Un Nobel mancato

Il ventennale della Fondazione “Borislav Pekić” di Belgrado, istituzione dedicata alla cura e alla pubblicazione dell’enorme eredità letteraria dello scrittore scomparso nel 1992, è un’occasione per ricordare uno dei maggiori narratori, saggisti, drammaturghi e sceneggiatori serbi e jugoslavi. Dopodomani Zibaldoni pubblicherà in esclusiva un pezzo inedito di Pekić nella traduzione di Alice Parmeggiani.

di in: Bazar

1991,Belgrado. Borislav Pekic alle manifestazioni anti-Miloševic

L’opera oceanica dello scrittore serbo e jugoslavo Borislav Pekić (1930-1992), tra i fondatori del Partito Democratico nel 1990, rivela ancor oggi nuovi tesori, grazie all’opera della Fondazione di Belgrado a lui dedicata.

Il ventennale della Fondazione “Borislav Pekić” di Belgrado, istituzione dedicata alla cura e alla pubblicazione dell’enorme eredità letteraria dello scrittore scomparso nel 1992, è un’occasione per ricordare uno dei maggiori narratori, saggisti, drammaturghi e sceneggiatori serbi e jugoslavi.

Tempo fa, nella mia relazione a una conferenza sulle opere di Danilo Kiš, provando a spiegare il perché delle dediche contenute in Una tomba per Boris Davidovič, nominai anche Borislav Pekić. A lui Kiš dedicò il capitolo La scrofa che divora la propria prole, che tratta del destino di Gould Verskols, rivoluzionario irlandese che, dopo un tentativo di fuga dal lager stalinista di Karaganda, fu assassinato dai suoi persecutori in modo terribile. Qualcuno dei presenti mi chiese chi era Pekić. Risposi che serviva un’altra conferenza. Dire di Pekić: «Era uno scrittore», mi sembrava banale. Ripensai al ricordo che Pekić serbava dello stesso Kiš: «Negli ultimi momenti della sua vita, quelli visibili per i viventi, un amico fedele chiese a Danilo se c’era qualche cosa che gli facesse male. Sì, aveva risposto l’autore di Clessidra. Che cosa? La vita, rispose Danilo».

 

La vita e le opere

 

Ad eccezione di due romanzi (Come placare il vampiro, De Martinis, Messina, 1992 e Il tempo dei miracoli, Fanucci, Roma, 2004, entrambi tradotti da Alice Parmeggiani) per i lettori italiani la sua vasta opera narrativa, saggistica e teatrale è ancora sconosciuta. L’opera omnia di Pekić, in realtà, è un oceano. Da quest’oceano emergono migliaia di pagine inedite. Questo è il compito più importante della Fondazione voluta dallo scrittore verso la fine della sua vita. In questi due decenni il compito è stato portato avanti innanzitutto dalla moglie Ljiljana.

Pekić (Podgorica, 1930 – Londra, 1992), quando era studente di liceo a Belgrado, nel 1948, venne privato dei diritti civili e condannato a quindici anni di carcere e lavori forzati in quanto membro della vietata Lega della gioventù democratica. Trascorse la condanna, che più tardi venne commutata a cinque anni, nelle prigioni di Niš e Sremska Mitrovica. Dopo gli studi di psicologia sperimentale a Belgrado, dal 1959 lavorò per il cinema. Ottenne il primo successo con la sceneggiatura del film Il quattordicesimo giorno (regia di Zdravko Velimirović). Dalla pubblicazione del suo primo romanzo, Il tempo dei miracoli (1965), Pekić si dedicò solo alla prosa, al teatro e al cinema. Con il secondo romanzo, Il pellegrinaggio di Arsenije Njegovan (1970), ottenne il “Premio NIN” dell’omonima rivista belgradese, il cui elenco dei premiati contiene i nomi dei romanzieri più importanti della letteratura jugoslava del secondo Novecento. Nello stesso anno chiese alle autorità di poter raggiungere la moglie Ljiljana e la figlia Aleksandra a Londra. In un primo momento gli sequestrarono il passaporto ma, un anno più tardi, gli consentirono di emigrare.

