È una frase che si è sentita molte volte nei giorni degli assalti agli immigrati nelle periferie, assalti orchestrati dai fascisti, i quali nel frattempo lucravano sull’assistenza agli stessi immigrati.
Io questa frase l’ho carpita sere fa in una bettola alternativa, l’anfratto culinario di un centro sociale antagonista. L’ha detta un nero alto due metri e vestito assai più che variegato, a un tavolaccio di dreadlocks. M’è sembrata subito sbagliata, forse non nel merito che ci arriviamo, ma nella forma.
Se messa così questa frase fosse vera infatti, vorrebbe dire che esiste, non solo qualcosa di cui si vocifera da tempo, vale a dire una Legge di natura, ma che tale decreto insito nei fatti naturali coincide con la Legge del più forte. Se questo fosse il dato di fatto, il fascismo stesso farebbe parte del Decreto Celeste, come del resto tenta di propalare quella che Furio Jesi chiamava la macchina mitologica del nulla. Molto meno ammantata di naturalità è invece la ragione di chi vede bene, e per esperienza diciamo così, quanto vigliacco e fascista rappresentino due sinonimi basati su un bell’accumulo di niente, e il niente è qui rappresentato da un superuomismo da sottosviluppati. Forse, in tempi di memoria sfranta andrebbe ribadito più spesso che il fascismo non sarebbe la trasposizione in sede politica di una qualche legge riassumibile come quella del più forte, bensì qualcosa che fa il verso all’esatto contrario, il tentativo reiterato di dar forma e legittimità storica alla legge del più debole, del vile, del furbo, del miserabile, della carogna che trova difesa e legittimazione nell’odio, nel simbolo e nel gruppo. Stringi stringi, il fascismo consiste nel convincere la massa che esiste sì una legge di natura ed è quella del più forte, mentre in realtà è solo un grande attruppamento della feccia banale dell’umanità che, per paura o meschinità si difende a schiera. E a tale proposito andrebbe fatto notare il pericoloso, scivoloso slittamento semantico in questo paese della parola ‘furbizia’, che si assimila ormai quasi del tutto a ‘intelligenza’ mentre ne è la versione avara e limitata dalla paura, perché un intelligente è per forza generoso, è chi è e rimane capace di avere fiducia quasi ad oltranza, per dettato costituzionale si arriverebbe a dire. Di un ventennio di scontri all’arma bianca ho conservato il ricordo di viltà indecenti da parte dei camerati, delle quali non riuscivano proprio a ricordarsi appena reinseriti e difesi nella ‘falange’. Quindi, pensavo, caro il mio nero alto due metri, se gli italiani metti caso sono vigliacchi devono essere necessariamente anche fascisti, per necessità semantica prima di tutto.
Ma c’è un’altra ragione, ancora più ovvia, del perché la frase del nero colorato mi è parsa sbagliata. Il fascismo è un’invenzione italiana, stavo per dire un’eccellenza italiana, almeno in questa forma e con quel nome è stata elaborata qui e da nessuna altra parte prima nel globo terracqueo, gli altri hanno solo copiato e adattato a modo loro o alla bell’e meglio, tanto per dire. E non solo, ma qui e solo qui è rintracciabile una continuità storica che s’avvia ormai a dichiararsi secolare. Grazie alla gioiosa unanimità politica attorno al tavolo dell’amnistia nel ’46 ci si è resi capaci di ottenere che le strutture portanti del Ventennio si conservassero intonse e assai efficienti, tanto per fare un esempio a caso nell’amministrazione pubblica, o per farne un altro in quelle esistenti all’interno di tutte le forze di polizia, e costantemente oliate, come ha dimostrato la chiamata alle armi del G8 di Genova per festeggiare l’elezione di Fini al ministero, o nelle migliaia di pestaggi che avvengono diuturnamente nei commissariati (per i quali poi ogni tanto si fa un salto dal pero e ci si meraviglia). E le Forze Nuove, le Case Pound sono solo paccottiglia, richiami per allodole. E, ancor più andrebbe rivendicato l’accanimento di sapore scientifico con il quale noi italiani abbiamo provato a ridefinire le forme moderne del fascismo nell’ultimo ventennio invece, nelle mutate condizioni percettive e cognitive, una formula inesatta ma che comunque sta avendo successo all’estero. Siamo e vogliamo essere un laboratorio di sperimentazione avanzata, dovrebbero ringraziarci per questo, e nessun disfattista si azzardi a inventare lo slogan che non c’è peggior fascista di chi non sa di esserlo.
Non sto qui nemmeno a tentare analisi approfondite sul ‘carattere degli italiani’. Del resto, non potrei darne testimonianza equanime appartenendo, a guardar proprio bene, a una generazione di vigliacchi conclamati, e non, si badi, perché hanno tradito dopo, ma di vigliacchi opportunisti sin dall’inizio, ricordando che nel giorno della nascita del fulgido Sessantotto nelle schiere di Valle Giulia c’erano i fascisti Stefano Delle Chiae giù giù fino a Carminati, l’ultimo kapò delle romane cronache recenti. Sull’attuale generazione non spendo una parola, quella che mi verrebbe sotto le dita è tremebonda, ma è sempre brutto generalizzare come sto facendo da due pagine almeno.
Molto altro non serve sapere. Quello che io so per parte mia è che ci ho messo quasi cinquant’anni per capire questa vena dominante nel carattere della nazione, io credevo tutt’altra cosa, perfino ai mandolini credevo, ma c’è da dire che sono scarso di comprendonio. Non ci metterò altri cinquant’anni per accettarlo, almeno questo è sicuro.
Quindi, caro nero variegato, pensavo e magari avrei voluto pure dirglielo, hai proprio detto sbagliato. Gli italiani hanno assunto il fascismo come parte del loro carattere nazionale chissà per quale affinità organica o portato psicologico, o almeno è un’abitudine comportamentale inveterata che da tempo ormai è diventata natura, e per annotare le stupefacenti forme del servilismo in azione basta essere vivi e svegliarsi la mattina. Il fascismo qui dà risposte semplici a domande le più diverse e che sembrano non entrarci niente, in ogni ambito: che so, vi siete mai chiesti come mai solo in Italia i film stranieri non sono sottotitolati ma doppiati? Quando è cominciato?
Qui, la continuità prima di tutto. Non bisognerà farsene una ragione.