“L’importante non è stabilire se uno ha ragione o meno,
è saper convivere con la propria paura e non farsi
condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti
non è più coraggio, ma incoscienza” – Giovanni Falcone
Carlo e Ada
Sono le otto di un torrido venerdì di luglio, Carlo e Ada stanno per mettersi a tavola per la cena quando squilla il telefono. Carlo si precipita in corridoio per rispondere.
«Ciao babbo….»
«Ciao bambolina, come va, tutto bene?»
Dall’altra parte, a mille chilometri di distanza, sua figlia Amanda in quel momento si sente rincuorata dalla voce paterna che le parla come fosse ancora una bambina.
«Sì babbo, va bene. Sono alla stazione, sto partendo. Arrivo alle sette e mezzo domani mattina.»
«Qualcosa non va? Pensavo rientrassi la prossima settimana. »
«Ho solo voglia di tornare a casa per un po’ babbo… sarai contento!»
«Certo… Ti vengo a prendere allora.»
«No, stai tranquillo, che poi ti tocca correre per andare in ufficio. Prendo un autobus; se il treno non ritarda sarò a casa prima che tu esca.»
«Come vuoi. Tanto comandi tu. Fa’ buon viaggio allora.»
«Grazie, da’ la buonanotte alla mamma, ci vediamo domani.»
«Ciao, piccola mia, a domani. Buonanotte.»
Questa è l’ultima volta che Carlo sentirà la voce di sua figlia.
Amanda e Loredana
Loredana e Amanda si conoscono alla stazione di Santa Maria Novella. Loredana è una studentessa al primo anno di università che dalla Calabria si è trasferita a Firenze per studiare. Amanda è una bella ragazza fiorentina che sta partendo per la Calabria dove conoscerà la famiglia di Carmine.
«Sto andando a trovare il mio fidanzato, è calabrese – confessa Amanda a Loredana – è la prima volta che faccio questo viaggio, vado anche a conoscere la sua famiglia. Un sacco di novità da affrontare tutte in una volta».
Loredana nota una luce che illumina il volto di Amanda e comprende che deve essere davvero innamorata di quel ragazzo, un po’ la invidia, lei ancora quel grande amore che tutti dicono si incontri alla loro età non l’ha ancora trovato.
«Non preoccuparti, faremo il viaggio insieme. » La rassicura Loredana.
Così quella notte, nella semioscurità del treno, le due ragazze parlano fitto in mezzo ad altri ragazzi addormentati uno sull’altro che stanno tornando a casa per natale. Si confidano pensieri, esperienze, speranze, ambizioni, come si può fare a vent’anni.
Quando per Loredana è il momento di scendere ormai è giorno fatto. Le due ragazze si salutano con la promessa di rivedersi non appena rientrate a Firenze. Amanda fissa Loredana finché non la vede sparire.
C’è il sole e si vede il mare, l’aria è limpida come fosse estate. Amanda fa il resto del viaggio guardando la Calabria dal finestrino: le sembra acerba e bellissima, aspra e dolente, assolata e calda perfino a natale. È felice di esserci. Sa che amerà quella terra come ama Carmine.
Carmine
La notte in cui Amanda e Loredana si conoscono Carmine a casa sua non riesce a dormire. Sua madre non ha preso benissimo la notizia dell’arrivo di quella fidanzata fiorentina.
«Moglie e buoi dei paesi tuoi, arricordatillo Carminù. I ditti antichi anu sempre ragiuni». Erano state queste le parole quando aveva annunciato che per natale avrebbe ospitato Amanda.
«Carminù statti attento, ca a pensanu differenti. Tu a di pinsari a studiari a Firenze. U posto tuo ca’ è, chista è la gente tua. Arricordati sti’ paroli i mammata».
Il padre aveva ascoltato masticando pane e, avendo più senso pratico della moglie, aveva bevuto un sorso di vino e aveva detto: «Va bene Carmine, facci conoscere questa fiorentina, a patto che non perdi la testa e continui a studiare».
A Carmine era sembrato di aver scalato una montagna, forse la prima della sua vita. Era sicuro che Amanda, bella e signorile com’era, sarebbe piaciuta a tutti. Del resto lui, anche se non aveva mai detto niente, da lì se ne voleva andare.
Adesso tutto era pronto per “la fiorentina”, soltanto sua sorella Evelina, la maggiore, aveva decretato che una forestiera non era una cosa buona. Carmine aveva pensato però che Evelina fosse gelosa di Amanda perché avrebbe preso possesso di quella che era stata la sua camera, anche se Evelina è sposata da più di cinque anni.
Loredana
Molti anni dopo quella notte Loredana si trova a Firenze e durante una passeggiata nei dintorni di Santa Croce, all’improvviso si ricorda di quella ragazza alta, bionda, elegante, conosciuta durante un viaggio in treno. Finite quelle vacanze entrambe erano tornate alle loro rispettive esistenze e avevano dimenticato la promessa di rivedersi.
«Amanda, si chiamava Amanda. Chissà se avrà sposato il suo Carmine!», pensa Loredana.
I pensieri la conducono ad addentrarsi nel reticolo di viuzze fino al numero 25 di via Tripoli dove, senza neanche rendersene conto, scorre i nomi sul citofono. In quello stabile vivono solo quattro famiglie ma lei non ricorda il cognome.
