Ho preso una quantità di pillole che mai avrei creduto di poter ingurgitare nello stesso giorno. Gialle, marroni, bianche e rosina. Toni naturali, pasticche enormi. Ho faticato a buttarle giù nonostante i litri di acqua e una gola tutto sommato ubbidiente. Forse era il cervello che si ribellava… “Ma sei matta? Vorrai mica prenderle tutte???!!!”, aveva obiettato già dal mattino, dopo la visita dal medico naturopata. “Non ce la farai mai, e poi chi ti ha detto che ti faranno bene?”. È diffidente, stizzoso e poco incline ai compromessi, il mio cervello, quando si tratta di salute. Già per convincerlo ad andare da un medico ce n’era voluta… e trattandosi poi di una disciplina tutto sommato nuova e ancora poco diffusa, lo sforzo era stato doppio. “Sarà efficace? Con tutto quel che costa… non è nemmeno coperta dall’assicurazione! Ma chi te l’ha consigliata, poi?”. Un sacco di gente che ne aveva tratto benefici quasi miracolosi. Rimedi naturali, principi attivi contenuti per lo più nelle piante e tutte cose solo benefiche, niente di collaterale, nascosto e infido, in questo tipo di cure. Insomma, mi avevano convinto. Anche perché ci dovevo curare disturbi che con la medicina tradizionale non erano scomparsi per niente, anzi.
Ed eccomi quindi al mattino davanti a una signora paffuta, cordiale ed efficientissima. L’unico essere umano che ho conosciuto capace di sorridermi, guardarmi, parlarmi e contemporaneamente, senza posarci gli occhi, scrivere velocemente sul computer.
Parliamo per ore della mia storia clinica, della mia famiglia, degli acciacchi vecchi e recenti. Sguazzo in quel torpido benessere in cui calo ogni volta che posso svuotarmi delle magagne passate. Come se fossi dentro un confessionale e una volta finito l’elenco dei problemi ci fosse un medico disposto ad assolvere il mio corpo: “Va’, e non ti ammalare mai più!”. Questo dice la sua voce in qualche anfratto nascosto del mio inconscio. L’io lo sa che non è vero ma ci lascia giocare, me e il mio inconscio, con questa illusione che una volta raccontate le magagne, tutto si risolve.
Una volta arrivati in farmacia, allora, di solito riprende in mano la situazione lui, l’io razionale. Quindi acquistiamo tutto quanto ci è stato prescritto, lo chiudiamo in un cassetto delle medicine e lì lo conserviamo, preservato e intatto, fino alla data della scadenza. Momento nel quale l’io, soddisfatto, lo getta nel dispositivo appropriato per la raccolta differenziata.
Ma quel giorno, dopo l’incontro con la naturopata, con le decine di pasticche colorate che avevo in mano, l’io era un po’ meno forte del solito. “Ma perché non le abbiamo lasciate nel cassetto come le altre?”, chiedeva perplesso. “Perché queste sono innocue!”, gli ha suggerito l’inconscio. “Perché sono stanca di stare male e le voglio provare tutte per guarire!”, ho risposto io. E ho iniziato a calare pazientemente le pasticche, una dopo l’altra, nel mio esofago, dove si son fatte strada, faticosamente, verso il loro destino profondo.
E questo è stato solo il primo giorno di una lunga serie di settimane e mesi nei quali le pasticche sono aumentate, via via, nelle prescrizioni della naturopata efficiente. Le aggiungeva sul suo computer (sempre senza guardare!) e io guaivo che per favore cercasse di limitarsi: ’”Già faccio tanta fatica a prenderle tutte… e non solo a prenderle, ho l’impressione di essere come ingolfata da tutte queste pillole”. Ho cercato di spiegarle come il mio organismo ci mettesse una vita a smaltirle e io senza pietà continuassi ad affastellarle ancora e ancora su un povero metabolismo ormai allo stremo. E poi magari… non so, si potevano sostituire con qualche piatto di cibo apposito? Invece di qualche pasticca forse avrei potuto cambiare dieta, mangiare più porzioni di quelle sostanze tanto preziose contenute in frutta, legumi e verdure… Passi per le sostanze benefiche di bacche e radici (non mi ci vedevo a dissotterrare tuberi o staccare frutti dai cespugli boschivi) ma insomma, per il resto non si poteva fare con il cibo?
“I valori nutrizionali odierni non sono più quelli di una volta… per avere abbastanza nutrienti dovremmo inghiottire quintali del normale cibo. Meglio affidarsi a pasticche con un concentrato altissimo delle stesse sostanze”, ha detto il suo volto girato verso di me, mentre le sue mani sulla tastiera digitavano altri nomi di altre pillole e le dosi e gli orari in cui avrei dovuto ingerirle.
“Casomai cerchiamo di non aggiungerne altre, ma dovrà promettermi di bere almeno due bottiglie al giorno degli integratori che trova nei supermercati…”.
Ho promesso e obbedito. Scegliendo fra le bottigliette colorate sugli scaffali dei tanti prodotti del super. Beveroni arancioni, rossi, verdi e gialli si susseguivano invitanti, promettendo vitamine, minerali e tutto ciò che i poveri cibi impoveriti non mi potevano più dare.
