Passeggiata
Gli psicotici sognano, Weiss? Te lo sei mai chiesto? Io sì, da quando sono a Herisau. Ricordo che, tre notti fa, mi sentivo in mare aperto, aggrappato a un’asse di legno. L’aria era tiepida. Nessuna nave all’orizzonte. Avevo le gambe gelate. Vidi avvicinarsi uno scafo, una scala di corda si sporse dalla fiancata. Mi aggrappai, salii sui gradini di corda, sentii una voce: “Cosa vuole, signore, dello zucchero?” Ero in un negozio di Reinerstrasse e acquistavo delle caramelle. Il mare sembrava sparito. Sopra il giardino di Hessel, sotto il bianco monumento a Goethe, appaiono e scompaiono ombre di nubi. Il sole è coperto, biancastro. Gli uccellini cinguettano fra gli alberi, una signora sorrideva. Ma d’improvviso vedo una stiva aperta, un pozzo nero. Sono sul ponte di una nave grande, di legno scuro, che luccica al sole, con vele altissime. Al timone un uomo barbuto, le braccia sui raggi di legno. A prua un secondo uomo: osserva la bussola senza muovere un muscolo. Un terzo scruta le stelle con la stessa fissità. Un quarto è curvo a lavare la tolda. Il parco di Hessel non c’è più, quel bellissimo giardino è diventato una nave stregata; eppure i marinai non mostrano volti cadaverici o corpi sinistri; sono esseri normali, con la caratteristica di starsene perfettamente immobili. Come certe signore che, nel parco, mangiano il gelato e fissano i loro bimbi con indolenza. Io entro di soppiatto nella cabina del capitano: straborda di strumenti e di carte, abbandonati in un disordine inverosimile. Chi sarà il capitano, tra gli uomini che ho visto rigidi sul ponte? Forse il più vecchio, il più alto, quello con le braccia impietrite sul timone? Il diario di bordo è spalancato sul tavolo, sotto la bussola. Lo apro, lo sfoglio. “Ehi, signore, perché sta leggendo il mio libro? Come si permette?”. E lo schiaffo di una giovane donna mi colpisce in piena faccia. Resto costernato sulla panchina, la guancia mi fa male, tremo tutto. Il sole comincia a tramontare. Alcuni ragazzini prendono a sassate la testa di Goethe. A quei colpi mi sveglio spaventato. Oh, Weiss, Weiss, come si fa a smettere di sognare?
Abbronzatura
Sì, mi sei simpatico. Tu non sei abbronzato. Non sopporto i medici con la pelle bella scura, perfettamente sani nel loro camice bianco, reduci da viaggi in isole lussuose, che si aggirano tra di noi, straccioni e sporchi, come signori eleganti, come padroni. Quell’eleganza è disgustosa, sgradevole. Auguro a ogni medico di essere sempre pallido. Di avere un’aria smagrita e sciocca come me. Questione di pudore. Ma anche di terapia. Come fanno, quei totem di carne scura, a curare delle pelli scadenti, scheletriche, le nostre, senza provare un nauseante senso di superiorità?
Voci
Non ho più il tempo per scrivere. Devo occuparmi prevalentemente delle mie voci: hanno un bell’andamento ipnotico, una loro musica segreta, e io devo percepirle in profondità, devo farlo o finisco in loro balìa. Se mi distraggo, se scrivo, mi sento colpevole di non averle curate e ascoltate, e loro tornano, tornano ancora, e questa volta per farmi male, molto male, come un tuono dentro un tronco cavo…
Nomade e alcolista
Copista, commesso, bibliotecario, impiegato in una fabbrica di elastici, fattorino di banche commerciali. Ma ciò che ricordo non sono questi lavori, che duravano tre o quattro mesi. Ricordo la faccia di mio padre, fallito rilegatore di libri, che guardava me e non sapeva che sarei diventato un perdigiorno, un nomade innamorato del vino, un autore di libri per rari lettori (di uno ho venduto, credo, 47 copie). I libri dei falliti sono ossessioni stampate su carta. Per questo, adesso, non faccio più nulla. Preferisco il silenzio. Preferisco sparire.
