Petr Král è morto il 17 giugno 2020 a Praga, dove era nato nel 1941.
Dal 1968, allo scoppio della celebre Primavera di Praga, era vissuto a Parigi. Ed è lì che l’ho conosciuto negli anni Novanta per poi rivederlo in diverse occasioni in Italia, in Grecia, in Repubblica Ceca. Poi, nel 2006, ha fatto ritorno in patria. Poeta, scrittore, saggista, traduttore, promeneur, come amava definirsi. E ultimo dei bohémien.
Libero e libertario. Discreto e raffinato. Semplice e spontaneamente anticonformista. Ironico e umano. Di un’integrità che solo il lavoro letterario, compiuto con disinteresse disarmante, è in grado di conservare per giorni, mesi, anni, per una vita intera, senza crollare nella sfiducia, nella rinuncia, nel risentimento o nell’apatia. L’ho sempre visto al lavoro. I suoi luoghi preferiti erano i bistrot («Perché scrivere? Per quella breve tregua in cui ci si rilegge, da soli, in compagnia di una sigaretta, di un caffè e del tempo che passa»). All’aperto. La folla non lo distraeva. Anzi. Quale miglior solitudine di quella vissuta respirando la solitudine degli altri?
Il suo sguardo amava tergiversare negli interstizi del tempo. E dello spazio. I luoghi, ovvero un palazzo, una piscina, una strada deserta, l’insegna di un negozio, grazie alla loro semplice vicinanza, potevano acquisire in ogni circostanza la densità di un «grumo di realtà», una configurazione in grado di rivelare una rete di rapporti invisibili, di cui quel frammento osservato e famigliare non era che l’indizio di leggi occulte, tanto apparentemente profonde quanto inattese e a portata di mano.
Il grande cultore della poesia surrealista che era sempre stato si chinava su ogni «grumo di realtà», descrivendolo in ogni dettaglio, per poi tirare il sipario, aprire la scena e inchinarsi allo spettro di echi che la stessa descrizione faceva risuonare nel teatro del mondo. C’è sempre un qui. Ma c’è sempre anche un altrove, sembrava suggerire.
Petr Král non ha mai chiesto nulla. Non aveva bisogno di molto. Quando entrai per la prima volta nel suo appartamento parigino, ebbi quasi un sussulto, una sorta di panico nel vedere come la dignità di un uomo di lettere poteva sopportare tanta assenza di mezzi. In realtà, bastava poco per comprendere che in lui la parola sopportazione era stata cancellata, sradicata dalle radici fin dall’adolescenza, o forse non era mai esistita. Il suo umorismo, infatti, era talmente sottile che neppure la polvere che vedevo depositata sui mobili e sui libri poteva fargli concorrenza.
Una volta tornato a Praga, credo abbia ricevuto gli onori che si meritava. Non credo però abbia chiesto posti in prima fila, o biglietti omaggio per stare accanto ai potenti. Aveva sempre preferito la compagnia di una bella donna o di un amico fraterno per assistere a quel film tragico e burlesco che è l’esistenza. Amava il cinema muto, ma ancor più i singoli, infiniti fotogrammi a cui si deve prestare un senso, una «nozione di base», una voce, affinché non ci sfuggano per sempre. Amava montarli e rimontarli, dietro le quinte, per poi andarsene dall’uscita di sicurezza, lontano da indiscrezione e pettegolezzi.
La poesia, per Král, non è stata un cahier de dolèances, di rimostranze e di lamentele, ma un ininterrotto ed errante diario di osservazione minuta, senza gerarchie. Un atto di gratitudine e di amore verso le cose che più degli esseri uomini hanno bisogno della nostra attenzione. Come non essere dispiaciuti, desolatamente mancanti, di fronte a una finestra, a una vasca da bagno, a un portacenere, alla catastrofe di un acquazzone, a una camicia che implora in ogni sua piega di essere stirata? «Le nostre povere cose sprovviste di senso».
Chi, se non un grande poeta, sente il dovere di dare ogni giorno, per tutta una lunga vita, il diritto di parola a chi non ce l’ha?
Petr Král
Pour Massimo
Poème de gare
Déjà les chiens après la promenade de soir
alourdis par la journée les poils épais
descendant jusqu’au sol
aux pieds de leurs maîtres adhéraient au trottoir
comme au tapis d’un salon
A la terrasse du bar au bout d’une rue dépeuplée
pour la nuit il suffisait de reprendre son souffle La tiédeur
de l’air
et la légèreté d’ultimes passants ont pourtant vite exigé
davantage
Ne plus finir d’être assis là
dans le doux frisson face aux fenêtres entrouvertes
d’une maison où la brise fait entrer l’ampleur des palais
(Chacune d’elles déjà en peignoir
avant d’aller au lit est presque comtesse une croix d’or
s’enflamme
dans son regard même)
Souffler
et respirer encore à perte de vue
(Les messieurs sur le petit écran
emplissent comme ils peuvent leur sombre complet-
veston flottent
autant que lui avec une nonchalance d’experts
Dommage qu’aucun ne sait plus en griller aussi une)
Toi le matin seulement avant
de repartir remarque bien
comment pèsent les pommes fermentées dans le ventre
des enceintes
et combien les bagages collent au quai
où on les pose
Petr Král
a Massimo
Poesia alla stazione
Già i cani dopo la passeggiata serale
stanchi della giornata il pelo ispessito
accucciandosi a terra
ai piedi dei loro padroni aderivano al marciapiedi
come il tappeto di un salone
Sulla terrazza di un bar alla fine di una strada semideserta
per la notte bastava riprendere fiato Il tepore
dell’aria
e la leggerezza degli ultimi passanti hanno invece subito richiesto
di più
Starsene per sempre seduti qui
nel dolce brivido di fronte alle finestre semiaperte
di una casa dove la brezza fa entrare l’ampia portata
dei palazzi
(Ognuna di loro già in accappatoio
prima di andare a letto è quasi contessa una croce d’oro
si infiamma
nel suo stesso sguardo)
Respirare
e ancora respirare a perdita d’occhio
(I signori del piccolo schermo
riempiono come possono il loro sobrio gessato
svolazzando
come quello con una noncuranza da esperti
Peccato che nessuno sappia più accenderne una)
Tu al mattino soltanto prima
di ripartire guarda bene
come pesano le mele fermentate nel ventre
delle casse
e quanti bagagli s’incollano alla banchina
quando vengono posati a terra.
