a Marta Venuti
Sarahs. Diventare grandi significa dimenticare di essere stati una bambina col frac.
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Quel procedere a passo di camaleonte, un passo avanti e tre indietro, ondeggiando e cambiando colore, cercando di far sì che svanisca e venga il più possibile dissimulato il destino comune dei punti e dei colori del proprio corpo.
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Certi sogni restano nella memoria come tagli. Il soffitto della mia camera che si trasforma in quello di una capanna cui è collegato qualcosa di malefico. Numerosi sogni di streghe. La strega di nome Truut. Io che strangolo mio fratello fino a ridurre il suo collo a un filo attorcigliato, un cordone ombelicale, la sua testa a una sfera grondante lacrime. Un sogno in cui l’idea dell’infinitamente piccolo è collegata a quella dell’infinitamente denso o pesante, come un moscerino accanto a una trave. Mio padre impazzito che ride furioso e fa l’altalena con una tenda dentro una roulotte. Un uomo calvo, un cacciatore, cui un altro che io vedo di spalle taglia via una fetta di faccia – una parte di zigomo e tutto l’occhio destro – e che mentre subisce questa mutilazione ride e ripete la parola “drago”. La mia fidanzata che riceve l’omaggio di un gigantesco cobra nero poi lo fa sfrecciare verso di me rapidissimo e furente. Una mano rosa che esce dal letto e mi impedisce di uscire dalla camera. Un sentiero ripidissimo vicino a una palude incendiata dal tramonto e il passaggio in una grotta marina.
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È il destino comune ciò che smaschera la preda mimetizzata. Fintanto che è immobile, i punti del suo corpo si mescolano con quelli dello sfondo, ma nel movimento quegli stessi punti seguiranno la direzione che li obbliga a disegnare i contorni di un’ala, una zampa, un torso: il loro destino comune, quello che li danna, è l’appartenenza a una forma vivente. Come le creature rivelate dal cammino delle costellazioni.
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L’alito di chi ha dormito troppo, questo era il sapore dopo il primo viaggio, come se avesse iniziato a respirare l’atmosfera del regno dei morti, l’aria stessa della carne, la vita che per poter proseguire deve periodicamente ripiegarsi su se stessa in un movimento che può ricordare le contrazioni di un verme o i ghirigori di una biscia d’acqua. Una spirale che più diventa simile ad un cerchio, tanto più inizia a puzzare, e questo è l’odore che ad un certo punto, quando il viaggiatore ripete troppe volte lo stesso percorso, le cose iniziano ad emanare, come se ogni oggetto fosse un osso ricoperto di un sottile strato di mucosa, una bocca in decomposizione. È strano come quello stesso sapore sia identico a quello che avevo in bocca la prima volta che ho incontrato l’architetto, sul treno per Venezia, tanto che a volte mi chiedo se, mentre ero addormentato, l’architetto non mi abbia fatto fare una serie di brevi viaggi, chiudendomi magari in una scatola di fortuna, una scatola pieghevole come un paravento di latta, dotata dei suoi bravi tubi per strapparmi il cuore, così, dei brevi viaggi prima dei svegliarmi, come un test, un esperimento con una macchina portatile, magari nient’altro che un’iniezione di uno dei suoi zuccheri, forse non gli è servita nemmeno la macchina per fare i test, magari ha usato una di quelle sue finte macchine giocattolo e mi ha scattato qualche fotografia, perché io soffrissi tutto quello che deve soffrire il viaggiatore, ma senza che nessun viaggio dovesse essere eseguito, o forse ha usato un piccolo ditale per perforarmi brevemente le viscere senza svegliarmi; forse il suo mignolo è fatto della stessa latta del macchinario, e la storiella del mostro marino che gli strappa via il mignolo a morsi non è altro che un’altra delle sue panzane, Hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi!; o chissà che altra diavoleria, comunque sia quello che è certo è che quando ero sul treno ho aperto gli occhi e ho visto l’architetto, trasparente nel riflesso del finestrino e attraversato dal paesaggio in corsa, e in quel momento avevo in bocca quel sapore, fetore di un lago scuro, vento nero del sud.
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Sarahs. Quando Sarahs se ne andava dalla città, su tutti i portoni delle case in cui lei aveva abitato, e dalle quali si era spostata seguendo l’orbita capricciosa e millimetrica di una costellazione sumera, scendeva un velo trasparente e implacabile che ne slogava il destino comune, lasciando i miei vagabondaggi orfani di ogni batticuore.