Bell’impulso
Proprio il rischio delle tenebre è la maggiore chiarezza, caro il mio Weiss. Sono certo che hai letto Montaigne quando parla del Tasso e afferma che la sua sottile saggezza l’ha portato alla più letale follia. Che vuoi farci? Spiriti stravaganti. Libri eccellenti. Ma la lettura dei libri non è così importante. Cosa ci trovi, in normali trattati sulla morale e romanzi sul sentimento, che ti dia quel bell’impulso, sensuale e profondo, di avvicinarsi alla pelle dell’altro, di sentirla respirare? Quando la letteratura non è questo palpito, questo lungo odore vellutato, quando non ti accarezza le dita, è meglio tacere, essere vecchi e calmi, distribuire il miglio agli uccelli che si accostano alla panchina, in attesa del cibo che li nutrirà qualche giorno ancora, ingenuamente fiduciosi nella vita, amorosamente presenti. Sai, a Herisau io amo la vita perché nessuno si affanna a costruire lussuosi ideali, artificiosi progetti, macchine belliche con cui distruggere la terra. Nessuno vuole uccidere nessun Mortale Nemico. Perché non esistono nemici ma anime sottili e oscure che ci ispirano angosciosi e pesanti pensieri.
Il superstite
Ieri ho sognato di essere Ismaele, Weiss (ma perché devo sognare tanto?). Galleggiavo nell’oceano, ormai salvo, e mi raccoglieva una nave. Diversi marinai mi issavano, mi nutrivano, mi rivestivano. Venivo messo a letto. La fronte mi scottava. Ero in quello stato febbricitante, dentro una delle cuccette, quando di colpo non sentii più nessun rumore venire dalla nave. Mi alzo dal giaciglio, salgo sul ponte. C’è qualcosa di strano, nell’aria. Si va, ma lo scafo è come fosse fermo. La nave fende l’oceano con penosa lentezza. Le correnti sono scomparse. Le vele flosce e inutili. Vedo un foglietto sul ponte, lo raccolgo, lo leggo: “Tutto è cominciato da quando lo abbiamo preso a bordo. Dobbiamo sbarcare l’intruso. Dargli un po’ di viveri e il mare se lo inghiotta. Ma non possiamo. Troppo, troppo stanchi. Nessuno ha la forza di un solo movimento. Non abbiamo scampo finché quell’uomo è con noi”.
Ruoto la nuca e vedo l’equipaggio tutto immobile. Che angoscia! Mi getto subito in acqua, per salvare la nave. Ma attorno a me non c’è nessuna acqua, solo un lungo mare d’erba. Comincio ad annaspare, poi mi rialzo e cammino in un grande giardino. Gli alberi si muovono, scossi dal vento. Ogni panchina è una tavola che sembra andasse alla deriva. Poi tutto si acqueta. Mi trovo seduto accanto a una donna stupita, che mi fa cadere il gelato sulla barba. Devo avere un aspetto terribile e selvaggio, da lurido marinaio. Vorrei dirle “Non sono pericoloso, mi chiamano Ismaele, ho fatto un viaggio lunghissimo, fra balene e tempeste!”. Ma lei è già lontana, è lontana, grida aiuto. Sciocca avventata! Scervellata signorina! Di cosa avrà avuto paura? E mi sveglio di colpo.
Sentenze
Senza abissi un artista è una pianta senza profumo.
Perché vieni a trovarmi, quando la foresta è più interessante di me?
Perché? Io ho degli abissi? E quali? Dimmi numero, forma, consistenza. Ogni pozzo nero non ha forse delle misure, dei gradini, dei chiodi? E poi, il nero, non fa paura a nessuno. È il bianco a essere realmente terribile, quando il sangue fluisce dal viso e lo lascia scolorato, terreo.
