Chi mi frequenta sa che a portarmi a cena fuori ci può essere di che divertirsi. Anch’io del resto ormai mi prendo con filosofia. Ho l’impressione perfino che alcuni mi diano appuntamento in certi locali a bella posta, o meglio lo preferirei, piuttosto di constatare come ci siamo ridotti.
Uno scrittore del nord che non frequento da molti anni voleva vedermi. L’appuntamento era fissato di sera, in un sedicente bistrot scelto da certi suoi amici che io non conosco, e se non dico il nome del bistrot è perché questa non è rubrica di gastronomia né un verbale dei carabinieri dei Nas, dico solo che porta il nome del traghettatore agli inferi. Siccome però io credo alle prenozioni sapevo già a cosa sarei andato incontro, ci sono testimoni, e del resto non era difficile quanto azzeccare la schedina. Dopo una giornata faticosa arrivo in ritardo, assai affamato come cristo comanda, il grande tavolo è già formato, per farla breve salto i convenevoli. Ci metto però le mie considerazioni sull’ambiente, per correttezza, visto quanto può influenzare l’umore trovarsi impelagato in capannelli di umani che, a torto o a ragione ritengo la manovalanza della gauche caviar cosiddetta, più che altro i camerieri, cioè non i responsabili, ma almeno i garanti dell’odierno sfascio culturale italiano, un autentico blocco che s’è frapposto storicamente tra la gente e il gusto, il piacere, la vitalità, l’arte, perfino il coraggio. A dire la verità al mio tavolo c’erano pure due editori, persone simpatiche, rispettabilissime e certo non responsabili della scelta del locale in questione, posso però dire che sono venuto a sapere che quel locale era stato eletto perché alcuni ci vanno a mangiare spesso col futuro Premio Strega che abita nei pressi, quello del luglio 2014 intendo dire.
Salto ancora per arrivare al dunque. E faccio bene a saltare, dato che sarà passata più d’un ora prima di scorgere l’arrivo di una qualsivoglia pietanza. Una specie di allenamento stoico, condito da parecchie uscite a fumare.
Ma poi nella vita quello che deve arrivare prima o poi arriva, e badate bene che si trattava della specialità della casa. Gnocchi all’amatriciana (per chi non è avvezzo alle specialità regionali dirò che si tratta di qualcosa di inaudito da che mondo è mondo, nouvelle ma un bel po’ che neanche il genio di Ferran Adrià ci ha mai pensato, metti una bagna càuda con cipolla, tanto per dire), in numero di sedici, belli spampanati su un piatto piano e talmente ampio che ne avrebbe potuti contenere più di un milione. Ho avuto modo di contarli, gli gnocchi, mentre dallo stomaco mi arrivava su una rabbia sua originale, io non c’entravo niente. E salto anche qui per pietà al secondo arrivato dopo un’altra ora o giù di lì, descrivibile come un paio di fogliettine di roastbeef insipiente condito però da tante rughettine, così frizzanti, così di moda… Non posso nascondere che in un barlume di lucidità ho potuto raffigurarmi il prezzo di quell’esperienza, cosa di non poco conto.
Ora con me m’ero portato un amico poeta e mia moglie che guardavano sconsolati i piatti, erano in attesa di qualcosa di artistico che io non volevo proprio mettere in scena, solo che il gestore dell’inferno è venuto da me proprio, era un giovane non so se più in carne o più engagé, col sorrisetto che voleva un’opinione. Io, se rinasco, vorrei tanto non avere più opinioni, su niente, ma lì è stato lo stomaco che ha parlato o meglio urlato a brutto muso se non si vergognava a portare da mangiare robaccia simile a gente colta!, gente che sa ad esempio che per quarantamilioni di anni gli esseri umani hanno messo la pasta nelle scodelle perché si conserva calda, e invece loro te la mettono su quelle spianate color caramella!, gente che non ci casca nella truffa della sciatteria spacciata per modernità!
Altre cose gli ha urlato lo stomaco al posto mio, ma a me preme arrivare alla risposta del gestore che ve la raccomando: “Noi siamo al passo con i tempi…”.
Purtroppo l’amor proprio mi impedisce di riferire il resto di quella conversazione tra il mio ventre e lui, il traghettatore. I testimoni dicono che io abbia aggiunto che d’accordo mio padre era chef de rang, ma sebbene persona mite il piatto gliel’avrebbe tirato di taglio sui denti, e altrettanto avrebbe fatto il 90% degli stramiliardi di esseri umani prima di oggi!
Mentre quelli al mio tavolo si stupivano di tanta acredine e mancanza di stile da parte mia, e sicuro pensavano vedi un po’ dove può condurre la frustrazione di uno scrittore che mai vincerà lo Strega, mia moglie e il poeta avevano le lacrime agli occhi, e non era nostalgia.
Ora, col senno di poi io dichiaro ai quattro venti che sono d’accordo al 100% con lo scrittore Vasquez Montalban, nessun essere umano indifferente al cibo è degno di fiducia. E ne approfitto per consigliare come criterio per il futuro Premio Strega l’analisi delle feci.