a Luigi Di Cicco : untuk undulant
Un giorno un giovane di poco più di vent’anni, le pupille tremanti sul paesaggio in corsa dietro il finestrino di un treno per Venezia, si addormentò.
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Lo scoiattolo è un’ombra.
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(Trascrizione della trasmissione radiofonica I figli del Capitan Visiera, puntate del 13 e 14 giugno; file audio sotto sequestro presso gli uffici della polizia municipale di Newton (distretto di Waltzwaltz); la trascrizione è attualmente agli atti del processo intentato dai famigliari delle vittime del videogioco NITA™ contro Tomaš Brušek.)
“13 giugno. Ed è forse il pensiero dell’autoradio che ora non c’è più quello che ogni volta mi commuove (ma non c’è mai stata un’ogni volta; non ho mai visto quest’automobile prima d’ora). Ricominciamo a vedere le case. Ora non ci sono più mele spappolate lungo la strada. Il mio violinista ha calcolato correttamente la traiettoria. Forse tra gli zingari avere un violinista è lo stesso che avere un navigatore. Forse anch’io sono uno zingaro. Senz’altro l’automobile che sto guidando lo è. Le case sono state costruite riassemblando pezzi di costruzioni demolite. Chiesette, pensiline, officine, baracche fatte con un po’ di tutto, case cut-up. Un crocifisso tiene insieme i vetri di una finestra, e uno dei vetri è in effetti un frammento di saracinesca. Cose del genere. Tutte le case, per quanto precarie, hanno una specie di vialetto infangato che porta all’ingresso. Qui è sempre un po’ umido, per via degli annaffiatoi automatici. Il suono che fanno, quando io e il mio violinista scendiamo dall’auto, è come di molte macchine da scrivere, e in qualche modo l’impressione è di trovarsi in un ufficio, anche se non c’è nulla di più lontano da un ufficio del luogo in cui ci troviamo.
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Schwarzschwarz, antico borgo austriaco o prussiano costruito in Indonesia, oggi metropoli medusea e intermittente, sede di un famosissimo festival di castelli gonfiabili fatto oggetto degli strali di innumerevoli associazioni ecologiche perché alla fine di ogni edizione i castelli vengono abbandonati sulla corrente che lambisce il golfo di Schwarzschwarz (si allegano fotografie aeree del golfo dopo il festival, come un Arlecchino spappolato, animali o bambini in grado di camminare sui castelli sgonfi come i boscaioli canadesi sui tronchi, spingendosi fino al linite della barriera corallina; primissimo piano di un bambino senza denti in cui distingui come attraverso strati invisibili tutte le generazioni prima di lui fino all’età della pietra). È lì che vive Bapak Rolex, mostro minore; è lì che avrà luogo il massacro. O ha avuto luogo. O sta avendo luogo. Tutto dipende da come vogliamo guardare l’orologio.
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Quando riprese conoscenza, sentì qualcuno che respirava vicino a lui. Il giovane si volse.
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Un uomo e suo figlio sono in partenza da Schwarzschwarz. Il neonato è terribilmente deforme. Arrivano in un paese dove il bambino fa alcune serate canore (rauca voce sdentata da cui la melodia si dipana cremisi come da un liquido amniotico) a conclusione delle quali tutto il paese è diventato un nuovo rione di Schwarzschwarz, nel quale si compie ogni sorta di crudeltà sugli animali. Non si parla d’altro, è l’unica storia, anzi, se ci si pensa, in fondo tutta la Storia non è che la storia della creazione di un nuovo rione di Schwarzschwarz. L’uomo suona il violino con una donna che ha una vecchia pianola a manovella costruita a Waltzwaltz. Una principessa prigioniera, direbbe uno spettatore con il pallino dei libri per ragazzi, e per una volta i libri per ragazzi non sarebbero poi troppo lontani dalla verità (non però dalla realtà – qualunque cosa questa parola possa significare quando un nuovo rione è in costruzione). Nell’ultima immagine, i tre riuniti insieme intorno alla pianola come una sacra famiglia, o come Leopold Mozart con i suoi due bambini. Ma qui di bambino ce n’è solo uno; vagava anche Leopold per trasformare l’Europa in un nuovo enorme rione? Tenere sempre l’organetto in grembo: ecco il segreto di ogni spettacolo. L’organetto in grembo. Nella prima immagine, le unghie di una mano ticchettano sulla tastiera.
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Contrariamente al pubblico del processo (inclusi il giudice e gli avvocati) T***š B***k e la sua equipe non hanno mostrato alcuno stupore per le evidenti discrepanze tra le varie descrizioni di NITA™ (alcuni membri del comitato linguistico-stilistico – cfr. infra – hanno cercato di compilare un’analisi delle “costanti narrative e stilistiche” presenti nelle varie descrizioni; tale analisi, forse degna di nota per la sensibilità critica e l’erudizione dispiegate, è tuttavia risultata del tutto inutilizzabile sia dal punto di vista legale che da quello informatico): “NITA™”, così ha detto T***š B***k, “in effetti è diciamo una creatura, possiamo dire che NITA™ è una creatura, ma per di più ovvero per di meno una creatura quantistica nata al di fuori di qualsiasi tipo di controllo, un bug quantistico se si vuole, ed è già stupefacente il fatto che descrizioni tanto disparate possano comunque essere ricondotte ad un’unica entità, e per di più un’entità vivente, e sia pure vivente in modo fittizio, e in questo senso [qui non è chiaro a quale “senso” si stia riferendo T***š B***k] è certamente del massimo interesse questo dettaglio degli occhi del color del fango, che sembra ritornare da una descrizione all’altra, eccettuata certo quella del cervo [e anche quella di CittàNeon; quantunque non siano state lette al processo, inoltre, T***š B***k ha dato notizia di altre dd.d.N. nelle quali compare costantemente un dettaglio del paesaggio rappresentabile come “una crosta di roccia – così, citando a memoria, T***š B***k – che, per chi la guarda da lontano, sporge dalla foresta come un enorme e sottile guscio d’uovo dischiuso cui la trasparenza ranciata dal sole versa l’ombra del rettile o dell’uccello o dell’insetto che ne è nato”]; comunque sia, una creatura come NITA™ non può che essere descritta in maniera del tutto imparziale [sic] e incompleta, questa anzi può essere considerata la sua unica caratteristica essenziale (insieme forse appunto come ripeto agli occhi di fango [non sappiamo dire perché T***š B***k insistesse tanto su questi occhi di fango, che se pure ritornano in varie dd.d.N. tuttavia non sembrano nemmeno loro presenti in tutte le dd.d.N.]): il non avere caratteristiche omogenee al momento della propria manifestazione nelle diverse sessioni di gioco; all’inizio anzi una delle cose più difficili è stato appunto rendersi conto che i nostri tester erano incappati nello stesso bug, ovvero che le varie creature incontrate dai nostri tester nei punti più impensati di Nottingham o della foresta di Sherwood o dove che fosse erano riconducibili alla stessa diciamo inafferrabile matrice; l’idea che al momento stiamo portando avanti per cercare di comprendere e quindi isolare ovvero imbrigliare la pericolosità di NITA™ è che nella sua struttura interna – che peraltro ci è ancora in gran parte ignota – ci sia una sorta di diciamo “falla” attraverso cui le caratteristiche non omogenee con una determinata rappresentazione del personaggio “filtrino” a livelli subliminali nella rappresentazione stessa, innescando così una sorta di, come dire, cortocircuito ludico, … (omissis) … tale da far collassare la concentrazione del giocatore in un nodo di contraddizioni insostenibili ma nello stesso tempo non isolabili a livello conscio.”
