“… e tu gli ornavi del tuo riso i canti…”
Ugo Foscolo
A distinguere la poesia e la prosa sono anche le diverse attitudini emotive che esse richiedono: se i versi poetici, in special modo quelli lirici, possono trarre linfa anche da un’inclinazione malinconica, la prosa, per apparire organica e coerente, dev’essere senz’altro figlia del buonumore.
Se, infatti, i vari tormenti dell’io non solo non ostacolano, ma possono perfino favorire l’ispirazione poetica, la prosa (e allargo la categoria fino ad includervi il saggio e la critica) non può darsi senza quel minimo distacco dalle proprie afflizioni, che consente un’apertura fiduciosa nei riguardi del mondo e la possibilità di immaginare l’esistenza di un altro da sé, ossia di presupporre punti di vista diversi dal proprio.
Per ragioni non identiche ma, in fondo, sostanzialmente simili, Bachtin, Kundera, individuavano nello humour e nell’ironia componenti essenziali per il romanzo.
Non Calliope, dunque, ma Talia, la musa del riso e della commedia, e il cui nome ha il dolce significato dei fiori, è colei davanti a cui deve inchinarsi colui, colei, che desidera scrivere in prosa.