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(Trascrizione della trasmissione radiofonica I figli del Capitan Visiera, puntate dal 18 febbraio al 2 marzo; file audio sotto sequestro presso gli uffici della polizia municipale di Newton (distretto di Waltzwaltz); la trascrizione è attualmente agli atti del processo intentato dai famigliari delle vittime del videogioco NITA™ contro Tomaš Brušek; tra parentesi quadre vengono riportate le annotazioni d’ufficio e i rari interventi dei c.d. Figli del Capitan Visiera, attualmente imputati per diffusione di materiale secretato e favoreggiamento. NOTA PER L’UFFICIALE INCARICATO: La sintomatologia di quelli che il supposto tester/vittima descrive come verme e/o moscerino e/o farfalla e/o (…omissis…) e imbottitura violentatoria (l’insistenza del soggetto su questo aggettivo non andrà in alcun modo sottovalutata) corroborano, a giudizio di questo ufficio, l’ipotesi di un’infezione da esposizione a NITA™; i frequenti riferimenti a lampi di luce e alla cecità sarebbero da attribuire ad un imminente risveglio, che nel caso di un infettato corrisponde ad un irreparabile crollo psichico <NOTA DELL’UFFICIO PER GLI AFFARI ESOTERICI – decrittata ad uso del lettore – Livello di riservatezza 121: Lo stato di veglia in effetti andrebbe sempre considerato come la conseguenza di un irreparabile crollo psichico>)
18 febbraio. Nel sogno, io e mia moglie – che ora cammina davanti a me, ora dietro di me, ma mai in modo che io possa guardarla in modo diretto e cioè negli occhi – ci troviamo in una città del nord. L’umidità e il sudiciume sono tali che i portici sembrano grigie gengive. Dobbiamo arrivare in una certa sala dove si trova un apparecchio radiofonico che ha una grande importanza per tutti e due. Io, in particolare, ho molta urgenza di arrivare alla sala per poter esaminare da vicino l’apparecchio: sto diventando cieco [Il lettore interessato attenda chiarimenti (come sempre parziali) dal personaggio della TRUUT, di imminente apparizione nelle prossime puntate], e presto non avrò più, per oggettive cause fisiche, la possibilità di vedere alcunché. [NOTA: Come si vedrà, la cecità in questione viene chiamata confidenzialmente – l’atroce confidenza metaforica che le persone intrattengono con la propria malattia – “verme” o talvolta “Fratel Verme” (meglio non chiedere). La presenza del “verme” è segnalata da “dei bravi (sic) lampi di luce che sembrano provenire dall’interno della testa, da dietro gli occhi, come se il cranio fosse diventato un garage in cui qualcuno sta scattando fotografie col flash. Quasi sembra di sentire anche il rumore delle lampadine che bruciano”. In realtà, i lampi di luce sono prodotti dallo sfregamento degli anelli che costituiscono il corpo del “verme” contro le volute della corteccia cerebrale. Ovvero, sempre che là fuori ci sia qualcuno con inclinazioni diciamo neoalchemiche, come una farfalla mangiata dalle fiamme che sfrigola dentro le ampolle degli occhi sbatacchiando le sue ali di fuoco]. All’inizio della malattia, continuavo a pulirmi gli occhiali perché trovavo che erano sporchi. Una piccola briciola, dicevo, un alone. Mia moglie sospirava. Non so perché non mi rendessi conto che la macchia restava davanti ai miei occhi anche mentre pulivo le lenti.
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Da quando ho usato la cassa di latta dell’architetto, un velo trasparente e implacabile è sceso tra me e le cose, — stavo per dire le persone, e tutto è come il presidente la prima volta che lo vidi, nel treno per Venezia; tutto è trasparente e attraversato e attraversato e attraversato ancora da un paesaggio in corsa, il vero paesaggio dal quale sono per sempre separato come il cadavere di un cervo sotto una lastra di ghiaccio, il paesaggio stesso oramai è trasparente, tutto è infinitamente trasparente, e si può vedere attraverso tutto quanto , all’infinito, fino a che un movimento traballante, gli occhi da bambola messicana dell’architetto, fanno ripercorrere all’indietro l’abisso trasparente e per un attimo tutto torna quasi reale. Ecco perché quando una persona mi si avvicina la dolcezza aumenta e aumenta, fino a trasformarsi nell’esatto opposto, perché io stesso sono trasparente, non ho fondo e perciò ogni cosa in me è libera di muoversi e ruotare liberamente e traballare come occhi di bambola messicana.
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La malattia, ricordo, è iniziata durante un’omelia di un sacerdote o di un finto sacerdote con un nome oscuro, un nome che in qualche modo era esso stesso una litania. Tutto questo fa parte di un sogno oscuro, un sogno in cui è come se venissero inserite in modo surrettizio ma violento e starei per dire violentatorio, senza il supporto di immagini o reali pensieri, è più come se tutto di colpo il mio cervello si ritrovasse pieno di informazioni, teso per il sovraccarico di informazioni la cui tensione interna lo sfilaccia e apre dei buchi da cui le informazioni iniziano a disperdersi, informazioni che lo investono con la stessa immediatezza a-cerebrale delle sensazioni o percezioni tattili. È come se fossi stato collegato a una memoria centrale e mi fossero stati riversati nel cervello milioni di byte nel modo più efficiente – e crudele, nella misura in cui spesso la massima efficienza implica la massima crudeltà – possibile [FIGLIA DEL CAPITAN VISIERA: “Efficienza implica crudeltà” PRIMO FIGLIO DEL C.V.: “E notiamo anche quel nella misura in cui” SECONDO F.D.C.V.: “Lei si sente più crudele o più efficiente? FIGLIA D.C.V.: “Forse non intendeva vera e propria crudeltà, forse intendeva insensibilità, indifferenza alle conseguenze sul fisico” SECONDO F.D.C.V.: “Spietatezza allora” FIGLIA D.C.V.: “Sì, ma è ancora diverso, è una cosa che riguarda la psicologia delle macchine, ins—” SECONDO F.D.C.V.: “Momento, momento, intende dire che le macchine hanno una vista psichica?” FIGLIA D.C.V.: “A questo punto sì” PRIMO F.D.C.V.: “Inesorabilità?” SECONDO F.D.C.V.: “A questo punto? cioè quale punto?” FIGLIA D.C.V.: “Questo. Meglio, anche se non so se esista come parola” SECONDO F.D.C.V.: “E io non so se esiste la psicoanalisi per macchine dunque siamo pari” PRIMO F.D.C.V.: “Inevitabilità?” FIGLIA D.C.V.: “Va bene, va bene, qualsiasi ilità volete voi” PRIMO F.D.C.V.: “Ha detto qualsiasilità?”] Nello stesso tempo, appena ne vengo imbottito, è come se questi pensieri tattili fossero parte della mia vita da sempre.
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Un velo trasparente e implacabile che lo lasciava orfano di ogni batticuore. Come quando si spengono le luci del presepe e i contorni delle statuine si impiastricciano in un corpo oscuro nel cuore della casa.
