Da
UNO
(minima propedeutica per non smettere di scrivere)
Da Seconda scansione del “qui”
Il vento si prende una parte di me,
crea una sostanza discosta dagli anni,
la guarda rapito, l’inghiotte, la sputa
ancora la lascia in me ritornare.
Oggi il respiro si perde nell’aria,
solo s’annulla in un’altra materia,
resiste, si scioglie, infine s’arrende
al soffio del sole che viene leggero.
Da
DUE
[una vasta foce di suoni e colori si forma
appena oltrepassata la soglia del risveglio.
Le parole sussurrate nel mezzo della folla
che avanza col primo accenno del mattino
raccontano di spaesamenti e sogni andati,
gettano luce e cielo sui tetti delle case
e frammenti di paure dentro il tempo.
Il giorno poi viene a ricoprire la città,
a sottrarre pezzi di distanze tutt’intorno
e a lasciare avanzi sciolti di memorie
per non rivelare adesso cos’è il mondo]
Da
TRE
(le magnifiche sorti e progressive)
Da La disciplina dell’usura
[…]
Le merci si vendono sugli scaffali,
si offrono al soffitto che scolora
e alla pioggia che oggi, lì fuori,
come qui dentro, è più fitta che mai.
Dalle porte scorrevoli dei mercati,
guardando al cielo sghembo e radente,
si esce simulando una corsa,
si scappa a piccoli gruppi di tre
con una rete di ferro che racchiude,
oltre alla parvenza del bisogno,
alcuni pretesti per non pensare,
illusioni, promesse, istruzioni
e l’amara certezza che esiste,
in questa e in altre parti del mondo,
una compiuta e feroce armonia
tra le tante passioni degli uomini
e l’idea organizzata del possesso
e tra il corpo nudo della ragione
e l’impronta dolcemente violenta
del desiderio di sperimentare,
di conoscere meglio e dominare
ciò che appare differente e ciò
che forse è soltanto troppo uguale.
[…]
Da
QUATTRO
Da (maschere)
Vasti cunicoli di silenzio ed aria
tra le pareti della casa dei morti
e le innumerevoli date incise
sul dirupo dei pensieri a venire
invocano il bianco della neve
e la consistenza straziata di questa.
Resta il ritrarsi di un segreto,
un’estesa ulcera di precarietà
a custodia dell’ultimo intervallo
consumato e perso della vita;
come una soffocata meraviglia
che agli occhi di chi osserva
altro non è che la pena di tutti.
Da
SEI
Occorre, sul limite della sera,
lambire altre vene, accarezzarle,
sotto la superficie della pelle,
e quindi riporle, intatte, calde,
sopra le striature irregolari
delle porte che qui sono aperte.
Soltanto allora ci si accorge
che dei finti cardini ci reggono,
che solo ruotare ci è permesso
e ruotare è augurarsi ancora,
un’ultima, interminabile volta,
che il rettangolo aperto per noi,
sul muro sconnesso che ci precede,
si chiuda sempre con poca forza
lasciando un sottile spiraglio
per i ricordi perduti di domani.
[Testi tratti da A ritroso di Danilo Mandolini, Edizioni L’Obliquo 2013 – prefazione di Fabio Franzin]
L’opera, curata e contestualizzata dal poeta Danilo Mandolini, sorprende il lettore che si appassiona alla scoperta progressiva dei testi. Per molti aspetti anche chi legge queste poesie volge “lo sguardo”, con un’attitudine nuova, al passato, scoprendosi parte integrante dello svelamento graduale, di sé nel privato, e della scrittura poetica. Nonostante la rivelazione proceda sapientemente costruita e dosata, si avverte la presenza dell’inattingibile, come accade alla vera poesia. La rappresentazione del mondo denota un acuto processo ermeneutico, un’indipendenza di giudizio che, per nulla frettolosamente, analizza, contempla, vibra, mimando le più segrete dimensioni dell’esistere comprese nella quotidianità. A ben vedere c’è un “qui” ed ora dal quale partire per procedere indietro nel ricordo incessante, ricreato dalla crescente consapevolezza di essere, mai consolatoria e fatta di compromessi. E’ una maturazione efficace e antiretorica, assistita dalla sicurezza di processi stilistico-formali consapevoli e attenti al gusto ed alla dimensione specificatamente semantica. Marzia Alunni