Nutrimento
Non è che tu ne stai bello allineato nella terra di nessuno, né normale né folle, a fingere di giudicare noi, e invece in realtà ti nutri di noi, non sai far altro che starci ad ascoltare, che fermarti a vederci? Tu vuoi vederci tutti perché, dopo, sei più potente. Più sicuro. Sappi che non sarai mai sicuro da solo. Avrai bisogno dei bambini o dei folli, per esserlo. E i presidenti e i direttori rideranno di te, povero Weiss, che vivrai dopo di me, contro la vita. Chi mi ascolta è un mio simile. Chi non mi ascolta ha grandi affari in banca e molte donne nel suo letto. Non prova ciò che prova un matto. Ah, quello che prova il matto è ben diverso, io sì che lo so, oh come lo so…
Anima
Un farmaco con cui cancellarmi il volto e addolcirmi i lineamenti non ce l’hai, dottor Weiss? Il naso è troppo tozzo, la bocca troppo sottile. Una bella pomata che renda la mia faccia un pezzo uniforme di carne proprio non ce l’hai? Vergògnati. Se io fossi stato Dio, avrei inventato una specie diversa da quella umana, un essere nuovo che nascesse nell’estrema vecchiaia, saggio e stanco, e poi, col passare del tempo, diventasse sempre più giovane e forte, poi bambino, infine neonato, quindi un vapore e poi nulla, così, naturalmente, ritornando a non esistere. Perché Dio non ci ha concesso questa semplice grazia? Io non sono né il matto che pungete né il demente che custodite ma lo specchio che vi riflette. Non il vetro di un cristallo, Weiss, ma l’acciaio di una lama. Lama che non vibrerà nessun colpo. Le basta specchiare le vostre bocche e sconfiggere il loro silenzio con le parole. Parlerò, senza smettere. Dovrete seppellirmi per farmi tacere. Perseguitato o persecutore: la vita è una scelta.
Orecchio
Io sono solo un orecchio e voi mi versate mondo dentro – voci, giudizi, pensieri. Il caos. E con voce troppo alta! Vi prego – parlate più piano. Questo non è un ospedale. È il libro dei vivi che si preparano a non esserlo.
[…]
I volti, Weiss? Non li amo. Ai volti preferisco le unghie. Le unghie sono anonime: non hanno né bellezza né espressione. Crescono dopo la morte. Spesso le guardo come se non fossero parti di me.
Guardiani e balie
Guardiani o balie? Ridicolo. Io sono libero. io devo ridere. Rido dal fondo di un pozzo, non ho altro che questo. Rido dal buio. Mi manca tutto. Persino il nome. Ora so la verità. Sono senza legami. Io, che trabocco nel mondo degli spiriti, col regno dei morti vivi sono legato solo dai miei spaghi, dai miei canestri. E la testa abita giù, nello stomaco. Da sette mesi mi mangia il pensiero.
Guarda la mia cacca, Weiss: là ci sono secoli di categorie e di concetti. Se la mangiassi sarebbe come diventare servo della chiesa e cibarmi del corpo di Cristo, offerto per te e per tutti in remissione dei peccati. Ma i preti sono sordi e ciechi. Ubbidiscono a troppo spirito e lo spirito li intossica. Tristi e curvi, tutti vestiti di nero. Oh come vorrei sparpagliarli con tanti inni alla gioia!
Recinto
No, Weiss! Férmati! A cinque centimetri da me.
È questo il recinto.