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19 febbraio. È curioso che tutta questa parte del sogno, quella dell’imbottitura di informazioni, avvenga in modo oscuro, violentatorio, tattile, proprio come se fossi cieco, o come se fossi il supporto in braille di una mostruosa creatura cieca il cui compito è tastarmi e ispezionarmi rivelando anche a me stesso i miei propri contorni. La mia cecità ha avuto inizio durante un’omelia. Io ho ricevuto tutti i sacramenti cattolici. La sola tristezza di noi cattolici è quella di non essere santi. Siccome non sei né caldo né freddo, incomincerò vomitandoti. Il prete con il nome come una litania diceva queste parole. Io non sono cieco, né ho mai avuto problemi agli occhi. Non so se questa è un’altra informazione dell’oscuro sogno tattile; uno degli effetti dell’imbottitura di informazioni (meglio sarebbe dire imbalsamatura, perché ne sento poi il cervello maltrattato allo stesso modo delle bestie imbalsamate, la cui pelle sembra sempre troppa o troppo poca – nel mio caso appunto troppo poca – rispetto all’imbottitura, e l’effetto è quello di una creatura afflitta da una deformità interna e perciò tanto più terrificante, una paralisi provocata dalla sedimentazione della propria stessa carne) è che anche molte delle altre cose che realmente fanno parte di ciò che sappiamo di noi finiscono per apparire esse stesse come parte dell’imbottitura, finché su tutto scende una forma ottusa di incertezza che ha la consistenza di un mal di testa da sovraccarico, come se si fosse vittime di un esperimento scientifico orribile, doloroso e, per le entità che lo eseguono, di poco conto, trascurabile, tutt’al più curioso, un esperimento cioè un divertimento per il dopocena, o uno di quei esperimenti delle fasi iniziali, di quelli che richiedono un numero spropositato di test su innumerevoli cavie, test per lo più eseguiti da assistenti, magari nemmeno nei laboratori, test che possono essere tranquillamente eseguiti a casa propria [SECONDO F.D.C.V.: “Avevo una fidanzata che faceva questo lavoro” FIGLIA D.C.V.: “Faceva la cavia da laboratorio?” SECONDO F.D.C.V.: “No la cavia semmai ero io” PRIMO F.D.C.V.: “Faceva esperimenti su umani?” SECONDO F.D.C.V.: “Nel mio caso su animali” FIGLIA D.C.V.: “Senta–” SECONDO F.D.C.V.: “No, davvero, non ricordo più cosa doveva testare ma lo poteva fare a casa” PRIMO F.D.C.V.: “E le cavie…” SECONDO F.D.C.V.: “I soliti topi bianchi” FIGLIA D.C.V.: “E…” SECONDO F.D.C.V.: “Quelli che ho visto io li uccideva” PRIMO F.D.C.V.: “No ma che razza di–” SECONDO F.D.C.V.: “Diceva faccio finta di metterli a dormire, credo che qualche volta gli dicesse persino qualcosa, o forse cantava, non–” FIGLIA D.C.V.: “Ma è agg–” SECONDO F.D.C.V.: “Non è durata molto” PRIMO F.D.C.: “No ma mi faccia capire–” SECONDO F.D.C.V.: “Tra me e lei, intendo” FIGLIA D.C.V.: “E quindi lei, cioè voi due vivevate in una casa piena di topi morti?” SECONDO F.D.C.V.: “Messi a dormire” PRIMO F.D.C.V.: “Mi sto ufficialmente cag–” SECONDO F.D.C.V.: “Comunque no, per rispondere alla sua domanda, cioè non esattamente” PRIMO F.D.C.V.: “Aiuto. Se qualcuno là fuori mi conosce ed è in ascolto in questo momento, mi venga a prendere” SECONDO F.D.C.V.: “I topi venivano messi a dormire in un barattolo, bastava mettere nel barattolo un batuffolo–” PRIMO F.D.C.V.: (Canticchia sommesso fino alla fine del dialogo l’orecchiabile benché spettrale jingle della serie televisiva Dead or Dad) FIGLIA D.C.V.: “Quindi c’era questo appartamento pieno di vasetti di vetro” SECONDO F.D.C.V.: “Andavano messi in un contenitore simile a quello per gli organi” FIGLIA D.C.V.: “Un frigo portatile– la vuole smettere di canticchiare lei?”]. La mia cecità è iniziata durante un’omelia. Siccome non sei né caldo né freddo. L’altare era stato aggiunto di una struttura rimovibile in legno, piuttosto imponente, dipinta in modo da sembrare scolpita negli stessi marmi dell’altare – almeno quella era l’intenzione – [FIGLIA D.C.V.: “Cos’ha adesso da borbottare” SECONDO F.D.C.V.: “No dico ma era stato aggiunto è corretto?” FIGLIA D.C.V.: “Cioè, davanti all’altare avevano come costruito” SECONDO F.D.C.V.: “Non l’architettura, la grammatica” FIGLIA D.C.V.: “Senta, invece di preoccuparsi di connettori e connettivi pensi piuttosto a tutti quei poveri topi che lei e la sua fidanzata avete sterminato” SECONDO F.D.C.V.: “Io non ho sterminato un bel niente” FIGLIA D.C.V.: “Ma non ha nemmeno impedito–” SECONDO F.D.C.V.: “Voleva che facessi licenziare la mia ragazza?” PRIMO F.D.C.V.: “La grammatica È architettura”]. L’impalcatura appariva piuttosto vecchia, qua e là scrostata e, nonostante arrivasse fino alla volta della chiesa, una serie di cardini e gangheri indicava che la struttura era pieghevole come un immane paravento; sopra ogni minima sporgenza orizzontale della cattedrale pieghevole era stata posizionata una candela. L’odore di cera – la quale colava sul legno rendendolo fosforescente come una cataratta — avevo un gatto con un occhio coperto da una cataratta; sembrava appunto cera – l’odore di cera – anche mia nonna aveva le cataratte – il gatto Händel — forse è da lei, dalla sua linea genealogica, che ho ereditato la mia cecità, ma potrebbe di nuovo essere un’imbottitura, questa di mia nonna, [PRIMO F.D.C.V.: “Per non parlare del gatto”]; ho il ricordo insensato di lei, della nonna, di questa figura che mi sento quasi fisicamente costretto a chiamare NONNA, che cerca di liberare l’occhio dalla cataratta leccandosi il dorso della mano e strofinandoselo contro la faccia proprio come un gatto – l’odore di cera è soffocante, e mi chiedo se sia mai successo che tutta quella struttura prendesse fuoco. Cerco di vedere se tra i fedeli ci sia una vecchia che si lecca le mani, ci sono moltissime donne vecchie, sicuramente alcune di loro hanno delle cataratte di cui liberarsi, ma non è in questo momento che sta accadendo, era prima che io ero in chiesa, non adesso, prima, non adesso. Ecco. Il problema con queste imbottiture psichiche è che non c’è nessuna differenziazione temporale se non da un punto di vista intuitivo, ho cioè la sensazione che il fatto della chiesa e della struttura aggiunta all’altare risalga a un tempo passato, ma niente di quello di cui sto parlando mi sta realmente davanti; eppure mi si impone come altrettanto indubitabile e incontrovertibile che un qualsiasi oggetto reale. Io osservavo le statue e le candele della chiesa mentre il sacerdote parlava – un sacerdote famoso per la rapidità delle sue omelie, per la vera e propria frenesia delle sue omelie. C’erano anche molti non credenti che venivano ad ascoltarlo, e questo dava alle sue funzioni un’atmosfera errata, minacciosa, quasi sinistra. Come il carnevale.
