Come te
Tanti me lo dicevano (forse erano le mie voci): devi entrare in manicomio. Ma non erano le voci persecutorie che mi tuonavano dentro: “Lavora! Véstiti! Làvati! Spòsati!”. Queste non mi affliggevano affatto, erano persuasive e tenere, capivano tutto della mia vita di girovago e di copista, sapevano come fosse inconciliabile con la vita adulta, e mi suggerivano di trovare un sollievo. Il manicomio come asilo, come silenzio. Dolce cosa.
E poi ti ho conosciuto! Ah, essere come te! Sapere i destini che tu conosci: sarebbe bellissimo. Troppa è l’insignificanza del mio. E se lo scambiassi col tuo, mio caro scienziato? Quando ti parlo penso che sia possibile.
Il capolavoro della mia vita sarebbe arrivare, dopo una lunga passeggiata fra i faggi, all’ora esatta in cui i miei compagni cominciano a mangiare la minestra. Per non turbare il ritmo della cena non vengo ammesso al mio posto vuoto e, per quella volta, mangio insieme ai dottori. Mangio in tua compagnia, Weiss, senza guardarti negli occhi.
A matita
Weiss, caro dottore, da quasi trent’anni ho cominciato ad abbozzare con la matita tutto quello che scrivo, timidamente ma religiosamente, la scrittura è diventata un processo di languida e colossale lentezza, tanto che fra le parole che scrivo e dove girovago col pensiero mi si disfa il senso delle cose, come se scucissi un arazzo: e allora, scrivo una cosa a matita e un attimo dopo posso cancellarla, perché non è accaduto nulla…
Oh, mio giovane amico, se scrivo ancora? Non saprei dirti. Forse sì. Forse no. E se tutto il manicomio fosse pieno, dalla cucina al dormitorio, dei miei mozziconi di matita, della mia carta tagliata in foglietti fitti di parole?
Io amo le loro pagine, la loro forma. Credo che il libro migliore, il più bello, sia quello che ti fa uscire dal mondo in cui vegeti fisicamente per farti vivere e respirare nel mondo che lui solo sprigiona. Ogni libro mi interessa se è un universo nuovo che mette questo fra parentesi (e per il tempo della lettura lo polverizza, letteralmente). E poi, gli ultimi libri sono esattamente come i primi, nessuna differenza: solo che le ossa sono in rilievo e la pelle si è assottigliata.
Anestesia
Vedi, Weiss, non sopporto nulla che mi renda io. Ho cercato un’anestesia sensoriale che mi permettesse di esistere bene solo nella mia mente. Ho passato la vita in compagnia di morti che non smettevano di parlarmi. Perché avrei dovuto fare il contrario?
Camminare
Non voglio dire più niente. Sono quasi le sette. Aiutami a spegnere il sole, perché devo cominciare la mia passeggiata. No, non farà troppo buio. Non ci sarà bisogno di nessuna luce. Con me ho sempre una piccola torcia nella tasca del giaccone, ma non la userò. Conosco tutti i sentieri a memoria. Magari camminerò in compagnia di gatti selvatici. Sono rari, in Svizzera, ma fascinosi, e soprattutto non ti chiedono nulla. O meglio, ti chiedono di essere chi sei. Lo esigono. E, se menti, soffiano come forsennati.
L’ho inventato io
Tutto è possibile, se io ho inventato Herisau. Herisau è il mio Istituto Benjamenta, che avevo già immaginato cinquant’anni fa nel mio Jacob von Gunten. Non sono più il Walser che l’ha descritto. Sono un vecchio, ora, ma Herisau è mia, l’ho proprio inventata per me, stanza dopo stanza, con gli odori, le ombre, le sedie, le serrature, i bagni, i canestri, le voci, le porte, le scale. Posso uscire quando voglio e tornare quando voglio. Non devo andare da nessuna parte. Non ho vestiti da indossare, non ho pensieri da pensare, non ho parole da scrivere. Sono esattamente uno zero, come mi consigliava il severo Benjamenta. E se parlo con te, mio giovane Weiss, è perché nessuno leggerà i tuoi appunti di giovane e inesperto tirocinante. Comprends-tu bien?
