13 settembre 1936
Tra i segni che mi avvertono essere finita la giovinezza, massimo è l’accorgermi che la letteratura non mi interessa più veramente. Voglio dire che non apro più libri con quella viva e ansiosa speranza di cose spirituali che, malgrado tutto, un tempo sentivo. Leggo e vorrei leggere sempre più, ma non ricevo ormai come un tempo le varie esperienze con entusiasmo, non le fondo più in un sereno tumulto prepoetico. La stessa cosa mi accade passeggiando per Torino; non sento più la città come un pungolo sentimentale e simbolico alla creazione. Già fatto, mi viene da rispondere ogni volta.
28 luglio 1938
Il nerbo di ogni trama è questo: vedere come quel tale se la cava in quella data situazione. Il che vuol dire che ogni trama è sempre un atto di ottimismo in quanto è una ricerca di come si reagisce (va da sé che anche la sconfitta di quel tale è quest’atto: se per l’autore è sconfitto, vuol dire che non se l’è saputa cavare – implicito giudizio su come occorreva fare per cavarsela). È questo il messaggio di ogni trama: così si deve, o non si deve, fare. Per questo, esistono opere immorali: le opere in cui non c’è trama.
8 novembre 1938
Non si può conoscere il proprio stile, e usarlo. Si usa sempre uno stile preesistente, ma in un modo istintivo che ne plasma un altro attuale. Lo stile presente si conosce solo quando è passato e definitivo e si torna a scorrerlo interpretandolo, cioè chiarendosi come è fatto.
Ciò che stiamo scrivendo è sempre cieco. Se ci viene bene (se cioè dopo, tornandoci, lo stimeremo riuscito) non possiamo per il momento saperlo. Semplicemente lo viviamo e va da sé che le astuzie, gli accorgimenti che vi spendiamo, sono un altro stile composto in precedenza, estraneo alla sostanza di quello attuale.
Scrivere è un consumare i cattivi stili adoprandoli. Ritornare sul già scritto per correggere è pericoloso: si giustapporrebbero cose diverse.
Dunque non c’è tecnica? C’è, ma il nuovo frutto che conta è sempre un passo avanti sulla tecnica che conoscevamo e la sua polpa è quella che ci nasce via via sotto la penna a nostra insaputa.
Che noi conosciamo uno stile, vuol dire che ci siamo resa nota una parte del nostro mistero. E che ci siamo vietato di scrivere d’or innanzi in questo stile. Verrà il giorno in cui avremo portato alla luce tutto il nostro mistero e allora non sapremo più scrivere, cioè inventare lo stile.
12 dicembre 1939
Ogni artista cerca di smontare il meccanismo della sua tecnica per vedere com’è fatta e per servirsene, se mai, a freddo. Tuttavia, un’opera d’arte riesce soltanto quando per l’artista essa ha qualcosa di misterioso. Naturale: la storia di un artista è il successivo superamento della tecnica usata nell’opera precedente, con una creazione che suppone una legge estetica più complessa. L’autocritica è un mezzo di superare se stessi. L’artista che non analizza e non distrugge continuamente la sua tecnica è un poveretto (cfr. 8 novembre ‘38).
Così in tutte le attività. È la dialettica della vita storica. Ma tanto nell’arte che nella vita, da quando esiste il romanticismo esiste in questa dialettica un pericolo sempre vivo: quello di proporsi deliberatamente il campo del mistero per garantirsi la creazione vogliosa. Nell’arte, l’ermetismo; nella politica, il razzo-sanguismo. Mentre il mistero che stimola la creazione deve nascere da sé, da un ostacolo incontrato indeliberatamente lungo il proprio sforzo di chiarificazione. Nulla di più osceno dell’artista o del politico che gioca a freddo col suo irrazionale misterioso.
(da Il mestiere di vivere)