto a nessuno mi sembrava meravigliosa e insieme mi faceva anche un po’ rabbia.
Da quel momento, il mio rapporto con le biblioteche cambiò. Tornai a Firenze, dove studiavo all’università, con dentro il germe della rivolta. Raccontavo a tutti che a Modena c’era una biblioteca nuovissima (e non una biblioteca di quartiere, ma la biblioteca principale della città) che era pubblica sul serio e non per modo di dire, dove potevi entrare come ti pareva, anche in pigiama appena alzato, girare tra i corridoi, prendere un libro a tuo gusto e sederti a leggere, e non in una sala da falene, ma in una stanza luminosa e comoda, e che c’era anche un chiostro per andare a fumare, e un bar, e potevi prendere in prestito tutti i libri che volevi, e c’erano anche i film, i giornali, i fumetti. Io che sono piuttosto timido cominciai a diventare polemico; ingaggiavo sorde battaglie con gli impiegati che volevano controllare e protocollare, facevo proclami anche piuttosto impegnativi, tipo che se proprio si vuole aumentare il numero dei lettori le campagne in televisione non servono a nulla, si deve fare come alla Delfini, che è sempre aperta di giorno e di notte (un po’ esageravo) e gli addetti sono gentili e comprensivi, perché se i libri sono fatti per le persone, allora per la proprietà transitiva anche le biblioteche sono fatte per le persone, e non per tenerci in gabbia i libri. Ad essere sincero queste non erano tutte idee mie, un po’ le avevo lette nelle Pagine stravaganti di Giorgio Pasquali, un professore di filologia classica che aveva studiato in Germania, e che appena arrivato a Firenze fece togliere le grate in ferro dagli armadi della sala di lettura della facoltà, e a chi gli diceva “Professore, ma lei lo sa quanti libri spariranno?”, lui rispondeva pazienza, i libri sono beni di consumo, meglio un libro che sparisce o che si rompe per il troppo uso di un libro che nessuno legge.
Adesso, dopo vent’anni, io non lo so quanto la Delfini fosse davvero all’avanguardia o quanto fossimo indietro noi. Adesso a Prato, dove abito io, da circa tre anni la Biblioteca Lazzerini si è trasferita nell’ex fabbrica tessile Campolmi, e chi conosce questi posti sa quanto possono essere grandi, belle e luminose le fabbriche tessili di Prato, che sembrano fatte apposta per farci delle biblioteche. Nella Firenze dei dinosauri (mica topi) da biblioteca, dove la Nazionale rischia di chiudere per mancanza di fondi, il Comune ha aperto la Biblioteca delle Oblate, che è un po’ rumorosa perché i ragazzi più che per studiare ci vanno per incontrarsi, ma se non si devono fare dei lavori troppo impegnativi ci si sta bene, e c’è una bella vista sulla cupola del Brunelleschi. Anche a Pistoia nell’ex stabilimento Breda hanno aperto la biblioteca San Giorgio, tanto comoda e moderna che, mi hanno detto, Gianni Celati avrebbe promesso di regalargli tutti i suoi libri. Forse non dovrei dirlo, ma ad essere sincero io non so neppure che fine faranno le biblioteche fra qualche tempo. Magari diventeranno soltanto dei magazzini di libri frequentati dagli occhialuti compulsatori di pergamene o dagli ingobbiti fanatici della cellulosa, e la vera biblioteca, la più ricca e la più viva, sarà quella immateriale del web. Nessuno lo sa veramente che fine faranno i libri e le biblioteche come li conosciamo noi, e io non so neppure cosa augurarmi, perché nelle biblioteche come la Delfini ci sto benissimo, ma i libri di carta mi piacciono sempre meno. In fondo una biblioteca senza orari di apertura e senza tessere, dove puoi andare a prendere un libro dovunque tu sia, anche in un bosco, in un prato o in cima a un albero, non sarebbe la naturale conseguenza della rivoluzione libertaria iniziata a Modena venti anni fa? Basterebbe un click: “Scarica la Biblioteca Delfini sul tuo iPad”.