Famiglia
Si può amare solo con la fantasia. Fare figli è una cosa incivile. Aggiungere al mondo esseri che domani si uccideranno con nuove guerre, è uno schifo. Il mio solo progetto, Weiss, è non fare nulla. Non procreare. Non aggiungere disordine a disordine accumulando sul pianeta altri esseri piangenti e desideranti (anche se gli occhi dei bimbi-cuccioli mi sgomentano per l’inerme dolcezza). Non credo alle idee progressive e positive, perché non sono mie. Rileggo Leopardi, il Dialogo della Natura e dell’Islandese, ma vorrei essere come te: bilingue, e leggere le Operette morali in originale. Ma mi accontento del mio umile tedesco. Quando un pensiero è necessario e forte, se ne fotte delle lingue che traversa. È un fulmine. E chi lo vede ne parlerà con parole spaccate dal fulmine. Nietzsche adorava Leopardi, anche se conosceva poco l’italiano.
La lingua degli uccelli
Ieri ho fatto un sogno. Tu non mi chiedevi nulla, io non ti rispondevo nulla. Eravamo così tranquilli, così sereni. Io sentivo che, tacendo, imparavo la lingua degli uccelli. Ma, per fortuna, non dovendo volare, non l’avrei mai usata. Che bello! Finalmente ricordo un sogno. Da mesi, ormai, faccio sonni brevi, mi sveglio nel cuore della notte e ogni volta sogno racconti perfetti senza ricordare nessun dettaglio. Saranno tutte bugie, le mie bugie. Quelle che (spero) accompagneranno il mio funerale come l’adagio per pianoforte, opera postuma, di Franz Schubert.
Nuotando
Tanti anni fa, nuotando in un lago, mi accorsi di tenere ferme le braccia e di muovere i piedi a mulinello, come per camminare dentro l’acqua. Mi muovevo. Piano, impercettibilmente. Ma mi muovevo. Progettai di andare lontanissimo. Se avessi tenuto quel ritmo per sedici ore consecutive, chissà dove mi sarei trovato. Certamente in un mondo remoto, liquido, immenso. Non muovevo le braccia come i nuotatori ma camminando come i camminatori, solo che lo facevo sott’acqua. Il peso di tanto liquido non mi infastidiva. Era tutto bellissimo, e non mi aspettavo di incontrare ciclopi o sirene. Continuavo a ruotare i piedi a mulinello, vedevo persino la faccia triste e bella di mia madre, finché mi spaventai perché stavo addormentandomi nell’acqua. Oh come sarebbe bello se la morte mi raggiungesse mentre corro nel mare, affannandomi fino all’orizzonte, oltre l’orizzonte, verso nessuna meta.
Essere opaco
Una cascata di personalità. Non saperle distinguere. Un grappolo di mani. E donne e ancora donne, e universi di innamorati, domestiche, briganti. Ma questo sogno non va bene. Io devo essere opaco, più opaco. Che nessuno sappia proprio più nulla di me. Voglio il fumo sul vetro, se io sono il vetro. Chi distingue me che intreccio pacchi da quel matto che raccoglie paglia? La sua maschera è la mia. Dottore, si vive sul filo. Ci associamo, dissociamo, disintrecciamo. Inevitabile. Inevitabile. Uno fra un milione sarà migliore degli altri, di questa nostra razza. Ma quello non sono io. Protesto da questo manicomio gentile. Protesto. Oscuratemi! Oscuratemi!
Per il tempo di una storia
Weiss, confessalo, Herisau è un cimitero. Tu non hai nessun parente sepolto nelle sue tombe? Nel campo A o nel campo B? Nella corsia C o nella corsia D? Ci sono tombe con tante epigrafi, con anamnesi accurate. Tombe senza nome, fogli bianchi. E le vite vere dove stanno? I morti, lo sai, aspettano, hanno tutto il tempo. Ma loro? Gli stravaganti e i balordi, i nati storti, vissuti storti, morti storti? Quelle vite eccezionali e sibilline di idioti e assassini, di falliti e violenti? Tu vivi nel cimitero di Herisau. Ne sei il custode, ora. Ma vuoi sapere di più. Vuoi vivere per il tempo di una storia. E mi parli perché io ho tante storie da raccontare. Sei interessato ai miei fogli non ancora scritti, non ancora volati via, alle molte vite ancora bianche nella mia mente. Ma io sono il matto, io sono il muto. Scrivile tu, quelle vite. È già il tramonto. Non hai nessun appuntamento, solo questo con me. Via da questo cimitero. Via, fuori di qui! Sono stufo di parlare con i morti. Camminiamo. Sarai tu a parlarmi, adesso. Sarò io ad ascoltarti.