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Lo scoiattolo è un’ombra
che corre sottoterra.
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[Giova qui ricordare che lo stesso nome Nita, del resto, non è che il più usato dei vari nomi (oltre a Nita l’equipe di T***š B***k ha potuto registrare: Ana, Anita, Anna, Susan, Susanita, Susanna, Susy, Suzan, Suze, Suzy, Zuzy) con i quali il personaggio è apparso nelle varie sessioni di gioco organizzate nella fase alpha, prima che il laboratorio di T***š B***k decidesse di deviare i collaudi unicamente sulla produzione di DAIMON™, una decisione dettata dal fatto che NITA™ appariva ancora più instabile e non controllabile di quanto già non sia (ovvero si suppone che non sia) DAIMON™.]
Nemmeno le ragioni del suicidio dei due tester/vittime, l’uno nella camera d’albergo e l’altro nella casa giocattolo di Varsavia, sono affatto chiare, e la discussione intorno a tali ragioni (all’esistenza o meno di tali ragioni) costituisce ovviamente la parte più corposa e ardua degli atti del processo a T***š B***k, dato che proprio la decisione su quale fosse l’effettivo status (tester o vittima) dei due tester/vittime è stata determinante per decidere della colpevolezza o dell’innocenza di T***š B***k, nonché del bandire o meno la versione depotenziata di NITA™, DAIMON™, dal mercato dei giocattoli (tale ultima questione si direbbe dopotutto di secondaria importanza – anche se per T***š B***k pareva al contrario essere fondamentale – dato che già da prima dell’inizio del processo sembrava cosa accertata che con ogni probabilità il mercato su cui DAIMON™ verrà dirottato sarà quello medico).
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14 giugno. L’unico scopo degli annaffiatoi sembra essere quello di mantenere lo stato fangoso dei vialetti. La casa in cui dobbiamo entrare è l’unico autentico edificio in mezzo a queste capanne di bibelot: un vecchio condominio anni ’70 color bianco, “Di un bianco Pasolini”, mi bisbiglia il mio violinista, e a quel punto mi sveglio. Sono sdraiato su un divano. Una coperta di lana nera decorata a fiori copre i cuscini. Qualcuno mi passa una specie di boccale di latta. C’è dentro un po’ di tè. Residui sul fondo. Non sono ancora del tutto sveglio. In funzione di kamikaze assente. Continuo a pronunciare/pensare queste parole. In funzione di kamikaze assente. Significa sistemarsi fuori da una portafinestra, mettendosi di spalle, orientando il proprio riflesso parziale sui vetri in modo che a chi si trova all’interno sembri che un’altra persona, girata dall’altra parte, sia fuori insieme a noi. I kamikaze assenti più abili riescono a fare in modo che il loro riflesso parziale non si stacchi dalla finestra o rimpicciolisca o cambi mai di forma, nemmeno quando loro si allontanano dalla finestra. Ai più ingenui viene dato ad intendere che è in realtà il vetro della finestra ad essere uno specchio stregato. Non conosco questo posto. Non ho idea di come sono capitato qui.
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Quando mi sono svegliato, il presidente era già lì, in qualche modo già impliciti tutti gli orrori che sarebbero seguiti a quell’incontro. Nei sogni, e oramai anche nei ricordi (e poi dove attecchirà ancora la metamorfosi?), l’incontro è ogni volta in un luogo diverso, il presidente è ogni volta qualcosa di diverso. L’ho già detto. Alcune cose però non cambiano, sono come parole d’ordine per rendermi certo che il sogno riguarda il mio primo incontro con l’architetto, e non altro. L’ho già detto. Le prime parole che mi disse, per esempio: “Scende a Venezia anche lei? Va a Venezia anche lei? Anche lei a Venezia? Venezia? Anche lei Venezia? Scende a Venezia? È diretto a Venezia? Prosegue fino a Venezia? Giù in fondo fino a Venezia?”, o la sua immagine riflessa nel finestrino del treno. Non importa dove ci troviamo nel sogno. L’ho già detto. L’ho già detto. L’ho già detto. L’ho già detto. L’ho già detto. L’ho già detto. L’ho già detto. L’ho già detto. L’ho già detto. L’ho già detto. L’ho già detto. Ma anche se l’ho già detto succede realmente. Non è un’immagine. Niente è un’immagine, qui.
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La luna non lo vuole. La luna lo fa stridere.
