Credo che pochi Italiani sappiano che per secoli popolazioni di lingua e cultura tedesca hanno abitato accanto alle genti lituane, estoni, russe, polacche quella vasta e interessantissima regione d’Europa affacciata sulle sponde meridionali del Mar Baltico; molti Italiani hanno dimenticato la storia dolorosa degli IMI (Italienische Militär-Internierte – Internati militari italiani), di quelle migliaia di soldati italiani, cioè, catturati dall’esercito tedesco e deportati nei vari campi di lavoro del Reich e che non aderirono alla Repubblica di Salò, ma decisero di restare in prigionia anche se in condizioni terrificanti, ai quali non fu riconosciuto da Berlino lo status di prigionieri di guerra e che, liberati dagli Angloamericani o dall’Armata Rossa a seconda della dislocazione geografica dello Stalag (il campo di lavoro e di internamento) in cui si trovavano, affrontarono spesso un lungo e doloroso ritorno a casa, angosciato molto spesso dalla mancanza di notizie della propria famiglia.
Il libro di Valentina Parisi Una mappa per Kaliningrad. La città bifronte (Roma, 2019) offre l’occasione per ripensare quelle vicende dove s’incrociano in molteplici maniere i destini di due popoli: i Tedeschi che, dopo l’8 settembre, catturano sui vari fronti di guerra i militari italiani avviandoli nei vari campi di lavoro nel tentativo di servirsene in favore dello sforzo bellico, ma anche quei Tedeschi che, dopo secoli, vengono cacciati via allorché l’Armata Rossa occupa quei territori ch’erano stati la Prussia orientale (sull’esodo, sui maltrattamenti subiti, sulle numerose morti sofferte dai Tedeschi obbligati a raggiungere il territorio della Germania occupata dopo il maggio del 1945 è calata per decenni la mannaia della rimozione collettiva sia da parte dei vincitori che dei vinti e solo da poco si torna a parlarne nel tentativo di capire e di ristabilire non facili né tranquillizzanti verità storiche).
Dimostrandosi non solo studiosa di grande valore (e lo sapevamo già, vista la sua notevole attività di ricercatrice e di traduttrice), ma anche ottima narratrice, Valentina Parisi costruisce un libro che, partendo dal desiderio di vedere con i propri occhi i luoghi in cui il nonno era stato tenuto prigioniero, racconta il suo viaggio fisico e memoriale, culturale e linguistico, emotivo e filologico fino a quella che è oggi la russa Kaliningrad, la Königsberg tedesca (sì, la patria di Immanuel Kant e di Johann Georg Hamann, l’autore dell’Aesthetica in nuce, per intenderci).
Esiste un altro bellissimo libro che racconta le genti e le culture delle regioni baltiche in cui la componente tedesca ha avuto per molti secoli un ruolo cruciale (nel bene come nel male), si chiama Anime baltiche e l’ha scritto Jan Brokken (lo pubblica in Italia Iperborea), esiste una buona parte dell’opera del poeta tedesco Johannes Bobrowski dedicata alla sua terra d’origine (la Prussia orientale, appunto) e lo segnalo per sottolineare quanto interessante e stimolante sia la storia di questa parte d’Europa, contraddittoria e vivace terra dai molti volti e dalle molte radici.
Valentina Parisi compie, con la propria scrittura, un viaggio attraverso il proprio passato personale, familiare e di Italiana, ma anche di europea, segue il proprio amore per le lingue polacca, russa e tedesca, incontra persone, viaggia in treno e in autobus, guarda luoghi che a molti di noi appaiono lontanissimi o favolosi e che nel libro assumono la forza di magneti che coagulano esperienze, riflessioni, ricordi, scavi nella storia e nelle culture incrociate lungo il percorso.
Kaliningrad è città bifronte perché ancora oggi caratterizzata dalla propria doppia anima (russa e tedesca, malgrado i tentativi dei Sovietici prima e dei Russi poi di cancellarne del tutto il versante identitario tedesco) e si profila così come il luogo geografico, ma soprattutto simbolico, nel quale una certa storia d’Europa ha dato vita a immani tragedie, ma anche a straordinarie fioriture di pensiero e di civiltà. Meta del lungo viaggio della scrittrice, Kaliningrad / Königsberg sembra essere uno di quelli che in filologia si chiamano “palinsesti”, codici vergati, poi raschiati per ricevere un nuovo testo, in una stratificazione che, in questo caso, si situa, di volta in volta nel corso della storia, al centro oppure all’estrema periferia d’Europa: Kaliningrad quale specchio degli andirivieni della storia, ma, ci ricorda spesso Valentina Parisi, le vite e le sorti coinvolte sono le migliaia di vite delle persone cosiddette “comuni”, motivate da affetti, legami, timori, desideri, così che gli edifici, le strade, i toponimi della città sono infinitamente di più che gusci in cui abitare o nomi di neutra valenza.
Potrei sbagliarmi, ma penso che la lezione sebaldiana trovi in questo libro una sua efficace attuazione: i materiali privati impiegati, le fotografie, gli itinerari tracciati e seguiti, ma soprattutto lo spirito del libro che scava nell’anima dell’Europa (anche quand’essa è buia o reticente) mi fanno pensare a opere come Luftkrieg und Literatur (in Italia è apparso presso Adelphi con il titolo Storia naturale della distruzione) o agli Emigrati perché narrare, ci insegna Sebald, è percorrere a ritroso le storie dentro la storia per conoscere e per capire, per fare i conti (in modo adulto e consapevole) con il passato della propria nazione e del proprio continente. La Città di Kalinin ovvero il Monte del Re viene a essere, grazie alla ricerca di Valentina Parisi, luogo mitico come Timbuctù o Samarcanda, ma con la radicale differenza che si tratta di un mito niente affatto estetizzante o favoloso o distante nel passato, ma dolorosamente presente, anche perché μύθος (lo sappiamo) significa racconto e raccontare Kaliningrad, la ex Prussia orientale, la Masuria, Danzica e Berlino (città anch’esse presenti nel libro) significa raccontare quello che siamo stati e quello che siamo.
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