Se lo varcherai, allora sia io che te sapremo come la mia identità deriva direttamente da un dio. È solo un’ipotesi, ma oltrepassa questa linea e diventerà reale, come reale è il cacciatore che scortica la preda. Io so chi sono. Tu sai cosa significhi saperlo? Non conosci le parole di nessuna ninnananna? Peccato, avresti risolto il dramma della mia follia. Elisa non mi cullò mai, e il suo occhio, mente mi guardava, mentiva: guardava un altro mondo dietro di me. Qualcosa di bianco. I suoi occhi erano neri, con tanto bianco dentro. Come potevo cullarmi da solo? Ah, la scrittura-ninna, la scrittura-nanna…
Induzione
Non convincermi a prendere farmaci. Non ce n’è alcun bisogno. Sai che osservo con scrupolo ogni forma di terapia. Ma nessuna scienza medica o chimica mi trasformerà. Nessuna. Può farmi qualcosa, una pillola, o anche galassie di terapie? Al massimo contribuiranno ad accentuare quel senso di sopore che da solo, con tutta la mente, cerco di indurre nel corpo. Potessi uscirne, anche solo per un attimo! Ah questa stupida, stupida gabbia! D’altronde non sono certo io ad annientare il mondo: è così abile da farlo da sé. Io lo assecondo, con l’orgoglio di camminare diritto nei campi, l’occhio fisso alla luce. Non avendo nulla da perdere, mi perdo con molta fierezza.
Macchia grigia
Un impiego sicuro, un posto d’ufficio, uno stipendio regolare? Avrebbe significato la distruzione della mia vita fisica e spirituale. Io, homme à tout faire? Io, che devo scrivere Theodora ? Io non voglio essere una piccola macchia grigia, un abisso di noia. Io, tu lo sai, preferisco sparire.
Non mi va
Dire di no è facilissimo. Detto una sola volta, ti guida veloce fin qui, all’interno del manicomio. Non voglio mangiare, non voglio bere, non voglio muovermi, non voglio imparare. O meglio, non mi va di mangiare, bere, muovermi, imparare. Il mondo intero è sovvertito da quel lieve bisbiglio: non mi va.
Alla fine i nodi vengono al pettine, i canestri si intrecciano con fibre indissolubili, e non c’è più nulla da fare se non decorare di parole il muro. Arabeschi, ragnatele, sillabe. Non hai mai la sensazione, dottore, che la vita sia soltanto una cripta e che tu sia tanto ignorante da non sapere neppure quanto durerà il buio? (Però, nella notte, la carta stagnola luccica come lume di lucciola, come riflesso di specchio, sembra tenere dentro di sé tutte le scritture…).
Poesia
Io scrivo poesie, dottor Weiss. Chi scrive poesie lo fa rarefacendo la vita. Si trasfondono emozioni, pensieri, tutto va nel foglio, il foglio si fa sonoro, bello, ricco, intenso, sensuale, felice, e il mondo, anche quelle belle ragazze francesi che si scattano fotografie in mezzo ai profumi del caffè e delle foglie, diventa delicata, friabile ombra. C’est tout. Nei casi più fortunati non resta proprio più nulla, magari un po’ di cenere. Con i fogli, a Herisau, si accende il fuoco nei camini, e tira che è un piacere.
Hölderlin
O dolce Hölderlin, alla fine entro nel tuo regno. Preferisco di sì. Entro, anche se non riesco a scrivere neppure l’ombra di un tuo inno. Ti prego, fammi entrare nella tua torre. Io sono stanco di camminare per boschi e vorrei stare un po’ con te. Potremmo anche ridere insieme, lo permettessero i secoli. Ma noi ce ne intendiamo di fantasmi. Noi, poeti ostriche che non si accontentano del piccolo fondale in cui sono sepolti. Noi, che nessuno sterminato poema, nessuna Mitica Battaglia di Alberi e di Uccelli appaga con le sue stupefatte strofe.
“ma perché devo sognare tanto”?
Marco Ercolani e scrivere e silenzio.
e Marco Ercolani scrive, scrive bellissimo. E del resto:”Proprio il rischio delle tenebre è la maggiore chiarezza”
Grazie.
Un caro saluto