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GLI SCOIATTOLI DI SCHWARZSCHWARZ: 1. Una sala di chirurgia, inquadrata dal punto di vista del paziente sul tavolo operatorio. Medici, infermieri e macchinari sono sopra di lui, ritagliati nella forma degli occhi che si stanno chiudendo. È come fossimo dentro la testa del paziente: vediamo le cose come attraverso i suoi occhi. Cosa succede a un ospedale quando un nuovo rione di Schwarzschwarz si instaura alla fine di una serata canora? Medici e infermieri hanno in mano bisturi, trapani, lame circolari, falci… Si intravede anche la sagoma di una statua mostruosa in modo generico. ——- 2. Gli occhi del paziente sul tavolo operatorio sono quasi del tutto chiusi: la scena ne risulta racchiusa tra due mandorle di luce, occhi che si chiudono. ——- 3. Nero. ——- 4. Gli occhi si stanno riaprendo. Due tenui anguille di luce, arlecchinate delle sagome fuori dalla testa del paziente. È di nuovo la sala operatoria, solo che medici e infermieri sono stati sostituiti da sacerdoti, mostri, statue, candelabri, un orso ballerino, pacchiane figure da tunnel degli orrori. Uno dei sacerdoti indossa uno stetoscopio. ——- 5. Nero. ——- 6. Di nuovo, occhi che si aprono. Mandorle di luce più aperte che nelle prime vignette. Ora siamo all’interno di una vecchia automobile piuttosto pittoresca, e vediamo ogni cosa dal punto di vista del passeggero sul sedile posteriore, al centro: come quando da piccoli viaggiavamo con la mamma e il papà (o chi ne fece le veci). L’automobile è una vecchia Mercedes. Sul cruscotto ci sono una cartina geografica spiegazzata e delle carte da gioco. Attaccato allo specchietto retrovisore, un pupazzetto in caucciù che ritrae uno dei mostri della scena n. 4, e un rosario. Il sole trasforma in costellazioni diurne alcune particole di sporco sul parabrezza. Se uno guarda bene, nello specchietto retrovisore vede riflessi due occhi: sono gli occhi del passeggero di dietro, gli occhi dentro cui siamo stati intrappolati finora. Sul sedile anteriore di destra, c’è una donna con i capelli lunghi e un fazzoletto a fiori sulla testa: non vediamo ancora il suo volto. Il sedile del guidatore è vuoto. La Mercedes è ferma a un distributore di benzina. Fuori, lontane sullo sfondo, montagne. Un uomo, molto probabilmente il guidatore della Mercedes, sta parlando con il benzinaio. ——- 7. Occhi ormai del tutto aperti, la visuale coincide con i bordi della vignetta. Adesso il passeggero di dietro, e noi con lui, sta guardando a ore 2, fuori dal finestrino: un gatto tigrato a pelo lungo, accucciato sull’erba, fissa qualcosa tra le pietre di un muretto. I finestrini dei passeggeri hanno delle tendine. Cominciamo a innamorarci della vecchia Mercedes come di un luogo d’infanzia: questa è una delle tante trappole di Schwarzschwarz. ——- 8. Primissimo piano degli occhi del gatto: nell’iride si riflette in anamorfosi quello che l’animale sta guardando. ——- 9. Primo piano del punto che il gatto sta fissando: una fessura nera tra due sassi. Dalla fessura sporge appena un angolino di qualcosa. ——- 10. Inquadratura identica alla precedente, solo che l’angolino di qualcosa si rivela essere parte del corpo di una lucertola. ——- 11. Inquadratura come al n. 6, ma adesso la portiera dell’autista è aperta, e l’uomo che stava parlando con il benzinaio sta tornando al suo posto, sul sedile del guidatore. La donna si gira verso di lui e adesso ne vediamo il profilo. Ha i capelli neri, il volto magro e depresso ma gli occhi grigi, cattivi. Lunga prigionia incrudelisce principessa, come dicono da queste parti. ——- 12. L’uomo è entrato in macchina e ha chiuso la porta. Adesso la donna guarda in avanti. Il benzinaio sta guardando verso la macchina. ——- 13. Primo piano, sempre da dietro, sempre dal punto di vista del passeggero, dell’uomo al volante che si gratta la testa. ——- 14. Primo piano del profilo della lucertola. ——- 15. L’uomo si gira verso il passeggero che sta osservando la scena. L’uomo ha la pelle leggermente scura, un’espressione gentile e rassegnata, è pingue in modo lieve ma malsano, capelli neri corti, occhi neri, due fedi all’anulare. Fuori, il benzinaio si è un po’ avvicinato alla Mercedes, i pugni contro i fianchi. L’ipnosi di Schwarzschwarz comincia prima di quando il prestigiatore vi dice: “Osserva l’orologio”. È cominciata fin dal momento in cui avete messo piede nella tenda. ——- 16. L’uomo pulisce il passeggero con un bavaglino bianco sul quale è disegnato uno scoiattolino rosa che tiene una ghianda. Capiamo così che tutta questa scena in macchina, e forse anche quelle in ospedale, ci è stata mostrata attraverso gli occhi di un bambino molto piccolo. Un minuscolo braccino paffuto si allunga verso l’uomo. Il benzinaio, ormai molto vicino all’automobile, guarda negli occhi il bambino e si porta una mano alla bocca. Sovrapposizione pseudo-cinematografica di immagini: uno sforzo encomiabile dal punto di vista tipografico. Fate scorrere rapidamente le vignette sovrapposte in un minuscolo plico facendole cadere una sopra l’altra: otterrete un piccolo cinema di carta; ammirate la mano del benzinaio che si avvicina lentamente alla bocca, gli occhi resi sempre più luminosi dal terrore e dal disgusto.
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Nonostante nel processo contro la fabbrica di giocattoli fossero in gioco questioni etiche e economiche di primaria importanza, per non parlare della sua stessa libertà personale, l’atteggiamento di T***š B***k davanti ai giudici e le sue dichiarazioni sono stati decisamente ambigui, “ai limiti della cialtroneria” secondo l’esasperata espressione utilizzata dall’accusa, e onestamente bisogna riconoscere che le sue ipotesi per spiegare l’insorgere di NITA™ prima e persino della versione “controllata” DAIMON™ nella successiva fase di produzione e collaudo del gioco in effetti sembrano più allusioni alla possibile esistenza di una qualche spiegazione, da qualche parte, che non vere e proprie e positive spiegazioni. Quello che in ogni caso pare di poter dare per certo è che tra le due manifestazioni la differenza fondamentale sarebbe che NITA™ si sarebbe manifestata appunto come un bug, un insetto imprevisto del gioco che avrebbe portato ad un certo punto della storia il personaggio di Little John a nominare questo fantomatico e non stendhaliano [sic, ma in effetti non dumasiano (cfr. infra)[/robinudiano (cfr. infra)]] personaggio; al contrario (ovvero, quasi al contrario) DAIMON™ sarebbe stato prodotto in maniera semi-controllata (quando l’accusa ha chiesto a T***š B***k di spiegare il significato della formula “semi-controllato”, T***š B***k ha allargato le braccia sorridendo e ammiccando al comitato scientifico presente in aula, come se l’accusa avesse fatto la domanda più idiota del mondo, come a dire vedete con chi mi tocca parlare, che giustizia potrà mai uscire da qui se non si rendono nemmeno conto di quello che è il nostro lavoro), ovvero ricreando le stesse condizioni all’interno delle quali era insorta NITA™, ma programmando una serie di griglie o matrici probabilistiche che fungessero un po’ come “redini” (filo di ragno, bucce di banana, bava di centopiedi, calze di grafene, microtubi biovitaminici, fermenti virali derivati da muffe fossili — scoperti, tali fermenti, da R***r R***r, allievo di T***š B***k, durante l’analisi al microscopio elettronico di un foglio minerale nel quale si era riscontrata una insolita “ipercristallizzazione delle corone delle amebe”) per imbrigliare il nuovo bug e renderlo per così dire più mansueto, così ha detto T***š B***k usando un tono da nonnetta che racconta le favole ai bambini, tono che in ragione delle reazioni innescate ha reso necessario un ennesimo riaggiornamento del processo.
