«Alla ricerca del tempo perduto, si sa, non è il racconto del cammino che va dalla vita di Proust all’opera; essa, infatti, inizia dal momento in cui la vita di Proust, la sua vita reale, la sua vita mondana, si sospende, si interrompe, si ferma su se stessa, e nella misura in cui la vita si richiude su di sé, l’opera può inaugurare ed aprire il proprio spazio. Ma la vita di Proust, quella reale, non è mai raccontata nell’opera e, d’altra parte, quest’opera, per la quale Proust ha sospeso la propria vita, ha deciso di interrompere la propria vita mondana, non è mai data, perché Proust racconta esattamente come arriverà a quest’opera che dovrebbe cominciare dalle ultime righe del libro, ma che in realtà non è mai data nella sua completezza.
Così, in Alla ricerca del tempo perduto, la parola “perduto” ha almeno tre significati. Innanzitutto, vuol dire che il tempo della vita appare ora come rinchiuso, lontano, irrecuperabile – perduto, per l’appunto. Poi, vuole indicare il tempo dell’opera, che non può più essere completata, perché quando il testo realmente scritto finisce, l’opera non è più là: il tempo dell’opera, che non ha potuto compiersi in questo racconto che doveva narrarne la genesi, è stato sprecato prima, non solo nella vita reale, ma nel racconto che Proust fa del modo in cui scriverà la sua opera. Infine, questo tempo senza scopo né luogo, questo tempo senza tempo che fluttua verso la deriva – come perduto tra il linguaggio soffocato di tutti i giorni e quello scintillante dell’opera infine illuminata –, questo tempo che vediamo apparire nell’opera stessa di Proust senza una cronologia reale, è un tempo perduto che non può essere ritrovato se non come i granelli d’oro, cioè sotto forma di frammenti. Così, in Proust, l’opera non è mai data nella letteratura: essa non è altro che il progetto di fare un’opera, il progetto di fare letteratura, poiché l’opera concreta è incessantemente trattenuta sulla soglia della letteratura. Infatti, dal momento in cui il linguaggio reale che racconta l’arrivo della letteratura farà silenzio, poiché infine l’opera possa apparire nella sua parola sovrana e inevitabile, da quel momento l’opera si compie e il tempo è terminato. Tanto che si può dire, in un quarto senso, che il tempo è perduto nel momento stesso in cui è ritrovato».
[Michel Foucault, Linguaggio e letteratura, in Materiali foucaultiani, Anno II, n. 3, gennaio-giugno 2013, p. 38]