20 febbraio. Non mi è ben chiaro se io mi trovo tra i fedeli, sotto il balcone di legno dal quale il sacerdote talmente veloce nelle proprie omelie da essersi meritato il soprannome di Furia sta recitando la sua omelia, oppure se sono uno dei chierichetti, con la tunica bianca, alle spalle del sacerdote. Io guardavo le statue, e nella chiesa ci sono statue ovunque, tutte con quell’espressione un po’ impaurita di una persona famosa fotografata da un paparazzo in una situazione imbarazzante, con quello sguardo da gatto che cerca di decifrare il senso dei due fari abbaglianti che gli si avvicinano e che lo investiranno. Mio fratello vedeva spesso una luce rotonda che gli si avvicinava a grande velocità e che lo spaventava molto. Pensava sempre alla morte. Anche lui aveva lo sguardo del gatto/vip davanti agli abbaglianti/flash. Forse i gatti prima di essere investiti credono di essere sul punto di ricevere un’illuminazione profetica. Ecco finalmente il mio Dio Creatore. Chissà se anche lui vomita palle di pelo. CIAC. Io guardavo le statue perciò non riesco a ricordare se mi trovo davanti o dietro al sacerdote, anche se mi pare di avere in mente il ricordo di un foglietto di carta con sopra scritta l’omelia, per cui è probabile che io mi trovassi dietro il sacerdote, magari proprio accanto a lui durante l’omelia [NOTA PER L’UFFICIALE INCARICATO: È probabilmente a questo punto che uno dei presentatori inizia a chiedersi se non ha conosciuto una delle persone contenute nel sogno del probabile tester/vittima di NITA™; il dialogo a riguardo, con ogni probabilità avvenuto fuori onda, non è pervenuto a questi uffici – NOTA PER IL LETTORE: Nelle puntate successive i tre parlano della curiosa circostanza in cui il diario in lettura è stato pubblicato; vengono intervistati in diretta ricercatori universitari, uno dei quali collegato al (o tangenzialmente colpito dal) gruppo terroristico dei Nerini]. Di solito chi andava accanto al sacerdote portava anche un cero acceso; quel che è certo è che sto osservando le statue dei santi e la loro espressione sorpresa e vagamente contrariata, cioè non ancora contrariata, come se il flash/abbagliante avesse loro impedito di passare dall’una all’altra modalità espressiva e fossero rimasti là bloccati tra sorpresa e contrarietà,
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Cercare di ricordare sogni lontani fa emergere immagini. Un sogno in Egitto. Nei sotterranei di una fabbrica o di un fortino abbandonato. Una figura ingobbita, simile a una sagoma ritagliata nel cartone, sbiadita, molto grande, che passa dietro una vetrina. Le ruote di un carro. Un viaggiatore in compagnia di un lupo. Un uomo che taglia del formaggio. Bandierine per tartine. Spade.
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21 febbraio. e forse questo significa che Dio è come un flash in un posto imbarazzante per una persona ovvero i fari abbaglianti di un’automobile in corsa per un gatto che sta per essere investito, cioè lo stesso effetto, non la stessa cosa ma lo stesso effetto, quindi trattandosi di Dio non fa differenza, l’importante è l’effetto dato che nessuno sa come è veramente Dio, oppure sono i santi che per prendere in giro gli scultori facevano tutti quanti quella faccia quando si mettevano in posa, o era lo scultore delle statue a far vedere ai santi qualcosa di sorprendente, che gli agitava davanti un pupazzo spaventoso o osceno, magari tirava fuori il cazzo come un bravo pittore fuori di testa, ecco perché le statue dei santi hanno l’espressione di chi gli è apparso un pisellone a tradimento; devono essere le vernici perché sono sempre i pittori i più pazzi di tutti, oppure è la morte dei santi ad essere così, solo che l’ordine è invertito rispetto al solito, prima la contrarietà (per la morte) poi la sorpresa (per la beatitudine), ma in fondo le facce scolpite dei santi sono appunto bloccate a metà tra le due, non sono né contrariate né sorprese, quindi non è poi così evidente che l’ordine sia stato invertito rispetto a quello normale per tutte le altre persone, ma dato che sono santi deve essere così, o almeno lo è per me che ho ricevuto tutti i sacramenti cattolici, almeno in quel momento, accanto al sacerdote e tenendo il cero in mano, per me è così. Sto osservando le statue dei santi e la loro espressione, senza far caso a quello che dice il sacerdote – non sono mai riuscito, nonostante tutti i sacramenti, a seguire fino in fondo un’omelia – la loro espressione di vip davanti a un flash fotografico (quando da bambino mi fotografavano – anche questa parte, mentre cammino accanto a mia moglie, anche di questa parte non so dire se si tratti di imbottitura imbalsamante o della realtà, è ridicolo e nello stesso tempo terrificante, si tratta di non riuscire a discernere quali, tra i liquidi che ci vengono iniettati nel corpo, sono salutari e quali sono componenti chimici per l’imbalsamazione; ci sono due sacche, una di sangue e una di liquido imbalsamante (sempre che esista qualcosa come un liquido imbalsamante), ma sono identiche, e i rubinetti e gli aghi che le collegano alle nostre vene formano un reticolo troppo complesso perché si riesca a capire con certezza quale dei due liquidi in un dato momento viene iniettato o dove sia diretto; è così anche con questa parte – quando da bambino mi fotografavano, cercavo sempre di rifare l’espressione dei santi, in modo che magari un giorno un sacerdote, venuto in visita sacerdotale a casa mia, avrebbe visto per caso quelle foto, buttate lì per caso, e avrebbe notato in mezzo alle altre la mia espressione e mi avrebbe riconosciuto come santo, così, la casa in cui abitavo quand’ero bambino era disseminata di mie foto buttate lì per caso in cui mi ero sforzato di assumere l’aria del gatto sorpreso dagli abbaglianti di un camion in corsa, pensavo sempre a un camion dato che dovevo dare l’idea di Dio; avevo imparato a memoria, durante un viaggio in autostrada, la targa di un camion, e mentre facevo l’espressione del gatto davanti agli abbaglianti mi ripetevo mentalmente la targa, il mio personale paternoster. TOK21747 TOK21747 TOK21747 TOK21747 TOK21747 TOK21747 TOK21747 TOK21747 TOK21747 TOK21747 TOK21747 [PRIMO F.D.C.V.: “Se il possessore del mezzo targato TOK21747–” FIGLIA D.C.V.: “Forse TO vuol dire Torino” PRIMO F.D.C.V.: “Se il possessore del mezzo targato TOK21747 è in ascolto in questo momento, è pregato di telefonare”] La cosa dei vip davanti ai flash mi era venuta in mente in un secondo momento, quando avevo visto le riviste scandalistiche che leggeva mia nonna. Mia NONNA.