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——- 17. Primissimo piano del bavaglino con scoiattolo, disgustosamente lercio. ——- 18. Primissimo piano del benzinaio, la mano davanti alla bocca, gli occhi spalancati, giallastri. ——- 19. Primissimo piano della zampa del gatto conficcata in qualcosa di morbido. ——- 20. Primo piano della zampa del gatto. Ha praticamente inchiodato la lucertola al muro. È una lucertola bizzarra, con degli artigli molto lunghi, quasi da iguana; riuscendo a contorcersi, ha azzannato la zampa del gatto. Da uno dei quattro tagli inflitti dagli artigli del gatto escono variopinte le budella. ——- 21. L’inquadratura si sposta all’esterno. Questa vignetta occupa due pagine intere. La vecchia Mercedes si sta allontanando dal distributore. Anche il vetro posteriore dell’automobile ha delle tendine. Il gatto vicino al muretto si lecca la zampa. Il benzinaio, di spalle, la mano ancora alla bocca, osserva la macchina che se ne va. Sulla strada imboccata dalla macchina alcune frecce indicano le direzioni di Vienna, Salisburgo, Schwarzschwarz. ——- 22. Vignetta su due pagine. Cartello stradale che indica l’arrivo a Schwarzschwarz. È un paese di montagna. Il cartello è leggermente ammaccato dai pallini di un fucile, e su uno dei pali che lo reggono ci sono adesivi di squadre di calcio. La Mercedes ha appena superato il cartello. ——- 23. Vignetta su due pagine. Parcheggio di un supermarket di Schwarzschwarz. La Mercedes ha appena parcheggiato. L’insegna del supermarket è uno scoiattolo rosa con una ghianda tra gli artigli. ——- 24. Vignetta su due pagine, completamente nera. ——- 25. Vignetta su due pagine: spiraglio di luce a sinistra, a forma di cerniera che si apre. L’inquadratura è dall’interno di una borsa: vediamo le cose dall’interno di una borsa. ——- 26. Le vignette tornano ad avere dimensioni normali. La cerniera si è aperta del tutto, ne vediamo l’ondulazione dentata ai margini superiore e inferiore dell’inquadratura. La faccia dell’uomo della Mercedes guarda dentro la borsa, verso di noi che è come ci fossimo dentro. ——- 27. Come al n. 26. L’uomo della Mercedes dice qualcosa a qualcuno che non si vede, quasi certamente la donna prigioniera; allunga le mani. ——- 28. L’uomo della Mercedes ha preso il bambino, lo sta infilando nella borsa. Non riusciamo a vedere la faccia del bambino, che forse renderebbe i nostri occhi gialli e luminosi come quelli del benzinaio. ——- 29. Il bambino è dentro la borsa; la cerniera ricompone la tenebra. ——- 30. L’uomo e la donna della Mercedes entrano nel supermarket con un carrello. Hanno appoggiato la borsa dentro il carrello. ——- 31. Inquadrati di profilo, a corpo intero, spingendo il carrello con la borsa, l’uomo e la donna passano davanti al reparto detersivi. In terra c’è una pozza d’acqua. ——- 32. Passano davanti al reparto carni, sempre inquadrati di profilo. C’è molto sangue e ci sono diversi esemplari di selvaggina (cervi, caprioli, cinghiali, e anche uccelli rapaci come civette o aquile) quasi del tutto disossati salvo la testa, ammucchiati dietro i macellai. Un’intera sezione del bancone è occupata in modo inverosimile da salsicce di ogni genere. Uno dei macellai sta usando un tritacarne a manovella. ——- 33. I due arrivano nel reparto dolciumi, dove un inserviente del supermarket suona un organetto di Barberia. I dolciumi sono tutti scoiattoli di glassa rosa con una ghianda di cioccolato tra gli artigli. ——- 34. L’uomo e la donna appoggiano la borsa accanto all’organetto. ——- 35. Senza mollare la manovella, l’inserviente consegna uno scoiattolino. ——- 36. Primissimo piano dello scoiattolino. ——- 37. Lungo il corpo dello scoiattolino si formano morbidi bruchi rosa. ——- 38. Primo piano dell’uomo della Mercedes, con la sua espressione lobotomizzata, che mangia lo scoiattolino. ——- 39. L’uomo e la donna della Mercedes se ne vanno, le facce in primo piano, frontali. Alle loro spalle, al suonatore dell’organetto di barberia si presenta un signore con due borse per mano e una terza sotto un braccio. ——- 40. Nuova pagina, nuovi personaggi. Un cerchio nero. ——- 41. Dal cerchio nero esce un bambino ridendo, le braccia al cielo: il cerchio nero era l’uscita di uno scivolo a tubo. ——- 42. Stessa inquadratura da un po’ più lontano. Il papà del bambino gli dà una mano ad alzarsi dalla sabbia. ——- 43. Il bambino corre di nuovo verso la scala dello scivolo, per una nuova discesa. ——- 44. Il papà si china verso l’imboccatura, in attesa. ——- 45. Il papà, in piedi, guarda verso la cima dello scivolo, che noi non vediamo. ——- 46. Il papà grida per chiamare il bambino, le mani vicino alla bocca.
