Il ricordo di Pascal Gabellone per me si compendia in una singolare congiunzione: quella che tiene insieme la discrezione e la passione, il sorriso e la ricerca del sapere, di una verità nel sapere. E sostiene tutto questo con un forte senso dell’amicizia.
Dall’infanzia salentina alla giovinezza bolognese al resto della vita trascorso in Francia, in particolare a Montpellier, insegnando e scrivendo, Pascal ha vissuto tra due lingue e in una sola cultura: sia nella scrittura francese sia in quella italiana l’interrogazione assidua della sua ricerca è stata quella rivolta a comprendere le ragioni della poesia, e soprattutto la necessità della poesia. Da qui l’esplorazione, sempre condotta in parallelo, sia dell’orizzonte teorico, che sottende o presiede o segue la lingua poetica, sia della forma stessa che diciamo poesia, del suo stare nel pieno del dire e nel vuoto del dire, nel sapere e nel non sapere, nella musica e nel silenzio.
Un altro aspetto era proprio del suo agire e cercare: poggiare l’esperienza culturale nell’amicizia. Dal giovanile teatro bolognese dei mimi, avventura condotta con Gianni Celati, alle riviste (“Prévue”, tra queste) e ai seminari, all’animazione didattica che insieme con Franc Ducros, in dialogo costante con la sua esperienza e scrittura, ha condotto nelle diverse stagioni dell’insegnamento all’Università Paul Valéry di Montpellier, il cammino di Pascal non è stato solitario, ma sempre in dialogo, aperto alla condivisione, al confronto.
Nei suoi libri – dal giovanile L’oggetto surrealista, pubblicato nel 1977, a Emblèmes épars, del 1997, a La blessure du réel, del 2011, fino alle esperienze di scrittura poetica (anni fa accolsi nei “Quaderni del gallo silvestre” Per appparizioni) la ricerca di Pascal, nella teoresi e nella scrittura, ha indugiato a lungo sul rapporto tra la parola e il tragico, così come in alcune grandi esperienze del Novecento si è mostrato. Da qui gli studi su Hölderlin, su Ungaretti, su Mandel’stam, su Rilke, e soprattutto su Paul Celan.
Per quanto mi riguarda, la sua assenza si declina ora come una sequenza di “apparizioni”: rivedo la luce e le parole che accompagnavano i nostri incontri, a Montpellier o nel Salento, a Parigi o a Siena. La scomparsa di un amico ci consegna un’altra, impalpabile ma anch’essa vera, presenza.
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