(Maggio 2015)
(traduzione di Massimo Rizzante)
Breve prefazione di Massimo Rizzante a: Petr Král, Nozioni di base, (traduz. italiana di L. Angeloni, Miraggi, Torino, 2017)
«Ancora una volta, al mattino, assistere stupiti allo
spettacolo del portacenere, dei bicchieri e della caraffa, che immobili
disegnano la pianura del tavolo».
Questa «nozione di base» di Petr Král è tra le più brevi
composte dal poeta. Per questo rivela l’essenza di tutte le altre, anche di
quelle più lunghe.
Che si parli di una camicia che «ha fatto il suo tempo»
e che ci ispira un «addio così commosso» quale quello che daremmo a «un’amante»,
o di una porta che durante una visita ad alcuni amici ci introduce in una
stanza «attrezzata ma vacante» che «estende il nostro soggiorno» su questa
terra di uno «spazio supplementare», o ancora di una vasca da bagno che improvvisamente
da letto d’amore si trasforma «nella nostra tomba», tutto ciò che Petr Král
tocca diventa spettacolo, spectaculum, ovvero, apparenza.
È grazie al suo stupore davanti agli oggetti e alle situazioni della vita quotidiana, concepiti come apparenze, che il poeta scopre una dimensione nascosta della prosa del mondo. La regola d’oro di Kral è che è necessario guardare a lungo un portacenere, una caraffa, una donna, una porta perché si giunga a distorcerli di un niente e gettarli nella pianura sconosciuta dove una camicia ci abbraccia come un’amante dimenticata. Ma da dove viene lo stupore del poeta che libera le cose dalla loro funzione e gli permette di camminare senza questo pesante fardello per le strade della prosa? Da dove viene questa grazia?
Non si è mai tanto vicini alla grazia come durante quei mattini quando si assiste «stupiti allo spettacolo» di ciò che si conosce a memoria. È durante quei risvegli che tutti gli oggetti e tutte le situazioni della vita quotidiana mostrano quello che potrebbero essere e che il presente ama contemplarsi davanti allo specchio delle possibilità. Così Petr Král, indossando una fresca camicia bianca, saluta il volto mattutino di quell’amante che avevamo dimenticato durante la notte: l’esistenza.
Nota
Petr Král, autore bilingue, ha pubblicato in francese le raccolte poetiche: Routes du Paradis (Pierre Bordas et fils, Paris 1981), Pour une Europe bleue (Arcane 17, St-Nazaire 1985), Témoin des crépuscules (Champ Vallon, Seyssel 1989), Sentiment d’antichambre dans un café d’Aix (P.O.L, Paris 1991), Le Droit au gris (In’hui-Le Cri, Bruxelles 1994), Quoi? Quelque chose (Obsidiane, Sens 1995), La Vie privée (Belin, Paris 1997), Le Poids et le frisson (Obsidiane, Sens 1999), Pour l’ange (Obsidiane, Sens 2007), Hum (Ragage, Paris 2007). Fra le sue prose si ricordano: Prague (Champ Vallon, Seyssel 1987), Le Dixième (Editions du Mécène, Paris 1995), Aimer Venise (Obsidiane , Sens 1999), Notions de base (Flammarion, Paris 2005), Enquête sur des lieux (Flammarion, Paris 2007), Vocabulaire (Flammarion, Paris 2008), Cahiers de Paris (Flammarion, Paris 2012). Fra i suoi saggi più importanti figurano: Fin de l’imaginaire (Ousia, Bruxelles 1993), due libri sul cinema comico, Le Burlesque ou Morale de la tarte à la crème (Stock, Paris 1984, Ramsay, Paris 2007), Les Burlesques ou Parade des somnambules (Stock, Paris 1986). Ha curato diverse antologie poetiche, fra cui Le Surréalisme en Tchécoslovaquie (Gallimard, Paris 1983) e Anthologie de la poésié tchèque contemporaine (Gallimard, Paris 2002). Di Petr Král in italiano si possono leggere la breve antologia Tutto sul crepuscolo (trad. it. di Antonio Parente e introduzione di Francesca Tuscano, Mimesis, Milano, 2014) e Nozioni di base (trad. it. di Laura Angeloni, Miraggi, Torino, 2017).