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T***š B***k: “La tecnologia quantistica messa in campo per la realizzazione del gioco SHERWOOD® e, ancora di più, quella sviluppata per creare le condizioni di controllabilità di NITA™ attraverso la sua versione depotenziata DAIMON™ è, non solo dal punto di vista dei materiali utilizzati ma anche dell’estensione e della qualità di memoria coinvolta, senza precedenti, completamente all’avanguardia, il che ci ha esposto a una serie di rischi che diciamo non abbiamo saputo gestire nel modo migliore, almeno fino alla prima fase alpha inoltrata, quando finalmente Little John ha diciamo vuotato il sacco (ma è bene precisare che diversi tester a questo punto avevano già manifestato delle diciamo crepe nel loro equilibrio nervoso, crepe che a quell’altezza nessuno sarebbe stato in grado di far risalire al collaudo del gioco, anzi direi crepe che possiamo percepire solo ora come tali, con il senno del poi, ma che al tempo potevano al più apparire come vezzi o tic) nominando per la prima volta NITA™ (anche se non sono autorizzato, né è al momento pertinente, non sono autorizzato a dire con quale nome di preciso l’abbia nominata), e qui mi scuserete se mi dilungherò un po’, ma per spiegare come sono stati condotti i test è necessaria una digressione sull’organizzazione interna della fabbrica di giocattoli, sui suoi livelli e le sue gerarchie, nonché su alcuni inevitabili difetti del suo (della fabbrica di giocattoli) apparato burocratico che, in questo particolare caso, si sono rivelati essere, ancorché minimi, critici; come se non bastasse, la produzione di SHERWOOD® è stata decisamente travagliata, specie nelle fasi iniziali del progetto, e molte delle persone coinvolte sono state allontanate dopo che … (omissis) … ; per cui quando durante i test nella fase alpha Little John ha nominato NITA™ (naturalmente come ripeto non è detto che Little John abbia usato subito il nome Nita, quello è un nome di comodo, una diciamo media onomastica, il nome come ripeto non è sempre e forse non è mai lo stesso ad ogni nuova apparizione … (omissis) … ) siamo diciamo caduti dalle più alte nuvole, perché nessuno di noi ovviamente aveva mai sentito parlare di NITA™ (fosse o non fosse quello il nome … (omissis) … ). Naturalmente all’inizio abbiamo pensato che il problema fosse Little John, e abbiamo provveduto a isolare il personaggio per capire quali fossero le riparazioni necessarie, tuttavia poco dopo che Little John era stato messo diciamo in quarantena è stato frate Tuck a intonare una ballata su “una dama che sale / su una scala di legno marcio / verso il soffitto del caseificio di Malta”, dama nella quale ora non abbiamo difficoltà a riconoscere il personaggio nominato da Little John, tanto più che Malta ha poco o nulla a che fare con le avventure di Robin Hood; dopo frate Tuck è toccato a Lady Marian, poi allo sceriffo, a re Giovanni, tutti uno dopo l’altro hanno iniziato a diciamo sputare il rospo, perfino la monaca che nell’ultimo game-over recide l’arteria di Robin Hood addormentato e apre le bende per lasciar fluire via il sangue — noi all’inizio avevamo pensato che L.J. si riferisse a lei, alla monaca, il che peraltro sarebbe anche diciamo calzato a pennello con il tipo di suicidio eseguito dai due tester, ma tant’è — fino a che è stato giocoforza indurre che il rospo, cioè NITA™, era sempre lo stesso pur non essendo nessuno dei personaggi previsti dal diciamo canovaccio, e proprio a quel punto le diciamo “macchine della verità” per la produzione automatica di flussi linguistici hanno cominciato ad emettere le prime descrizioni dei tester, segno evidente che la diciamo anomalia si stava diffondendo, mentre d’altro canto in SHERWOOD® si era creata una situazione paradossale per cui la quarantena nella quale ormai era radunata la gran parte dei personaggi del gioco risultava decisamente più avvincente del gioco stesso, del quale praticamente non restavano che gli scorci di foresta dove i tester, ormai privi dei necessari punti di riferimento rappresentati dai personaggi, finivano per smarrirsi. È stato durante questo stadio critico del collaudo di SHERWOOD® che una parte della mia equipe, all’inizio semplicemente per evitare che i tester si annoiassero troppo (i primi crolli nervosi erano stati in effetti attribuiti alla noia e all’esasperazione per ritrovarsi a vagare in una foresta deserta emettendo descrizioni automatiche di tubi di neon e simili) ha avviato i primi test su quello che poi sarebbe diventato il prototipo depotenziato DAIMON™, estraendo inizialmente le stringhe di flusso linguistico meno involute e diciamo psichicamente stressanti … (omissis) … Non è che riconoscere la natura del problema, peraltro, ci abbia aiutato granché a risolverlo; il fatto che NITA™ di fatto esista come storia che circola tra i vari protagonisti di SHERWOOD® la/lo rende particolarmente difficile da catturare, e con questo non voglio dire che NITA™ sia la storia ovvero le storie che parlano di lei; non siamo così ingenui; tanto varrebbe dire che Gesù è i quattro Vangeli; no; io parlo dell’esistenza di NITA™, non già di NITA™ stessa, parlo cioè dell’esistenza al di là ovvero al di qua delle equazioni quantiche, e questo perché nelle equazioni quantiche stesse di fatto non c’è niente, almeno non dal punto di vista dell’azione drammatica ovvero della diciamo presenza fisica del personaggio in quanto contorno catturabile o, se non catturabile, almeno parzialmente osservabile; forse per diciamo capirci meglio possiamo tentare di spiegare l’esistenza di NITA™ in un altro modo, cercando non tanto di risalire ad una falla nelle nostre equazioni (che di fatto, parlo delle equazioni, non esistono nel senso letterale del termine, ovvero è come se non esistessero, ovvero non c’è nessuno che propriamente le abbia scritte o, men che meno, le possa correggere) quanto piuttosto ad un errore umano, quanto deliberato non importa, almeno per ora. Affrontando la faccenda da questo nuovo punto di vista, diventa ovvero potrebbe diventare verosimile che NITA™ sia il frutto di una sorta di diciamo “eccesso di verosimiglianza”, il vecchio vizietto di essere diciamo “più reali del re” da cui i programmatori e gli sceneggiatori di giochi complessi e polifonici come quello di SHERWOOD® sembrano del tutto incapaci di liberarsi. Chi non ha mai lavorato alla produzione di giocattoli (e non parlo solo di videogiochi) non ha idea del livello, spesse volte veramente anormale e anzi direi patologico, del livello dicevo di ossessione per i dettagli e per il realismo che si può