Da almeno trent’anni il nostro paese è in mano a una dittatura occulta che domina e condiziona a tal punto il carattere nazionale da sembrare inestirpabile: la dittatura della buona tavola. Non inganni il fatto che questa dittatura assume talvolta la forma del suo opposto dialettico: buona cucina, fitness e smania di magrezza fanno parte della stessa malsana mitologia della qualità della vita. Il cibo è un’ossessione che travalica i confini del gusto e della socialità ristretta alla quale per sua natura appartiene: in Italia passa tutto, ma se l’Europa si azzarda a stabilire regole più liberali per la produzione alimentare allora ci si indigna sul serio, perché siamo dei poveri disgraziati, non c’è dubbio, ma almeno da noi si mangia bene (del resto il cibo, l’arte e le belle donne non sono da sempre i refugia dei popoli che hanno ormai esaurito il loro ciclo vitale?). Eppure, è evidente che lo sviluppo economico è inversamente proporzionale al sapere gastronomico: le nazioni in cui si mangia peggio sono quelle più ricche e competitive. In Italia invece si mangia bene, benissimo, la nostra cucina è la migliore di tutte. Siamo un paese bagnato da tre mari e sfinito da un’eterna digestione.
Dalla rispettabile figura del pitocco perennemente affamato, che ha dato tanto alla commedia dell’arte e al cinema, si è passati senza soluzione di continuità al gastroesteta fanatico del prodotto tipico e dei sapori di una volta. Se prima l’importante era mangiare, qualsiasi cosa pur di riempire lo stomaco, adesso è essenziale mangiar bene, genuino, etico, protetto: ossessione da provinciali arricchiti, l’unica, oramai, a tenere insieme un paese senza identità. È soprattutto la sinistra, nella più vasta accezione del termine, a stringersi attorno alla bandiera della cultura enogastronomica: estremo tentativo, fra i tanti e tutti falliti, di stabilire un contatto con la base popolare. Ma ancora una volta è una mossa a vuoto, perché se proprio si vuole parlare al popolo ci si deve alleare con le truppe di McDonald’s, e non certo con i fighetti eticamente responsabili di Slowfood (si può dire che, al di là dei gusti, il livello di genuinità culturale è più o meno lo stesso, con un leggero vantaggio a favore di McDonald’s?). Questi compagni della sinistra moderata, benestanti e benparlanti, militanti della raccolta differenziata, non sono poi troppo diversi dagli extraparlamentari, per così dire, dei GAS, i Gruppi di Acquisto Solidale, che nelle loro assemblee dibattono su chi c’ha la filiera più corta e si scambiano cassette di arance e pasta madre. Il loro attivismo gastronomico è il segno più evidente della sconfitta dell’azione politica individuale: le energie che un tempo si impiegavano per cercare di stare al mondo con qualche barlume di consapevolezza adesso sono destinate alla ricerca del pecorino biologico col miglior rapporto qualità-prezzo. Si può ribattere che dal cibo passa tutto, o molto, dal linguaggio al ritmo della vita, e che il mondo si cambia anche così. È vero, ma mi permetto di osservare che dal pecorino alla giustizia sociale la strada è un po’ lunga, e nel frattempo si rischia di perdere il filo del discorso.
Dunque tutto è perduto? L’Italia è destinata a sfinirsi nella sua Grande bouffe e a diventare il più esclusivo ristorante d’Europa? Non è detto. Forse resta un’ombra di speranza, se la politica farà una buona volta la sua parte, procurando tempestive e oculate soluzioni legislative. La cosa migliore a mio parere è una legge suntuaria che regoli il lusso nell’alimentazione stabilendo un tetto massimo per il patrimonio calorico individuale. Ogni cittadino avrà la sua tessera elettronica, nella quale si terrà il conto della calorie consumate giornalmente. Sarà obbligatorio presentarla al supermercato, al ristorante, al bar e così via, e l’esercente la caricherà di volta in volta con la somma delle calorie corrispondenti ai prodotti acquistati. Chi supera il limite (suggerirei dei bonus per le festività) sarà soggetto a una patrimoniale, e oltre un certo limite sarà escluso dall’esercizio del diritto di voto. In Europa la presenteremo come una legge per la tutela della salute pubblica, legandola a sanzioni per gli irregolari che facciano ricorso all’assistenza sanitaria; ma il vero obiettivo, sia chiaro, sarà un altro: sconfiggere la tirannia del gusto e il letargo da pancia piena che limita la nostra competitività, in modo da liberare nuove energie che potranno essere impiegate proficuamente nella politica, nella ricerca, nell’imprenditoria. Forza dunque, dimostriamo al mondo che anche noi sappiamo mangiare male come i tedeschi, come gli inglesi, come gli svedesi! Alziamoci da tavola una buona volta, e facciamola finita con questo banchetto senza fine e senza profitto.