Mio caro amico,
eccoci qui, di nuovo insieme – malgrado l’insana distanza che ci divide (ma non ti preoccupare, in America il negazionismo è soltanto una simpatetica variante dell’eugenetica) –, a vivere un’altra elettrizzante ciucca elettorale, dopo quelle gloriose del 2016 e del 2018, che germinarono al punto di dar vita a un ibrido connubio di rivoluzioni gemelle: «Make America great again», al nord del Río Grande; «Cuarta Transformación» o «4T» (per merito di MORENA, il combustibile-fossile Movimiento de Regeneración Nacional), al sud del Río Bravo – che è poi lo stesso fiume di merda dal quale continuano ad aggallare le vittime del sogno nordamericano…
Che nostalgia per quelle serate inaugurali, così vicine e così lontane! Ti ricordi? In ambedue le occasioni ci cacciarono da tutte le cantine del centro storico di Città del Messico, liberals e non, la seconda volta perché troppo anarchico-conservatori, come il nonno, la prima chissà perché… Forse avremmo dovuto smetterla di dispensare a chicchessia le ricette del dottor Destouches…
Ti confesso che quest’ultima vigilia sta acquisendo un’apparenza inconsueta, quasi fantasmatica, come se le cose dovessero per forza andare a male… Se «The Donald» perdesse le elezioni si scioglierebbe la più grande coppia d’avanspettacolo che il nostro continente ha prodotto dai tempi di Stanlio e Ollio, composta dal supremo pornocrate gringo e dal sommo sciamano post-colombiano, due eterodossi camerati di viaggio sempre rispettosi delle altrui sconfitte.
E infatti Andrés Manuel López Obrador (AMLO per i suoi adepti, i cosiddetti AMLOVERS) si è appena fatto fare una «limpia» – una sorta di esorcismo destinato a fugare gli spiritelli maligni che potrebbero complicare la rielezione del suo «gemello diverso» – da una delle poche fattucchiere sopravvissute a un’epidemia che purtroppo sembra essersi accanita contro le popolazioni indigene. Il nostro Líder Máximo – eretico padre fondatore dell’unica università al mondo completamente dedicata alla teoria e alla pratica del baseball –, dopo essere andato a Washington per dare una mano alla campagna elettorale dell’inossidabile amico, ha sopportato senza scomporsi, con l’incrollabile convinzione di un catcher affetto da arteriosclerosi, gli affettuosi buffetti che il suo candidato ha elargito a piene mani al «pueblo bueno» messicano, notoriamente costituito da un’accozzaglia di «bad hombres», di stupratori seriali e di assassini etnici: etero od omozigoti che siano, i testicoli nazional-populisti, seppur senili, impazzano e si gonfiano all’unisono, sfiorando l’incesto quando c’è da militarizzare una frontiera o da costruire un muro. Destra e sinistra sono intercambiabili, evidentemente, grazie al varicocele che le unisce e che funge da intelletto collettivo in quest’epoca sabbatica. I morti non contano, e qua da noi non si possono neanche contare…
Però ne è valsa la pena, caro mio, quante soddisfazioni ci stiamo togliendo da un paio d’anni a questa parte! L’inestinguibile, melanconica sbornia post-rivoluzionaria aveva generato – oltre all’arcinota dittatura d’acchito del PRI (Partido Revolucionario Institucional), tutta presa a guardarsi le palle – un nazionalismo asmatico, gregario e meschino, incapace di sognare in grande, se non a Tlatelolco… Ora, invece, la dittatura e il nazionalismo sono perfettibili, poiché coscienti dei mezzi, legali e anticostituzionali, di cui dispongono. La recente entente cordiale con l’ingombrante inquilino del superattico – nata sotto gli auspici di un Old-New Deal: noi gli forniamo la droga e loro ci passano le armi – ne è la prova forse più persuasiva.