raggiungere nella scusate il bisticcio realizzazione di un giocattolo, come se a un giocatore importassero davvero queste cose, ovvero, voglio dire che naturalmente gli importano, ma certo non fino a questo punto, intendo dire cosa direste se vi dicessi che per SHERWOOD® alcune persone sono state pagate, pagate, per effettuare uno studio sulla biancheria intima dell’epoca e sul modo in cui questa poteva influenzare i movimenti dei personaggi? Che si può davvero guadagnarsi da vivere semplicemente indossando un paio ammuffito di mutande vecchie di secoli, o nutrendosi per mesi con una dieta a base di ghiande, neanche fossimo tutti quanti ritornati nell’età dell’oro, e tutto questo per un giocattolo, ma sto divagando. Proverò a spiegarmi meglio con un esempio, nient’altro che una mia teoria personale, è chiaro, solo un diciamo abbozzo di tentativo di spiegazione per cercare di capire chi sia ovvero chi fosse la persona o la categoria di persone o perché no l’oggetto cui L.J. ha fatto riferimento quando ha nominato NITA™ per la prima volta. Dunque, ecco qua. Ai tempi e nei luoghi in cui si svolge l’avventura del videogioco, in alcuni villaggi era ancora viva, in particolare tra le donne, una pratica di matrice diciamo pagana, una pratica particolarmente stomachevole consistente nell’assunzione di alcuni principi attivi dell’amanita muscaria attraverso l’urina di cani o di neonati scelti a sorte tra quelli più deboli o di rango più infimo e appositamente ingozzati di muscaria, i cui cadaveri (dei cani e dei neonati) venivano abbandonati nei fossi dopo l’intossicazione e la diciamo mescitura; orbene, non è escluso che il personaggio cui L.J. ha fatto riferimento con il nome Nita o affini appartenga a questa classe di “streghe del piscio” o pisswitches (tale era il titolo con cui venivano definite le adepte di questo rito) riesumate chissà donde da un qualche programmatore maniaco della precisione, e del resto, non è che io voglia tornare ad ogni costo alle equazioni proprio adesso che stavamo parlando della storia, ma il cosiddetto entanglement quantistico, che possiamo paragonare a una serie di intricate ragnatele arrotolate su sé stesse a formare una diciamo viscida fune bianca che nel gioco si traduce in un’imprevedibile varietà di situazioni, tale entanglement era stato adottato per la prima volta in SHERWOOD® appunto per permettere ai programmatori o, che alla fine è lo stesso, ai loro programmi, l’inserimento continuo e duraturo, anche dopo l’acquisto del gioco da parte del cliente, di un diciamo flusso di nuovi personaggi destinati a sparire rapidamente per essere sostituiti da altri ancora e così via, un ricambio senza sosta, proprio come nella vita di tutti i giorni senza però la monotonia (della vita di tutti i giorni); ecco, non è escluso che NITA™ sia stata diciamo partorita da uno di questi entanglement di personaggi, un entanglement particolarmente ingarbugliato e diciamo barocco, ecco (senza contare, cosa di cui siamo o meglio io sono venuto a conoscenza solo in un secondo momento, quando abbiamo coinvolto i diciamo letterati nella faccenda, che allo stesso Robin Hood è diciamo aggrappata una serqua di nomi, a grappoli, come zecche, peggio di NITA™, cioè quasi peggio, almeno non mi risulta che nessuno si sia mai diciamo tagliato la gola, con tutto il rispetto, a causa di Robin Hood, ma il fatto è che anche qui ci siamo trovati davanti ad una specie di entanglement, una vera persecuzione questi entanglement, con i letterati inglesi con diciamo gli occhi fuori dalla testa anche solo a sentir pronunciare il nome di Stendhal, neanche fosse colpa nostra se … (omissis) … — insomma, roba da far scoppiare la testa, altro che — e Robert e Robyn e Robyne e Heud e Hude e Hudgin e Hodekin e Wood e Robehod e Hobbehod e Rabunhod e, insomma fate un po’ voi, che altro, ecco, Robert Fitz Ooth, ma vi rendete conto, voglio dire, Robert Fitz Ooth, ma che roba sarebbe, ditemi voi in quale videogioco … (omissis) …; e mica è finita: e Scherewode e Nottingham e Loxley e South e West Yorkshire, e Scarlet ovvero Scarlock ovvero Scathelocke, e Marian e Marion e Mary-Ann, tanto per dirne uno cioè due cioè sei, e poi tutti i king, king king king, come le palline dei flipper: e Edward I e III, e John e Richard the Lionheart, e non parliamo poi di Richard-at-the-Lee, di tutte le piante e gli animali… Stendhal? e chi l’ha mai sentito nominare Stendhal [a questo punto è necessario ricordare come, per non si sa quale lapsus, T***š B***k, durante tutto il processo e, presumibilmente, anche durante la realizzazione di SHERWOOD®, abbia continuato a sostituire Dumas con Stendhal, considerando quest’ultimo come l’autore del rifacimento: dati i rapporti già (a quanto è dato inferire) piuttosto tesi con il comitato stilistico-narratologico, tale lapsus non ha fatto che creare un fiume di nuovi e (ma qui gli omissis sono quasi un imperativo) in qualche modo spassosi equivoci, ritardi e contrattempi nell’esame stilistico-narratologico di NITA™ – tanto per dirne una, alcuni dei collaboratori scelti di T***š B***k sono stati visti sottolineare De l’amour e La Chartreuse e persino, per quanto ciò possa rasentare il nonsense, Le Rouge et le Noir nell’illusione di aver scovato tracce decisive del passaggio su quelle pagine della strega del piscio (cfr. supra)]? macché: e Langland e Wyntoun e Fordun e Bower e Montfort e Godberd e Gale e Scott e Shakespeare e Jonson e Barclay e chi più ne ha più ne metta, altro che entanglement, qui c’era diciamo di tutto e di più, altro che streghe, altro che piscio; streghe, goblin, troll, folletti, dèi e dèe del giorno di maggio, del giorno di giugno, di luglio, agosto, novembre, dicembre, ogni volta che a uno diciamo gli va, accidenti come se piovessero a tutti e quattro gli elementi, cazzi e diciamo coglioni a cavalcioni, ecco, tanto per farla à la diciamo Mozart, ma – del resto è noto che Mozart aveva congegnato una macchinetta per costruire minuetti, roba che saprebbe usarla anche una scimmia, e — quello che volevo dire è che queste macchinette in fondo sono le nonne o diciamo le bis-nonne di NITA™ ovvero per meglio dire di DAIMON™ — io sono uno dei pochi ad aver avuto la diciamo fortuna di vedere, nella sala riservata della Mozart-Haus di Salisburgo, il rocchetto di filo che Leopold aveva usato per slogare le dita al piccolo Amadeus ovvero Amadé in modo da … (omissis) … — — -) anche se posso garantire che in nessun modo i produttori di SHERWOOD® permetterebbero che nel gioco venissero usate espressioni come “streghe del piscio” o simili, voglio dire che in