Uno crede di inventare chissà che, e i lettori lo assecondano pure in questa presunzione, gli danno del visionario, dell’affabulatore, poi, ecco, basta uscire di casa, girare un po’, e si scopre che le proprie invenzioni sono sempre modeste, pallide, e che la realtà ne escogita sempre di più folli.
Presentando “Le pietre” in giro per l’Italia mi è accaduto di sperimentare questa frustrazione di essere sempre a un gradino sotto all’imprevedibile vivacità del mondo – già lo sospettavo, e ogni persona con la penna in mano dovrebbe sospettarlo e anzi mettersi l’anima in pace perché non può essere che così. Il romanzo pubblicato da Exòrma racconta, per chi non lo sapesse, le traversie di una comunità di valligiani alle prese con l’esuberanza di un paesaggio di rocce, sassi, pietrisco, sabbie, che si comporta come una vera e propria comunità alternativa; tra le due comunità non vi è vero contatto, nessuna vera intesa, ma solo intrusioni, provocazioni, fraintendimenti, al massimo curiosità, perché manca un linguaggio comune. Ma insomma, il romanzo in fondo sta tutto lì, nella commedia di uomini che si arrabattano in questa convivenza forzata con il mondo minerale inaspettatamente risvegliato.
Bene, io ho lavorato soprattutto di fantasia, perché sono un sedentario, e in montagna ormai (segnatevela, questa, così non vi aspetterete un tizio con la barbaccia e la bandana e l’accetta in mano, la prossima volta) ci mando prima l’immaginazione, poi magari ci vado di persona, ma senza strafare. E quando di recente mi sono affacciato su realtà alpine che non conoscevo, ho scoperto quello che dicevo all’inizio. Per esempio in Val Terragnolo, sopra Rovereto, una valle con frazioni sparse, tradizionalmente povera e negletta, però di recente vivace, ispirata, inventiva. A giugno, per dire, si tiene il Festival “Sassi e non solo – Festival e concorso sul paesaggio terrazzato”: sono previste “letture bibliche sul tema delle pietre” al Cimitero austro/ungarico Geroli, cucina a base di sassi (in realtà sono chiamati così certi loro gnocchi di grano saraceno), una gara di scelta del sasso più bello lungo il greto del torrente Leno; soprattutto la gara di costruzione di muretti a secco, con ben sette squadre tra italiane ed estere. Sono idee che nascono da un secolare complicato rapporto con un ambiente difficile, a cui si è sovrapposta una fantasia molto contemporanea e piacevolmente disincantata, ironica. Le pietre di Terragnolo non si muoveranno per conto loro, ma sono davvero entrate nella vita, nelle case, nella cucina, nella memoria della gente come qualcosa di vivo, con cui fare i conti.
Ho saputo queste cose dal gruppo di ragazzi bravissimi che gestisce Il Masetto, un maso, appunto, in cui si mangia ottimamente e soprattutto sono organizzati eventi artistici con una fantasia che ho invidiato e che mi ha fatto venire subito voglia di tornarci.
In quegli stessi giorni Mariarosa, un’amica di Rovereto, mi ha fatto conoscere le opere di un raccoglitore di pietre che della sua ossessione ha fatto un’arte. Si chiama Luigi Lineri e nel suo fienile di Zevio, in provincia di Verona, ha raccolto per decenni sassi di tutte le dimensioni trovati lungo l’Adige. Cercate le foto di quella collezione: vedrete che Lineri un suo rapporto con il mondo minerale lo ha trovato, ed è un’intesa che sa di complicità. Osservate le sue pietre, come se ne stanno buone buone, in ordine, sistemate per grandezza, colore, classificate sulla base di un gusto, incollate su supporti che ne incorniciano la singolarità. Ognuna di esse è valorizzata, ha il suo piccolo spazio intorno, non c’è accumulo, l’effetto è quello di quelle pinacoteche di una volta, con i quadri e i quadretti che si infittivano sulla parete fino al soffitto, o quello di una wunderkammer ingentilita dall’assenza di mostruosità, di scarti bizzarri. È tutto così pulito, levigato, coerente, il mondo rivisto e ricollocato da Lineri, che fa venire subito voglia di mettere ordine in casa, dentro ai cassetti, per recuperare un po’ di bellezza nascosta nelle cose semplici o in quelle dimenticate. Chissà se quelle pietre hanno ogni tanto nostalgia del greto da cui sono state prelevate, oppure no, lì nella penombra asciutta del fienile stanno da papa, hanno ritrovato vecchie conoscenze, recuperato rapporti che si erano dispersi nel viavai dell’acciottolio, allacciato nuove amicizie. Chissà se si compiacciono del loro nuovo status di opere d’arte, o almeno di componenti essenziali di un’unica, gigantesca, multiforme opera d’arte che va crescendo ancora. Forse sì: non si ha notizia di ribellioni, rotolamenti inaspettati, distacchi, dispetti.
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