È stata davvero una bellissima gara, condotta secondo le regole della lealtà controfattuale, e tuttavia al cardiopalmo: per esempio, se Monsieur Teste ha avuto il fegato di espellere l’«Accordo di Parigi» dagli Stati Uniti, il Don Chisciotte Azteca non è stato da meno, scagliandosi contro i «mulini a vento» (l’energia eolica, nella sua dislessia ad hoc),che «imbruttiscono l’immagine naturale dei meravigliosi paesaggi messicani», e addirittura rilanciando con un’offerta impareggiabile, la costruzione della sesquipedale raffineria che dovrebbe restituirci la «sovranità energetica» e rimpolpare le consunte casse della compagnia petrolifera statale più indebitata dell’intero globo terracqueo… Che bricconcelli, è impossibile stargli dietro! Con loro le estreme unzioni diventano dei battesimi e viceversa.
Vorrei però richiamare la tua attenzione sui fastigi di una Repubblica delle Banane che è tutt’uno con il proprio esercito, civile e militare: tra una carezza e un bacio, i militi ignoti stanno disboscando mezza selva maya per far posto alle rotaie del treno a diesel che finalmente sterminerà – ed era ora! – i moscerini autoctoni, una piaga particolarmente invisa ai vacanzieri e agli oleodotti.
Per di più, dopo aver inondato a comando le fondamenta dello sventurato aeroporto progettato da Norman Foster (siccome non risultava gradito all’ultra del cesarismo sovrannaturale, adesso è un lago artificiale), i manovali in grigioverde hanno cominciato a mettere in opera il nuovo aerodromo di Città del Messico, senza tener conto dell’insormontabile montagna che lo separa dalla megalopoli e che permetterà a qualsiasi velivolo di atterrare alla cazzo di cane fra salme, feriti e querele…
Nel frattempo le milizie sudiste del Reumatismo Bianco ed Evangelico, sebbene invecchiate e un po’ traballanti, non si sono ancora arrese di fronte all’eccessiva stagionatura che contrassegna la travolgente fiumana di fantesche e di giardinieri dalla pelle di rame, naturalmente privi di denominazione d’origine. Insomma, la lotta è dura finché dura. Ciascuno di loro, oramai, ha il proprio presidente, Chico o Zeppo, ma io preferirei mille volte (non) dover scegliere tra Groucho e Harpo.
Con l’affetto di sempre,
il tuo Leandro
P.S. È accaduto l’irreparabile. Il duo di geriatrici picchiatelli è in procinto di sciogliersi. Te l’avevo detto, io, che la rimozione della statua dell’intrepido Navigante Schiavista dal Paseo de la Reforma non era un buon segno. Damnatio memoriae, belìn! Siamo governati dai Cultural Studies transoceanici… E adesso, che faremo della nostra vita? Come occuperemo le giornate improvvisamente inautentiche di questa infinita quarantena? Dovremmo forse rinunciare alle logorroiche maratone a reti comparate? All’esilarante sciocchezzaio dei narcisi siamesi? Io non ci sto… Le sindromi di desistenza mi rattristano oltremodo. Lo spettacolo deve continuare, fra boiate, lazzi, strizzatine d’occhio, «fatti alternativi» e «yo tengo otros datos» («io ho altri dati»)…
Mi consola il fatto che AMLO non sia rimasto con le mani in mano e abbia coraggiosamente rifiutato, assieme al compagno Bolsonaro, di riconoscere la scialba vittoria dell’uggiosa cariatide democratica, adducendo validissimi argomenti alla tesi della frode elettorale (il medesimo tipo di truffa da lui subìto, checché ne dicano gli invidiosi, in ognuna delle elezioni che non ha vinto). D’altra parte, le pile di cadaveri non ci disturbano più – da quando l’«Unto di Tenochtitlán» ha proclamato, in una memorabile conferenza stampa, la miracolosa scomparsa di qualunque forma di violenza e di corruzione dal suo regime –, e soprattutto non votano, tranne che in mirate occorrenze. Resisteremo, poco ma sicuro, il sovranismo demenziale possiede un’inesauribile riserva aurea di risate in canna…