22 febbraio. Vedendo la mia foto buttata là per caso con l’espressione a metà tra la contrarietà e la sorpresa, stupefatta ma neutra, il sacerdote in visita sacerdotale nella nostra casa mi avrebbe immediatamente riconosciuto come santo o almeno come beato, forse dopotutto avrei fatto meglio a pensare a qualcosa di ancora più grosso e improbabile di un camion, un carroarmato per esempio, o addirittura un aereo, un elicottero, un UFO, forse è quello il motivo per cui non mi hanno fatto santo, forse è questo che rende santi i santi e rende i santi così rari, il fatto di avere la fantasia talmente sfrenata da riuscire a immaginare da quale incredibile mezzo in corsa possa essere investito un gatto. Bloy dice che la sola vera tristezza dei cattolici è quella di non essere santi. Nel mio caso è vero. Quando il sacerdote mi avesse riconosciuto almeno come beato, come santo probabilmente no, sarei stato famoso sul serio, e felice sul serio, come dice Bloy, e avrebbero fatto una statua anche per me tra tutte le altre che affollavano la chiesa, proprio con quella giusta espressione, non sarebbe stato difficile con tutte le fotografie che avevo, non sarebbe stato nemmeno necessario farmi mettere in posa, avrei semplicemente spedito le fotografie allo scultore, o forse mi avrebbero fatto una statua in cui avrei tenuto in mano tutte le fotografie, solo per questo potevano ben farmi santo anche se sulle prime mi avessero riconosciuto solo la beatitudine, ma poi vedendo quante erano le fotografie e come mi ero preparato sicuramente sarebbe arrivata la santità, in tutte le cose il talento conta solo per il 10%, tutto il resto è lavoro, applicazione, costanza, e questo lo diceva Beethoven, non uno qualunque, uno che di talento ne aveva di sicuro, eppure ecco che per lui era solo un decimo del totale, ma forse questa cosa gli è scappata detta subito dopo la rissa con Chopin, a caldo, giusto per contrariare quella femminuccia di un polacco, insomma è difficile che uno insista troppo con il talento quando ha un occhio nero; e quando la statua fosse stata pronta le vecchiette avrebbero pianto vedendo la mia beatitudine e a seguire in tempo record la mia santità – ma a volte delle statue avevo paura, perché temevo che per fare le statue occorresse ricoprire di cemento il corpo che si voleva raffigurare, e questo sia per velocizzare la produzione della statua sia perché la presenza della persona reale non annullasse l’effetto del simulacro.) dunque sto osservando le statue e la loro espressione sorpresa/contrariata quando sento come se una mosca mi si fosse intrappolata nell’occhio, e fosse lì a dibattersi nella pasta bianca dell’occhio come nell’albume di un uovo a la coque. Sento come ali trasparenti e zampine che si agitano dentro il mio occhio, senza tuttavia creare difficoltà alla vista, le statue dei beati infatti sono sempre davanti a me, solo talvolta un po’ più tremule, come se i corpi originali dentro i simulacri premessero il cemento per liberarsi. In queste condizioni mi è impossibile, come del resto sarebbe impossibile a chiunque, fare l’espressione di un gatto in impatto davanti ai fari di un camion. Un insetto è proprio tutto l’opposto di due fari abbaglianti.