Così è cominciata la mia routine fatta di mesti rituali in cui mi isolavo con la mia dose quotidiana di pasticche. Una decina al mattino, al pomeriggio e alla sera, prima nel palmo della mano, sentendone la consistenza un po’ ruvida di alcune, liscia di gel di altre, patinata, bozzuta, vellutata… Ognuna con il suo peso specifico di rimedi naturali, ognuna con il suo peso indigeribile sul mio povero organismo. Una caraffa piena di acqua accanto, il palmo riversava la pillola nella mia bocca. A occhi chiusi, cercando di aprire la gola al passaggio e la fiducia alla consapevolezza che mi stavo facendo del bene, nonostante tutto.
E anche quella sensazione di disturbo, di ingombro, di strascicamento dell’esistenza… con il corpo piegato a digerire e spandere al suo interno e capire dove va questa e dove va quella delle centinaia di sostanze benefiche che ingurgitavo… sciacquando tutto di beveroni buoni e dolci, conservabili a lungo, insomma, manipolati… come poteva il mio corpo non risentirne? Ma come potevo io far capire tutto questo alla dottoressa con gli occhi indipendenti dalle mani?
“Continuo a sentire che è troppo… innaturale. Non so come spiegarlo; mi sento pesante…”. Una spiegazione approssimativa di una lassitudine reale che, ripetuta tante volte, non ha mai trovato riscontro. Come poteva la naturopata capirmi? Lei seguiva una cura simile da anni, ingurgitava ancora più pillole di me!
E poi ho iniziato a guardarmi intorno, a chiedere e fare caso. I boccioni enormi di medicinali (veri, pieni di robe chimiche, altro che pastigliette naturali) stavano nei carrelli della spesa di allegre famigliole. Boccioni enormi di medicine che da noi bastano per un mese di ospizio geriatrico.
Tutti si curano tanto, si mantengono, si controllano… i medici sono lì apposta, per prescriverti qualcosa. Se non sei malato dovranno pur trovare il modo di mantenerti sano, no? E giù analisi, e ancora pasticche. Ancora analisi per vedere l’effetto delle pasticche a un mese, due mesi, un anno, due anni…
“Appena avremo trovato il dosaggio ideale inizieremo la terapia di mantenimento, più o meno fra tre mesi…”. Questo non me l’aveva detto la naturopata ma un medico generico, di un medicinale vero. Che mi sarei dovuta prendere vita natural durante. “Io fra tre mesi spero di non averne più bisogno… e a quel punto la salute me la mantengo da sola, grazie”. Ho risposto io. E sono andata dalla naturopata. Che almeno mi curava a vita senza effetti collaterali.
Ora però, trenta pasticche al giorno, tre mesi dopo, iniziava a venirmi un certo rifiuto. Prima di tutto fisico. Quella pesantezza che cercavo di far capire, senza però avere la sensazione di riuscirci. Del resto, se si impasticcava anche la dottoressa, che era sana… come poteva tollerare che non mi impasticcassi io?
Una volta che i miei disturbi sono finiti (chissà se per le trenta pastiglie al giorno o se per gli oltre tre mesi trascorsi), mi sono presentata a lei piena di speranza. Almeno potevamo ridurre, dimezzare, magari gradualmente eliminare…?
“Oggi ho pensato che potremmo aggiungere anche queste due…”, mi ha detto, sorridendo. E io sono uscita con le ricette in mano e le lacrime agli occhi. “Altre due…”.
E un fastidio per questa voglia sempre di aggiungere il bene al bene… se sono sano, che mi curo a fare??? Magari uno stile di vita, un’alimentazione diversi… sono disposta a cambiare tutto di me ma lo stomaco, quello, non posso. E lo stomaco, a un certo punto, ha detto basta. Fra gli applausi e i fischi da stadio del cervello, che per una volta era d’accordo.
Ho preso tutte le trentadue boccette di medicinali naturali e le ho stipate nel cassetto delle medicine. Tutte bene in fila, per ordine di grandezza. Ho chiuso il cassetto e ho cominciato a sentirmi meglio.
Nei giorni successivi, però, percorrendo le solite corsie dei supermercati non riuscivo più a vedere prodotti e consumatori ma meccanismi di un sistema. Le bottiglie coloratissime degli integratori mi attiravano come sirene, con le loro promesse di godurie facili; “Bevimi e sentirai che buono… che dolce… che rinfrescante…”, e ho dovuto abbassarmi la mano più indipendente di quella di Dottor Stranamore per non comprarmene di nuovo una.
Non volevo cedere a questa idea che non mi basto. Che per stare bene il mio organismo si deve rimpinzare di prodotti a pagamento. Sono un essere umano nel mio pianeta, mica un esploratore nello spazio!
E con il mio corpo leggero, che si basta, che si mantiene bene con alimenti buoni e facendo lunghe passeggiate, mi sono sentita forte come non mai, pronta a stare sana e godermi la vita fino al prossimo malanno.
Però ho continuato a pensare, a riflettere su questa sfiducia nella vita, nella società, nella produzione agroalimentare… strano, in un paese tanto ottimista e costruttivo. Dove riconoscere di avere un problema è un atto di catastrofismo.
Ma un giorno, guardando per l’ennesima volta un’allegra famigliola gettare nel carrello della spesa barattoli di integratori di tutti i tipi, ho finalmente capito. Il catastrofismo non c’entrava niente… semplicemente mi trovavo in un paese che riesce a fare un business di tutto. E che quindi riesce anche a vendere la salute ai sani.