Durante gli anni dell’esilio Pekić scrisse molto: L’ascesa e la caduta di Icaro Gubelkian (1975); Come placare il vampiro (romanzo-resoconto sui totalitarismi, pubblicato solo perché giunse a Belgrado come testo di partecipazione ad un concorso anonimo del 1977 dedicato a Danilo Kiš); la saga La difesa e gli ultimi giorni (1977); Il vello d’oro (sette volumi, 1978-1986),fantasmagoria romanzesca che racconta le infinite traversie della famiglia Njegovan.

Negli anni ottanta scrisse i romanzi fantascientifici L’Atlantide e 1999, e il romanzo fantastico Rabbia, che diventò un best seller. Compose inoltre testi radiofonici per  emittenti tedesche, spesso adattati da testi teatrali. Nella Jugoslavia dell’epoca, già colpita dalla crisi, le sue Lettere dall’estero giungevano come la voce della ragione e Gli anni divorati dalle cavallette, una prosa autobiografica, fece luce sui tempi bui del dopoguerra. L’interesse del pubblico verso la sua opera fu risvegliato dal film Il tempo dei miracoli (1989), basato sul suo omonimo romanzo (regia di Goran Paskaljević, con Miki Manojlović).

Al ritorno a Belgrado, nel 1990, fondò il Partito democratico e la rivista Democrazia con un gruppo di intellettuali indipendenti.

 

Pekić nei ricordi

 

Una volta lo scrittore raccontò che la ragione della sua fuga da Belgrado erano le «kafane», nelle quali «la letteratura serba si ubriaca e muore», e il fatto che sua moglie Ljiljana, architetto, a Londra poteva guadagnare per tutti e due. «Ljiljana accettò la mia proposta credendo in una mia missione, e questo ancor oggi mi sembra incredibile», disse lo scrittore in un’intervista. E quella «missione incredibile» di Ljiljana Pekić si è prolungata dopo la scomparsa del marito. Pekić letteralmente risorge in ogni nuova pagina da lei redatta o ascoltata (lo scrittore non si staccava mai dal suo registratore).

«A Pekić mancava sempre tempo», disse una volta Ljiljana. «Di solito scriveva al mattino, guardava poco la televisione, leggeva e lavorava sempre contemporaneamente su più tavoli. A Londra avevamo un grande giardino e lui, quando la scrittura non funzionava, se ne stava lì, toglieva le erbacce, curava i fiori, ma sempre con il registratore appeso al collo. Quando la fine di un libro era vicina, lavorava come un pazzo. Si alzava alle cinque del mattino e andava a letto a mezzanotte. Penso che sognasse interi racconti, interi drammi. Mentre stava scrivendo Il vello d’oro, la sua opera capitale, leggeva i libri più assurdi e noiosi, annotandosi in fretta e furia tutti i dati che gli servivano. Potete immaginarlo mentre trascrive la legge finanziaria serba del 1820?».

Lo scrittore Filip David, ricordando l’amico, scrisse: «Come redattore del programma di drammi televisivi della TV di Belgrado, negli anni settanta andavo spesso a Londra. Bora Pekić non mi permetteva di alloggiare in albergo. Così ero ospite della sua cara e generosa famiglia… Appena arrivato, raccontavo a Pekić della vita a Belgrado, specialmente dei nostri amici comuni Kiš, Mirko Kovač, Glavurtić… Lui, semplicemente, non sapeva scendere sotto un certo livello professionale, altissimo. Tutto ciò che faceva si trasformava in oro letterario».

Anni fa un noto editore americano chiese a Pekić un romanzo. Doveva trattarsi di una tematica allora di moda, la catastrofe. Pekić scelse di scrivere di un’ipotetica epidemia di rabbia che scoppiava nell’aeroporto londinese di Heathrow. Gli mancava però la topografia dettagliata della struttura aeroportuale. Così si recò molte volte in aeroporto: disegnava, annotava. Non passò inosservato alle guardie di sicurezza. Spiegare i motivi delle sue visite non era un’impresa facile, ma Pekić ci riuscì e gli agenti gli regalarono addirittura una mappa dettagliata dell’aeroporto. Lo scrittore era felice come un bambino.

Il romanzo La rabbia non è mai stato pubblicato in America. L’editore rifiutò l’opera, perché il numero di pagine oltrepassava quello previsto. Pekić non faceva concessioni a nessuno.