Fuck me, honey, fuck me.
Quali altre parole per esorcizzare il demone
che possiede un paese dove sperma e Genesi
si mescolano a ogni battesimo del sangue?
Un po’ come Hernan Cortés,
quando si vantava con la sua Malinche
di averne sverginate in una battaglia
quante un hidalgo di Salamanca in tutta la sua vita.
Non che a Hollywood, nel 1943,
sprofondati nella disperazione e nell’alcol,
quei piccoli tiranni delle Twentieth Century Fox
avessero un metro di misura che non fosse l’uccello
o la grana. Ricordo Jonh Huston, dopo Il barbaro e la geisha.
Una bottiglia di bourbon in mano, confidò a un amico
che nel camerino di un teatro di Broadway
se n’era scopate dodici solo per vincere una scommessa.
Con Frank. Il punto di massimo onore
era trovare il modo di prendere per le corna
qualche sceneggiatore sprovveduto,
o ficcare le proprie banderillas sulle natiche
di una vacca, o, come si diceva nell’ambiente,
di una promessa. La vacca poteva chiamarsi Marylin Monroe
e il torero essere un cameriere dell’ambasciata
intento a ripulire una pozzanghera di urina sotto la sua sedia.
In ogni caso, dopo il ’56, mentre quella testa calda
di Kruscev sbatteva la sua scarpa maleodorante
sotto il naso dell’Occidente, alcuni babbuini
in un laboratorio di Boston incominciarono a mostrare
il culo sempre più raramente. Di lì a poco
il mercato fu invaso dai primi tranquillanti.
Era la buona novella. La voce si sparse come un’onda d’urto.
Sembrava che l’intera popolazione della California
si fosse ammassata a Bikini. Le purghe staliniane
erano finite come un paio di calzini sporchi
fra le cimici del Cremlino, ma le nevrosi
dei capitalisti avevano bisogno di ben altro salvatore.
Le piccole compresse Miltown fecero crollare i titoli
in borsa degli psicanalisti, i quali presero a rifornirsi di LSD.
Così ebbe inizio il grande esperimento: figli dei fiori, beat,
buddismo, Zen, il profeta Kerouac,
e tutta quella ricerca di spiritualità
che finì nell’eroina, a Cabo de Gata,
o a rimorchiare adolescenti nella casba di Fez.
In fondo, l’altra faccia del successo che distrusse le menti
dei Fitzgerald, degli Hemingway, dei Mailer,
tutti devastati dall’ossessione di essere veri uomini,
come se la debolezza non avesse sempre l’ultima parola…
La pop art sembrò compiere una digressione:
riempì gli Studios di bambini viziati che diventarono
subito preda delle nursery di turno. Jane Fonda
ne adottò un paio. Durante una marcia di protesta
s’accorse che non sbraitavano
abbastanza contro l’invasione di Praga.
Così li rispedì alla Factory con le loro valigie
piene di zuppa di pomodoro. Ma, esclusi il complesso edipico
e Dubček, di che cosa ci si era liberati?
Non certo dell’infantilismo bellico. Come diceva
il mio amico Romain: «Quando mai in Occidente
si è alzato qualcosa che non fosse un cazzo?».
Mio figlio Tyron, tornato dal Vietnam
senza un braccio, mi confessò di aver stuprato
due gemelle vietkong come addio alle armi.
Lo stesso aveva fatto mio padre con una gitana nel ’38.
A Murcia, prima di salpare per il Nuovo Mondo.
Un po’ come Hernan Cortés, a Hollywood,
dopo il solito massacro ai provini di Viva el Che!
[Questa poesia è tratta da Scuola di calore di Massimo Rizzante (Edizioni Effigie, 2013), in uscita in libreria in questi giorni. Altre poesie della stessa raccolta erano già state pubblicate in Zibaldoni qui e qui]