23 febbraio. Inoltre per brevi attimi è come se viceversa la vista mi si amplificasse oltre misura e il tremolio dell’insetto (che immagino sia una mosca, non posso tuttavia esserne certo, dato che è impossibile vederla in quanto ormai l’insetto è diventato una delle modulazioni della mia vista, e sia pure una modulazione la cui attività sta lentamente distruggendo la vista stessa) mi mostrasse anche quello che c’è dietro la mia nuca, come per esempio quando ho potuto rendermi conto dei fari abbaglianti dal camion dietro di me, e riconoscere in quei due fari un avvertimento per l’arrivo del sole, o nel caso attuale, nel caso in questione, nel caso in causa ecco, il velluto rosso un po’ tarmato sull’altare, il marmo nero – dunque è ormai certo che stavo facendo il chierichetto, e non mi trovavo tra i fedeli quando la mosca si è infilata nel mio occhio dando inizio al mio lento accecamento – mentre sento l’insetto che si dibatte e dibattendosi sprofonda sempre più negli umori del mio occhio, come se il mio occhio fosse in realtà un fiore carnivoro che attira e divora moscerini, e solo per combinazione fosse anche un occhio, senza cioè che quello di vedere fosse un compito primario, il compito primario per quanto riguarda la sua sopravvivenza, credo che per lo meno in via teorica sia possibile, sia possibile immaginare un organo la cui funzione nell’economia dell’intero organismo è accessoria, accidentale rispetto alle direttive che indirizzano o hanno indirizzato la sua specifica lotta per l’esistenza, insomma una cosa a metà tra l’organo e il parassita – ma forse la storia di ogni organo è la storia di qualcosa che ad un certo punto si trasforma in un parassita, ciò che in un certo momento è l’arma vincente si trasforma poi nel più molle e esposto dei punti deboli, poiché è scritto che ciò che davvero ci sterminerà saranno le metamorfosi, inizieranno a nascere bambini privi dell’emisfero del linguaggio che col tempo ci stermineranno — mentre l’insetto dibattendosi si intrappola sempre più irrimediabilmente nel mio occhio danneggiandolo per sempre, mi pare di sentire che il passo del Vangelo che il sacerdote sta commentando – ad ogni messa è come se dentro la chiesa fossimo solo io e il sacerdote, e il resto dei fedeli una massa opaca, come parte dell’arredo, come altre statue o impalcature pieghevoli rese fosforescenti dalla cera della candele, ma con un’espressione non riuscita, non sufficientemente sorpresa/contrariata, un’espressione da gatto che all’ultimo momento è riuscito a distogliere gli occhi e a tirare dritto verso il ciglio della strada, salvandosi – un eretico –
24 febbraio. mi pare di sentire che il passo del Vangelo che il sacerdote Furia sta commentando sia appunto quello in cui i seguaci di Cristo si strappano gli occhi e li gettano nell’abisso, o forse è quello della pagliuzza nell’occhio del vicino – fin da bambino, le parole di Gesù mi fanno ridere e mi spaventano; mi fanno ridere e mi spaventano così tanto che spesso le ricordo male, come quando dico che per un cammello sarà facile entrare nel regno dei cieli mentre i ricchi dovranno passare per la cruna di un ago – così vengo colto dal dubbio che il moscerino che ormai a furia di dibattersi ha quasi, almeno così mi pare, attraversato il mio occhio da parte a parte, sia in effetti un segno, una rivelazione, e che per mezzo di quel moscerino Gesù mi stia dicendo che la trave o la pagliuzza sono in realtà insetti che si dibattono, e l’enormità della differenza di dimensioni e solidità tra una trave e un moscerino che si dibatte mi colpisce in modo quasi intollerabile, come il primo spavento di un neonato, e forse la beatitudine è proprio quella, altrimenti non si spiega perché Gesù abbia voluto insistere con questo tipo di contrasti (pagliuzza/trave, cruna/cammello ovvero gomena (e forse scrivendole, ascoltando il suono delle lettere quando si scrivono, uno avrebbe potuto capire se chi scriveva intendesse cammello o gomena; sarebbe bastato ascoltare con attenzione la matita e l’equivoco non ci sarebbe mai stato): e solo per questo avrebbero dovuto farmi beato [PRIMO F.D.C.V.: “Per le prossime puntate dovremmo invitare un sacerdote” FIGLIA D.C.V.: “Per farci esorcizzare?” PRIMO F.D.C.V.: “Io conosco (…omissis…)”]) e mentre il sacerdote finisce la sua velocissima omelia e la messa riprende, la mia cecità propriamente inizia sotto forma di un puntolino doloroso e tremulo dentro il mio occhio destro, che ogni giorno cresce di un atomo, e mentre io e mia moglie attra
25 febbraio. versiamo la città del nord diretti al museo in cui è custodito l’apparecchio radiofonico, passando attraverso una serie di scorciatoie bizzarre, finestre a soffietto che mettono su cantine o legnaie, piccoli sportelli metallici attraverso i quali si passa a malapena (e anzi in un’occasione per poco non rimango incastrato, e devo quasi strapparmi la pelle per riuscire a passare attraverso l’apertura arrugginita, e quasi tutti gli sportelli si aprono su luoghi che non hanno nulla a che vedere con la città del nord in cui mia moglie ed io siamo andati per vedere quel famoso apparecchio radiofonico prima che il moscerino – noi lo chiamiamo così, anche se naturalmente nel mio occhio non c’è nessunissimo moscerino, il nome del mio disturbo al bulbo oculare è un altro, che nel sogno non ricordo, ma che, sempre nel sogno, sono sicurissimo che esista, quel nome, e quella malattia – prima che il moscerino abbia completamente divorato il mio occhio, o viceversa, il risultato è lo stesso, e cioè che io sarò tra breve completamente cieco.
26 febbraio. –luoghi, quelli su cui mettono i due o tre sportelli di ferro quadrati attraverso i quali ci infiliamo quasi slogandoci le spalle e le giunture delle anche per poter passare (una volta per strada ho visto un uomo che passava attraverso una racchetta da tennis– quanto di più vicino a un cammello e a una cruna d’ago; il momento più difficile erano ovviamente le spalle, che andavano slogate per poter passare attraverso la racchetta, e prima che fossero del tutto passate l’uomo le agitava, intrappolate nella racchetta, come stracci annodati; era doloroso da guardare), sportelli arrugginiti che lì dove sono, sui muri sotto i portici, si direbbero chiusi su tubature e contatori elettrici, e non sui veri e propri paesaggi che infine vediamo, che sembrano tolti di peso da valli montane, talmente differenti da tutto il resto della città da sembrare, lì per lì, proiezioni televisive (in uno di quei passaggi quasi si vorrebbero vedere delle mucche, o delle cascate strisciare lungo rocce dirupate – e dovevano comunque ben esserci infiltrazioni nel terreno, dato che quando io e mia moglie siamo passati a volte i piedi sfondavano, per così dire, il manto erboso, come fosse una scenografia posticcia di cartone di quelle del teatro o appunto della televisione, e il vero terreno, tutto attraversato da liquidi corrosivi, fosse quello sotto il livello del prato), mentre dunque io e mia moglie attraversiamo finestre a soffietto e sportelli metallici e io sono sempre più preoccupato per lei, perché questi passaggi sono lordati da strati di fuliggine e polvere cittadina, e lei finirà per sporcarsi e magari prendere anche la tosse [FIGLIA D.C.V.: “Carino a preoccuparsi per la tosse di sua moglie” PRIMO F.D.C.V.: “Io non ho ancora capito quando si sono sposati”].