«Cerca qualcuno?» Una voce alle sue spalle la costringe a voltarsi come se fosse stata sorpresa a rubare. È un uomo anziano, ricurvo, dall’aria mite.
«No… cioè sì. Conoscevo una ragazza che abitava qui tempo fa. Si chiamava Amanda».
L’espressione dell’uomo di colpo cambia, come se su quel volto segnato dal tempo si addensassero tutte le nubi oscure della sua lunga esistenza.
«Conosceva bene Amanda?» Le chiede cupo l’uomo.
«Per la verità no, ci siamo incontrate una volta soltanto, durante un viaggio, poi ci siamo perse… lei la conosce?»
«Sì signora, la conoscevo. L’ho vista crescere in questa strada. Non avesse mai fatto quel viaggio!»
L’uomo la invita a salire per un caffè, dicendole che le avrebbe mostrato una cosa. Appena in casa insieme al caffè le mette davanti una foto in bianco e nero: Amanda era esattamente come Loredana la ricordava. Quella foto era l’unica cosa rimasta di Amanda, le disse il vecchio piangendo.
Amanda
Amanda dopo un’ultima telefonata una sera di luglio a suo padre che annunciava il suo ritorno a casa era sparita. Sparita, come spariscono certi oggetti che metti da qualche parte e qualcosa che non sai cos’è se li porta via. Sparita come un coniglio dal cilindro di un mago. I suoi genitori l’avevano cercata invano per anni, poi la madre non era sopravvissuta al dolore per quell’unica figlia scomparsa e suo padre, senza altri figli o parenti, era rimasto a cercarla caparbiamente, fino alla morte.
Amanda in Calabria aveva incontrato un paese che non c’è, qualcosa che aveva letto sui giornali o visto alla tv e sembra lontano, ma era stato diverso vederli, i morti ammazzati per strada. Era toccato prima al padre di Carmine, poco dopo il suo primo viaggio in Calabria. Amanda non aveva ascoltato niente e nessuno ed era corsa da Carmine. Avrebbe dovuto capire certi silenzi, certe reticenze, le mezze frasi, i toni taglienti. Ma lei quel ragazzo lo voleva. L’amore maturo sa quello che vuole e va a dritto senza ascoltare ragione, coraggioso fino all’incoscienza. Amanda aveva lottato con le unghie e con i denti per portare via Carmine da una faida sanguinosa che lei non poteva e non voleva comprendere. Per lei era semplice: era convinta che esiste la giustizia a questo mondo. E aveva cominciato ad andarci lei, da un giudice, a raccontare quello che aveva visto e sentito. Poi subito dopo Carmine fu ferito alla testa in un agguato. Amanda aveva preso il primo treno e l’aveva riportato a Firenze, l’aveva curato e aveva convinto anche lui che era semplice, che c’era una via d’uscita da tutto quel sangue. E così anche Carmine aveva parlato con quel giudice. Solo che poi lui in Calabria al suo paese c’era dovuto tornare e lì chi parlava era un infame e lui non avrebbe potuto vivere da infame. Al giudice, da lontano, disse che Amanda l’aveva confuso e rinnegò ogni singola parola.
Eppure Amanda non si arrese. Tornò in Calabria ancora una volta, dura come quella terra che si ostinava ad amare. Continuava a credere che fosse semplice: l’amore come la giustizia. Finché, dopo quella telefonata al padre, di Amanda non si ebbero più notizie: il nulla la ingoiò senza sputarne i resti.
Solo molti anni dopo un pentito fece il suo nome, disse che qualcuno aveva deciso che quella forestiera doveva morire: tra i mandanti, la stessa sorella di Carmine. Amanda era stata uccisa, il suo corpo fatto a pezzi e gettato in mare, i suoi assassini tutti assolti per insufficienza di prove.
Il processo l’aveva uccisa per la seconda volta: senza tomba, senza memoria, senza appartenenza, come certe meteore che si staccano e attraversano l’atmosfera per qualche secondo di luce e poi si spengono andando a morire chissà dove.
Loredana
Davanti al mare dello stretto Loredana pensa che aveva diciotto anni quando era partita su un treno di notte che l’avrebbe portata a Firenze per l’università, a quel tempo aveva fame di vedere cosa ci fosse oltre a quel piccolo mondo di provincia dov’era cresciuta. Quando se n’era andata le sembrava di far parte di una cosa grande, immensa, credeva che il mondo l’avrebbe cambiato a mani nude, con la voce. Ma poi non era stato come aveva pensato e aveva imparato cosa fosse la nostalgia, una punta d’ago infilata nella parte molle della testa.
Davanti a lei ora c’è lo stesso mare che aveva solcato Ulisse; lei lo aveva dimenticato, se n’era andata da quella terra amata e maledetta, senza mai difenderla. Pensa ad Amanda, fatta a pezzi per averla voluta, quella stessa terra. Chi va via rimane sempre sospeso tra un’andata e un ritorno, ma così non era stato per Amanda.
Con lo sguardo fisso all’azzurro doloroso di quel mare, Loredana spera che un dio qualsiasi là dentro abbia ridato vita a quello sguardo fermato ai suoi vent’anni
«Magari avrà rimesso insieme i suoi pezzi. Magari ne avrà fatto una sirena per il prossimo Ulisse».
Dedicato a Rossella Casini
Pingback: Nel delirio non ero mai sola