effetti il termine “flusso” può trarre in inganno e suggerire l’immagine di un programmatore qualunque che di punto in bianco fa un pandemonio del tutto diverso da com’è scritto nel libro, qualunque sia questo libro, non è importante … (omissis) … e— dimenticavo anche di dire che la prima cosa che abbiamo controllato, dopo che L.J. ha del tutto inaspettatamente tirato fuori questa diciamo intrusa, è se Stendhal (o chi per lui, … (omissis) … (e cfr. supra)) avesse mai parlato di una strega con il nome usato da L.J. quella prima volta, non solo nel Robin Hood ma anche negli altri suoi romanzi, un’indagine che ovviamente abbiamo interrotto a metà quando ci siamo resi conto che il nome usato la prima volta da L.J. non era l’unico nome con cui la diciamo anomalia si manifestava, e che andando avanti così sarebbe finita che ad ogni nuovo nome dato a questa strega (che poi, come si è visto in seguito, non era affatto una strega, almeno non tutte le volte, e forse in effetti nemmeno la prima volta … (omissis) … ) ci sarebbe toccato di rileggere ogni volta daccapo Stendhal (cfr. supra), una cosa da far saltare i nervi … (omissis) … però non ci siamo rassegnati e abbiamo diciamo cercato di aggirare il problema dell’eventuale natura stendhaliana (cfr. supra) dell’intrusa grazie a consulti piuttosto approfonditi e, dato che ne abbiamo parlato, anche alquanto concitati (cfr. supra) presso ambienti di diciamo studio umanistico e letterario, in seguito ai quali consulti abbiamo potuto dirci ragionevolmente certi che mai nessuna cosiddetta “strega del piscio” sia mai apparsa in nessuno dei romanzi di Stendhal (cfr. supra), il che non so se basti per invalidare la mia ipotesi di partenza (che tuttavia come tengo ancora una volta a ricordare ho avanzato a mero titolo di esempio, solo per evitare di stancarvi con analisi di equazioni e grafici statistici, tutte cose troppo tecniche per una giuria, o almeno per diciamo questa giuria — tra l’altro è bene tenere presente ancora una volta e per l’ultima volta che a quanto pare Stendhal (cfr. supra) non è che la punta dell’iceberg, sebbene a SHERWOOD® l’unico Robin Hood che abbia visto girare sia quello di Stendhal (cfr. supra), con buona pace del comitato stilistico letterario, tuttavia non si può mai sapere dove possa arrivare un costruttore di giocattoli, come ho già detto … (omissis) … Fitz Ooth! … (omissis) …), epperò, insomma, ecco, non voglio sembrare quello che a tutti i costi si attacca alle proprie convinzioni o intuizioni, ma credo non sia stata sin qui sottolineata a dovere l’evidente somiglianza, che solo persone con fette di prosciutto alte così sugli occhi potrebbero considerare casuale, tra i nomi Nita e amanita—” (a questo punto l’udienza dovette essere aggiornata perché l’affranta madre del secondo tester/vittima suicida di nove anni aveva dato in escandescenze di fronte alla piega ovvero alle pieghe grottesco-antropologiche che T***š B***k stava cercando di imprimere al processo, e, resa afona dalla rabbia e dall’esasperazione, aveva cercato di raggiungere lo stesso T***š B***k con l’evidente intenzione di farlo tacere una buona volta ovvero di fargli confessare le responsabilità che lei (l’affranta e afona signora) riteneva lui (T***š B***k) avesse avuto nella morte del figlio (come già ricordato, gli “ambienti di studio umanistico e letterario” cui T***š B***k faceva riferimento più sopra sono stati chiamati in causa durante il processo anche per una “consulenza stilistica-narratologica” (sic) la cui utilità ai fini della valutazione delle responsabilità di T***š B***k nel suicidio dei due tester/vittime risulta tuttora poco chiara, ma grazie alla quale è venuta alla luce anche l’esistenza di un secondo laboratorio, forse già operativo, per il collaudo di DAIMON™ (la versione a quanto pare depotenziata e perciò più innocua ovvero più circostanziatamente nociva di NITA™) nel quale laboratorio i test su DAIMON™ venivano a quanto pare effettuati non da uomini bensì “da/su animali” (questa la formula stabilita in seguito ad un’animatissima discussione “linguistica-stilistica” sorta in seno all’ambiente umanistico-letterario su quale delle due preposizioni fosse più adatta a definire gli esperimenti/test (“ … (omissis) … ”) effettuati nel secondo laboratorio)).
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Identica salvo dettagli insignificanti.
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La prima volta, cioè la volta vera in cui ci siamo incontrati, è stato tutto il contrario, è stato quasi ridicolo. Non ricordo se ho visto prima il riflesso sul finestrino o prima la persona, se quando ho aperto gli occhi ero voltato contro il finestrino e per un po’ ho fatto finta di dormire per poter guardare l’architetto senza sembrare sfacciato, oppure se quando ho aperto gli occhi ero voltato verso l’interno del vagone e quindi ho visto per primo il vero e proprio architetto traballante come un pupazzo per ventriloqui e poi mi sono girato contro il finestrino per guardarlo nel riflesso, quindi non mi ricordo se prima l’ho esaminato poi lui mi ha chiesto se andavo a Venezia o se prima mi ha chiesto se andavo a Venezia e poi lo ho esaminato. L’ho già detto. Lui mi aveva esaminato prima che io mi svegliassi. Non so niente di quello che è successo prima che io mi svegliassi, e quando mi sono svegliato era già lì. Lo sogno ogni notte. Quasi ogni notte. Mi addormento ed è lo stesso che aprire gli occhi, infatti lui è già lì e io non so niente di quello che è successo prima, proprio come la vera volta che l’ho incontrato. Magari è un pescatore che sputa per terra, o persino il bigliettaio, una donna indiana, uno dei Padri Nerini, ma poi arriva il paesaggio che gli sfreccia attraverso, e gli occhi che gli ballano, e la domanda su Venezia, e io capisco che è lui.
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“Vengo accompagnato fuori: il colloquio avviene sul ballatoio. Il mio violinista traduce quello che mi dice il padrone di casa, che da parte sua (vestaglia e canottiera bianca) ha un atteggiamento aggressivo, mi spintona e cerca di colpirmi. Il mio violinista traduce: “Meglio non dire”, mi dice ridendo. La cosa fa ridere anche me. “Meglio non dire; tu sei come le bestie”. Tutte le persone di casa si mettono al ballatoio per guardarmi. Le donne più anziane non nascondono il loro disprezzo. Dietro di loro vedo rocce fradice, lontane. Quando apro gli occhi, sento che qualcuno è entrato e traballa sbatacchiando contro le pareti, mentre piccole luci fosforescenti si accendono dentro i bordi del mio cranio, arlecchinandolo.