27 febbraio. Mia moglie con tutta questa fuliggine e polvere cittadina finirà per sporcarsi e magari prenderà anche la tosse [PRIMO F.D.C.V.: “Questo mi fa venire in mente qualcosa che ho studiato alle scuole, ma non ricordo come si chiama” FIGLIA D.C.V.: “Apparato respiratorio?” PRIMO F.D.C.V.: “No dico la ripetizione” FIGLIA D.C.V.: “Quale ripetizione? La respirazione intende–” PRIMO F.D.C.V.: “La frase sulla tosse con cui abbiamo iniziato oggi è identica a quella con cui abbiamo finito ieri” FIGLIA D.C.V.: “Ah sì?” SECONDO F.D.C.V.: “Mah, io che ho fatto le scuole meccaniche a queste cose non ci bado proprio, non ci bado per niente, nemmeno se me le indica col dito, non mi fanno né caldo né freddo, ecco”], penso mentre attraversiamo finestre a soffietto e sportelli metallici nel nostro percorso verso il museo radiofonico, ed ecco che nello spazio di un secondo, un secondo talmente preciso che ho la sensazione quasi tattile dei centesimi che scorrono centopedicamente lungo una barra orizzontale, allineandosi l’uno dietro l’altro fino a riempire perfettamente il secondo come un mazzo di banconote cinesi che una dopo l’altra si materializzino in una macchina contasoldi sotto lo sguardo severo di un controllore che sorveglia la distruzione delle pagode ad opera della vegetazione, ecco che come da migliaia di migliaia di banconote da un centesimo di secondo il mio cervello viene un’altra volta imbottito con la storia della mia cecità, e io di colpo, con la sensazione di essere stato imbottito, il passivo è d’obbligo, essere stato imbottito, con una violenza e una velocità che possono solo avere un’origine artificiale, di questo me ne rendo conto, anche se in modo confuso, in trasparenza attraverso la sensazione di imbottitura che sento nella testa, persino nel sogno, e subito dopo l’imbottitura, come un riflesso involontario del cervello per bilanciare il violentatorio riempimento con l’omelia del sacerdote Furia e gli occhi strappati e gettati nell’abisso, arriva la certezza che la mia cecità è reale, è reale, è reale.
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E siccome non sei né caldo né freddo, io ti vomiterò.
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28 febbraio. E allora arriva anche il moscerino nell’occhio, e ne sento persino il ronzio, non sento altro che il debole ronzio del moscerino, nessun dolore all’occhio, e la cecità si manifesta come se qualcuno si piazzasse tra me e quello che voglio guardare, un’ombra, e se quello che voglio guardare è piccolo l’ombra prende le dimensioni di una monetina, e se quello che voglio guardare è tutto il panorama l’ombra allarga le sue ali triangolari cercando di coprire tutto, ma sia che sia grande sia che sia piccola l’ombra riesce sempre a impedirmi di vedere quello che vorrei guardare, e anche se la cosa è fastidiosa tutto quanto – l’omelia, le statue, il moscerino – mi appare perfettamente nitido e trasparente e netto in modo quasi asettico, tanto è stata opprimente, ematomica, l’imbottitura che è stata fatta subire al mio cervello. Ormai è troppo tardi, dico a mia moglie, l’ombra sta per prendere i miei occhi, non potrò comunque vedere la radio.
29 febbraio. Allora mia moglie si toglie le calze e mi mostra come usarle per fare una radio a galena, e mi dimostra come con l’attività radiofonica [FIGLIA D.C.V.: “Attenzione che qui si parla di noi” PRIMO F.D.C.V.: “Lei che ha fatto le scuole meccaniche spieghi un po’ ai nostri ascoltatori come costruirsi a casa una radio a galena e magari sintonizzarsi sul nostro canale” SECONDO F.D.C.V.: “Se non hanno già una radio come glielo spiego e se già ce l’hanno che se ne fanno di un calzino a galena” PRIMO F.D.C.V.: “Mi sembra importante che gli ascoltatori sappiano che sto spalancando gli occhi” SECONDO F.D.C.V.: “Tu non pensavi– [NOTA: Ad aggravare la già pericolante situazione legale dei Figli del Capitan Visiera, si allega ovvero si allegherà prima o poi agli atti il verbale della polizia stradale di Waltzwaltz del 29 febbraio riguardante un incidente autostradale in cui tutti e due i guidatori sono stati trovati senza un calzino, morti nel tentativo di costruire la galena sulla base del suggerimento, sia pur declinato, del commentatore e del contenuto di quanto segue]”] l’ombra che ho davanti agli occhi viene disturbata e si affievolisce. Mia moglie mi guarda negli occhi, e questa volta sono grato all’ombra che mi permette di vedere solo le sue iridi azzurre, e praticamente nulla del suo volto, è come se mia moglie si trovasse in mezzo ad una folla di persone che continuamente le passassero davanti impedendole di raggiungermi o almeno di mostrarmisi per intero, mentre in realtà io so che è proprio davanti a me, e gli sguardi che mi manda non devono realmente superare persone fisiche, ma semplici ombre (ma che vuol dire in questo caso “semplici”?) emesse dal moscerino intrappolato nel mio occhio come nella censura digitale di […omissis… (L’ufficiale interessato inoltri presso questi uffici richiesta in triplice copia dell’allegato F all’Indagine sulle produzioni cinematografiche clandestine di Carlos Adra – Censure e autocensure)] – e mia moglie mi mostra ovvero mi ricorda (anche se io non lo ricordo, è qualcosa di diverso, è come se nel momento in cui mia moglie parla della radio a galena quello che dice diventasse per me un ricordo, come il titanio che viene scambiato per un osso dalle cellule dello scheletro, il che torna utile per la costruzione di protesi, mia moglie mi ricorda come attraverso una mnemoprotesi, nel momento in cui racconta le parole si saldano perfettamente al ricordo e non sono più semplici parole, e per un orribile attimo mi chiedo se anche mia moglie non sia parte dell’imbottitura artificiale di ricordi che sto subendo, se non sia essa stessa una “moglie”, cioè un’entità o un ente che— ma poi le parole si reimpadroniscono di ogni mio spirito e torno ad ascoltare il racconto) come noi due, quando eravamo giovani, per poter comunicare (ma non ricordo perché non potessimo comunicare direttamente, faccia a faccia: forse si tratta ancora di una qualche particolare usanza del paese in cui è nata mia moglie e da cui forse provengono i miei avi, il villaggio di Newton, forse a Newton è tradizione
