Sappiamo poco o nulla di medicina, e per questo terremo per noi le nostre precise ma (proprio perché precise) ignorantissime opinioni sanitarie.
Sappiamo un paio di cose sulle parole, però.
Negli “Andrà tutto bene” ovvero “Tutto andrà bene” appesi alle finestre sotto stilizzati arcobaleni riconosciamo una sorta di sindrome da giardino di infanzia come surrogato dell’eden, tara che secondo noi affligge l’Italia a un po’ tutti i livelli. E così i vari “il picco arriva a metà marzo, arriva tra una settimana, la nostra calcolatrice governativa dice che forse tra due… insomma portate pazienza che è meglio che portare sacchi di patate” ci ricordano (si dirà che siamo febbricitanti?) i “siamo quasi arrivati” con cui mamma e papà usavano momentaneamente chetare le nostre querele durante i viaggi estivi verso la Jugoslavia. E gli “state in casa o chiudiamo tutto, o vi diamo la multa, o vi mettiamo in galera, o mandiamo l’esercito, e guardate che vi controlliamo i telefoni per sapere dove siete stati” non sono poi diversi dai “se non vi mettete da bravi a dormire niente atari (siamo nella fascia di età quasi a rischio, n.d.r.), o niente gelato, o niente luna park, o sberloni”. Per non parlare del compitino comicissimo (ma a quanto pare solo a noi fa ridere) che ci viene assegnato se in fin dei conti si esce (motivi non per molto ancora accettati: imprecisate necessità, cani, e – però anche questo fa ridere solo noi – jogging): portare con sé un foglietto su cui abbiamo scritto che sì, noi siamo proprio noi, e sì, stiamo facendo quello che effettivamente stiamo facendo. Quando siamo di umore sognante (e dio non voglia tale umore venga incluso un giorno tra i sintomi da curare) ci figuriamo interi diari, interi romanzi e cicli di romanzi tutti costruiti di intrecci di autocertificazioni firmate e controfirmate in cui il cittadino dichiara sotto la propria responsabilità di essere esistito, anche per oggi, il meno possibile.
Il linguaggio con cui si sta affrontando la cosa dondola insomma sopra reti semantiche infantili (detto più terra terra, sempre che qualcuno stia seguendo questi ghirigori: ci mancano i meloni di mamma); altro indizio è l’intermittente proporre regimi dittatoriali – quanto di più bambinesco l’umanità abbia mai prodotto – come modelli da seguire e cui fare riferimento nell’attuale situazione. Da parte nostra non dubitiamo che anche i nazisti avrebbero gestito la cosa in modo efficientissimo, ma non ci sembra raccomandabile ispirarsi a una dittatura (nonché soprattutto alle informazioni fornite da quella dittatura) per qualsiasi cosa si voglia fare, fosse anche girare lo zucchero nel caffè.
Pur rispettando le direttive impartite, insomma, abbiamo l’impressione che se la comunicazione diventasse un po’ più adulta anche le persone comincerebbero a comportarsi di conseguenza.
Non è mai accaduto che andasse tutto bene (se non appunto nell’eden o all’asilo); andrà tutto com’è sempre andato: sull’orlo della rovina.