Potessi non farei che aprire gli occhi sparendo all’infinito da dove mi trovo.”
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“Ogni cuore trema sempre quando lo tocco, hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi! Ogni cuore trema!”
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LO SCIVOLO (Die Rutschbahn): (Il titolo, in rosa, è contenuto tra il volto del bambino e quello di suo padre, sorridenti. L’ultima h del titolo originale tedesco termina a forma di coda di scoiattolo.) ——- 1. Un cerchio nero. ——- 2. Dal cerchio nero esce fuori un bambino urlando felice, le braccia al cielo: il cerchio nero è l’uscita di uno scivolo a tubo. Il bambino è il classico timido/debole. Biondino, la faccia potrebbe essere benissimo quella di Lovecraft a sei anni. Indossa dei sandali tedeschi, i piedi nudi o con calzini bianchi. ——- 3. Il bambino è atterrato sulla sabbia subito fuori dallo scivolo. ——- 4. Il bambino sbircia verso l’interno dello scivolo. ——- 5. Inquadratura dall’interno dello scivolo, il bambino che ci guarda dentro. ——- 6. Sempre inquadrato da dentro lo scivolo, il bambino viene aiutato a tirarsi in piedi dalla mano di un uomo, suo padre. ——- 7. Stessa inquadratura. In fondo allo scivolo non c’è più nessuno. Una coda rosa di scoiattolo passa lungo il tubo. ——- 8. Inquadratura dello scivolo di profilo: ne vediamo la scaletta, la forma di lunga proboscide, la costruzione simile a quella di un tubo di plastica per lo scarico dei detriti. Il bambino, anche lui di profilo, sta correndo verso la scaletta. ——- 9. Il bambino mette il piede sui primi gradini della scaletta. ——- 10. Inquadrato da sopra, il bambino inizia a salire. ——- 11. Inquadrato da sopra, il bambino, arrivato agli ultimi gradini, si scherma il sole con una mano. ——- 12. Inquadratura non più verso il basso ma frontale: il bambino è arrivato sulla pedana. ——- 13. Inquadrato frontalmente, in piedi sulla pedana, il bambino guarda davanti a sé. ——- 14. Inquadrato di spalle, il bambino guarda in giù, in basso oltre lo scivolo. Vede suo papà che lo sta chiamando. Da lassù l’uomo appare molto piccolo, soprattutto rispetto al tubo metallico. ——- 15. Inquadrato di spalle, il papà saluta/chiama il bambino. Da laggiù il bambino appare molto piccolo, come in cima a una proboscide metallica incredibilmente lunga e alta. ——- 16. Primo piano del bambino. Sta guardando qualcosa ai suoi piedi. ——- 17. Primo piano dei suoi piedi dentro i piccoli sandali. Le punte dei piedi sono quasi dentro il nero dell’imboccatura.
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Osserva l’orologio.
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Qualcuno respirava vicino a lui.
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——- 18. Primo piano del bambino che si guarda i piedi, imbronciato. ——- 19. Salvo dettagli insignificanti, identica al n. 15. ——- 20. Primissimo piano del bambino: affascinato e in lacrime, guarda ancora in basso ma un po’ oltre i suoi piedi. ——- 21. Immagine dell’entrata dello scivolo: orribilmente metamorfizzata: non si vede la fine del tubo, che anzi sembra diramarsi e segmentarsi in più direzioni; le pareti appaiono viscide, parassitizzate da bubboni muscolari e purulenti. Da un buco spunta il muso di uno scoiattolo rosa, tutto impiastricciato di viscidume trasparente, quasi fosse stato appena partorito. ——- 22. Primo piano dello scoiattolo rosa impiastricciato. ——- 23. Primo piano del padre che guarda in alto: chiama il figlio per fargli coraggio. ——- 24. Primo piano del bambino, lo sguardo come al n. 20. ——- 25. Primo piano del bambino. Allunga lo sguardo verso il padre, con speranza ma piangendo. ——- 26. Salvo dettagli insignificanti, identica al n. 15. ——- 27. Inquadrato di spalle, il bambino guarda in giù. Il padre, piccolo da lassù, lo saluta/invita a scendere. Si vede un frammento dell’imboccatura, dalla quale esce la punta di un tentacolo. ——- 28. Il bambino, tenendosi al bordo, guarda dentro l’imboccatura rotonda, nera. ——- 29. Il bambino si siede, pronto a scendere. ——- 30. Il bambino è partito: la nuca, già più in basso, e le mani tese verso l’alto sono l’ultima cosa che si vede sparire nel tubo nero.
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Sparire all’infinito.
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Lunga prigionia incrudelisce principessa.
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——- 31. Inquadratura del buco nero dell’uscita dello scivolo, come ai nn. 1 e 2. Accanto al buco si vedono i piedi del padre del bambino. ——- 32. Altra inquadratura del buco dello scivolo, da un po’ più lontano. Ora possiamo vedere il padre per intero, che guarda verso la cima dello scivolo, che non è inquadrata. ——- 33. Il padre si china con le mani sui gomiti e sbircia all’interno dello scivolo, indifeso. ——- 34. Il padre è in piedi, perplesso/preoccupato. ——- 35. Il padre chiama in una direzione. ——- 36. Nuova pagina. È passato del tempo (è quasi sera). Il padre sta ancora chiamando. È decisamente sconvolto e con lui ci sono altre persone che si guardano intorno, oppure chiamano, oppure cercano di calmare il padre. ——- 37. Sempre davanti allo scivolo. Notte. Non c’è nessuno. Potrebbe essere passata un’eternità. ——- 38. Leggera zoomata sullo scivolo. In basso dentro il buco nero, si vede un puntino rosso. ——- 39. Primo piano del cerchio nero dello scivolo. Dal nero vediamo sporgersi due delicati artigli rosa che tengono un cuore strappato, grande come una ghianda.
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La luna lo fa stridere
il sole lo divora.
[continua l’11 agosto]
(Immagini originali di Hannes Pasqualini. Alcune sezioni di questa puntata di Presiden arsitek erano apparse tempo fa, in altra forma e sotto altro nome, presso la rivista Nuova Prosa diretta da Luigi Grazioli)