1 marzo. che durante il corteggiamento lo sposo costruisca una radio rudimentale e la usi per dichiararsi alla sua futura sposa, una tradizione dei tempi di guerra, forse, una tradizione partigiana) usassimo le nostre calze e le riempissimo di monetine che contenevano una piccola dose di materiale ricevente, così dice mia moglie, “materiale ricevente”, e non so perché ma appena mia moglie le dice queste due parole mi calmano, l’angoscia per la cecità imminente si attenua, quasi si placa, e anche le ombre che mi impediscono di vedere mia moglie iniziano ad essere attraversate da pulsazioni, o meglio rari palpiti di debole trasparenza attraverso cui indovinare il volto di mia moglie. Materiale ricevente. “Usavi le sbarre del tuo lettino di ferro come antenna, ricordi?” (ricordo; o era di mia moglie il lettino? forse era lei a usare il lettino come antenna? ma allora io come facevo? però ricordo; ricordo, ricordo il lettino di ferro; nel momento in cui mia moglie lo nomina, così “Lettino di ferro”, io lo ricordo; ricordo) “e quella volta che la trasmissione venne intercettata dal giradischi proprio mentre mio padre ascoltava Čaikovskij, ricordi? pensava che fosse polvere sul disco e aveva anche cercato di toglierla, sì, certo, come no, polvere parlante come quella della farfalle, LP ricoperti di polvere di farfalle, ma c’è qualcuno che questa polvere l’ha esaminata o almeno raccolta?”. Ricordo.
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Sarahs. Quando Sarahs lo guardava, l’ombra che Milos aveva davanti agli occhi veniva come disturbata e per un dolce orribile momento si affievoliva.
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2 marzo. Per attivare il materiale ricevente […omissis…, per amore di brevità: qui ai Figli del Capitan Visiera è piaciuto dedicare la puntata ad un approfondimento (non è ancora stato chiarito se di natura seria o faceta o tutt’e due) tenuto da un chimico di nome Giorgio Valmarana, che ha spiegato la natura del materiale ricevente e in quali monete si può ancora trovare, come verbigrazia le fragilissime monete cinesi in antimonio, sostanza (qui l’approfondimento, secondo un’inveterata idiosincrasia dei Figli del Capitan Visiera, ha cominciato a piegare nel labirintico) forse responsabile della morte di Mozart; all’approfondimento il dottor Valmarana ha fatto seguire un esperimento condotto lì per lì per costruire una radio a galena che ha interrotto la trasmissione radiofonica con un rumore di sonaglio da guerra, costringendo i Figli del Capitan Visiera a riprendere il giorno successivo, con momentaneo sfasamento tra le date del diario e quelle della trasmissione] bisognava sputare sulle monete dentro la calza e poi far roteare la calza, rapidamente, come dei frombolieri – faceva un rumore di sonagli da guerra – perché la saliva si distribuisse per bene su tutte le monete, e mia moglie mi mostra come facevamo, e sputa dentro la calza dopo averla riempita di monete e poi la fa frombolare con un gesto energico, efficace, e nello stesso tempo molto elegante e femminile, e io ricordo tutto e per poco non mi scoppia il cuore, è quasi come un’altra imbottitura ma questa volta non c’è nulla di artificiale o violentatorio come con il sacerdote e la sua omelia, potrebbe anche trattarsi di un’altra finta ma mi lascio investire nuovamente (né del resto ho scelta) da questa sorta di orgasmo cerebrale, come se la dissoluzione in sperma partisse dall’interno del cervello, e ricordo senza che mia moglie me lo dica (almeno così mi pare) come ogni cinque o sei minuti bisognasse di nuovo sputare nella calza e poi frombolarla con rumore di sonagli da guerra, perché la saliva si era esaurita, e la cosa andava avanti così fino a che il materiale ricevente delle monetine non era completamente disciolto, una pasta resinosa di natura oscillante tra il minerale e il metallico mista a saliva, che andava pulita in fretta se non si voleva che si appiccicasse alla calza compromettendo le future trasmissioni, e che tenuta stretta in un pugno mandava talvolta un confuso borbottio di pupazzo di caucciù. Accarezzando a lungo un gatto e elettrificando in questo modo il palmo, la pasta resinosa aveva delle reazioni strane e non prevedibili: il più delle volte si scaldava e vibrava gradevolmente nella mano, a volte intercettava debolissimi canali di musica classica, che si sentiva talmente lontana che la si poteva benissimo scambiare per un proprio ricordo. Mettevamo all’orecchio le mani chiuse a conchiglia per sentire le ultime sinfonie di Mozart e il suono dei violini arrotolato nella mano a conchiglia strisciava su di noi sospirando come un serpente di serpenti. La tristezza dei cattolici: la tristezza è che nessuno è mai santo, perché ti fanno santo dopo che sei morto, e questo significa che in realtà santo non lo sei mai, perché essere significa sapere di essere, ma i morti non sanno niente. Forse è questo il significato ultimo delle messe di Mozart.
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Orfano di ogni batticuore.
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Serpente di serpenti come tagli nella memoria.
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Ci sono frangenti in cui la salvezza dipende dalla dissimulazione del cosiddetto destino comune. Continueremo dunque a procedere (né il lettore ce ne voglia) con il passo del camaleonte.
(Sempre che là fuori esista ancora qualcosa di anche lontanamente simile a un lettore.)
[continua l’11 maggio]