Cambiare il mondo
Certo, potevo scegliere un convento per chiudermici dentro e pregare, rispettato dalla chiesa e dai potenti. Ma è meglio il manicomio. Ci sono meno idee su Dio qui dentro, meno preghiere incomprensibili, meno riti da accettare. Qui si sopravvive calmi. Qui si è sicuramente malati. Certificazioni, esami, firme, diagnosi. L’unica cosa che non sopporto sono gli “agitati”, quelli come me, tanti anni fa, che si sentivano strozzare da mani oscure. Perché bisogna avere sempre la testa inquieta? Il mondo non è già abbastanza agitato? Almeno opponiamoci al furore. Qui deve esserci la quiete.
Ma i giovani non sono mai tranquilli. E qui ci sono molti giovani che volevano cambiare il mondo. Volevano. Ma il mondo cambierà solo se loro saranno leali e silenziosi.
Mongolfiera
Sono pazzo perché sono vergine? Sono vergine perché sono pazzo? Essere vergini non è il peccato peggiore, è la difesa migliore. Lascio che il mondo proceda tranquillo. Io gli cammino a fianco. Passeggio, passeggio, è il mio modo per amarlo. Si può amare con violenza? No, no, con la violenza si può solo ferire e squarciare. L’amore è morbido, lento. È traversare la terra colorata guardandola da una mongolfiera. Da così tanto tempo le parole mi sembrano sciocche e sorde. Ma i canti degli uccelli, quelli che senti quando sei in alto, in cima al pallone, oh sì, come sono acuti proprio lassù! E qualche volta (ma non dirlo a nessuno, magari è un sintomo) mi sembra di sentire le voci dei cavalli. Come mi bisbigliò, lo ricordo appena, un’amica furiosa, di nome Greta, che avrebbe voluto sovvertire il mondo con lo stile logico e barbaro dei suoi occhi chiari. Forse Gulliver aveva ragione quando creò il regno razionale e perfetto degli Houyhnhnm. Io non creo regni, io accarezzo la carta stagnola che manda i riflessi di uno specchio, ma come luccica…
Utile o amabile
Vorrei sapere in che modo intendi controllare le anime di Herisau. Essere timoniere dei furori è un atto magico e una terapia. Ma stai tranquillo, non ti consiglierò, non ti contesterò. Sarò un niente. Io devo stare qui dentro. Fuori sarei pericoloso. Potrei anche essere utile, o amabile.
Talvolta, qui, piaccio a qualcuno. Questo non mi va, e mi offende. Mi si allontani. Mi si dimentichi. Tutte le mie vite sono state la costruzione di questo rifugio presente: sono la mia graziosa, apparente invisibilità. Nessun altro sentimento che questo: sparire continuando a respirare. Come se il corpo, almeno per un po’, si staccasse dalla pelle. Una burla. Una beffa.
Ma parlo a chi può capirmi? Dottor Weiss, tu sai cosa sto dicendo? La follia salva la vita quando non è ghigno, smorfia di dolore, quando invita a tacere.
Come il perfetto silenzio, lei è soltanto simile al sonno. O è un grido puntato negli occhi, come una spada.
Non illudetevi, dottori. Vorreste essere i nostri controllori. Ma controllare chi? E come? In che modo? Esiste un sedativo per certe collere metafisiche? Devo contraddirvi. Siamo noi a controllarvi, siamo solo noi la musica su cui potete tentare le vostre esecuzioni. Voi, dottori di Herisau, avete dimenticato che vi abbiamo concesso la parola su di noi. Concesso. Solo concesso. Un prestito. E ve la ritireremo quando vogliamo.
Questi colloqui con Robert Walser ci fanno entrare in un mondo bianco, terribile e affascinante nel contempo.
E Marco Ercolani sa (anche quando scrive di altri) essere presente al presente, pur se si permette il lusso di farci dubitare della sua presenza. Perfetta strategia di uno scrittore dall’opera segreta quanto preziosa.