da Il mestiere di vivere
4 maggio 1942
Nell’inquietudine e nello sforzo di scrivere, ciò che sostiene è la certezza che nella pagina resta qualcosa di non detto.
20 febbraio 1946
(Prefazione ai dialoghetti)
[…]
Siamo convinti che una grande rivelazione può uscire soltanto dalla testarda insistenza su una stessa difficoltà. Non abbiano nulla in comune coi viaggiatori, gli sperimentatori, gli avventurieri. Sappiamo che il più sicuro – e più rapido – modo di stupirci, è di fissare imperterriti sempre lo stesso oggetto. Un bel momento quest’oggetto ci sembrerà – miracoloso – di non averlo mai visto.
27 giugno 1946
Tentazione dello scrittore
Aver scritto qualcosa che ti lascia come un fucile sparato, ancora scosso e riarso, vuotato di tutto te stesso, dove non solo hai scaricato tutto quello che sai di te stesso, ma quello che sospetti e supponi, e i sussulti, i fantasmi, l’inconscio – averlo fatto con lunga fatica e tensione, con cautela di giorni e tremori e repentine scoperte e fallimenti e irrigidirsi di tutta la vita su quel punto – accorgersi che tutto questo è come nulla se un segno umano, una parola, una presenza non lo accoglie, lo scalda – e morir di freddo – parlare al deserto – essere solo notte e giorno come un morto.
28 gennaio 1949
Perché lo scrittore non deve vivere del suo lavoro di scrittore? Perché allora dovrebbe fornire la data merce. Non è più libero davanti a sé. In qualunque momento lo scrittore deve poter dire: no, questo non lo scrivo. Cioè, avere un altro mestiere.
Cosa c’è di più rischioso che mantenere una famiglia coi propri romanzi, o in genere con la penna?