Così dicendo, l’allevatore si alza dalla sedia e mi conduce fuori dall’ufficio, dove ci attende il suo segretario, fasciato in un gessato blu decisamente troppo stretto, con la camicia mezza sbottonata e la cravatta di traverso. Questi, nell’atto di presentarsi, dispensa sorrisi di circostanza e si produce in un inchino d’altri tempi, conformemente alla più rigida etichetta, piegando il capo in avanti e spostando all’indietro la gamba sinistra con la grazia leggiadra di una dama.
– È un giornalista, – gli dice l’allevatore indicandomi, – gli faccia fare il solito giro. Ci rivediamo tra un’ora nella taverna dei suinetti –. Poi ci saluta frettolosamente con un breve gesto della mano.
Non appena l’allevatore ci volge le spalle, il segretario interrompe la sua meccanica esibizione di riverenza esattamente come l’aveva cominciata, vale a dire soprappensiero, e si lancia in una turpe invettiva, che riporto in versione ridotta e mitigata:
– L’allevatore ha la testa come il cazzo, non so se mi spiego, ce l’ha proprio come un cazzo, ecco, non so se mi spiego. Nel senso che è moscio, l’allevatore, anzi nel senso che l’allevatore ha la testa moscia, proprio moscia, ma moscia tutti i giorni, proprio, non un giorno sì e l’altro no, non so se mi spiego. La testa dell’allevatore è moscia tutto l’anno, per davvero, e non esagero dicendo “tutto l’anno”. Quando dico “tutto l’anno” intendo dire proprio “tutto l’anno”, non so se mi spiego. Io non sono il tipo che dice “tutto l’anno” così, tanto per dire. Non so se mi spiego: se dico “tutto l’anno” voglio dire proprio “tutto l’anno”, hai capito? Il problema è che ogni tanto l’allevatore si drizza, per davvero, si erige tutto, non so se mi spiego. Anzi no, non è proprio l’allevatore che si drizza, ma è la sua testa, la testa dell’allevatore che si erige tutta. E siccome l’allevatore ha la testa come un membro, ecco, che poi è un membro virile, mi pare di averlo detto, ogni tanto la testa dell’allevatore, che è proprio una testa di cazzo, volevo dire, ha come un’erezione, e questo si spiega perché la testa dell’allevatore in realtà non è proprio una testa, non so se mi spiego, ma è un attrezzo sessuale, proprio, un arnese che ricorda vagamente una testa, non so se mi spiego. E quando lo strumento a forma di testa dell’allevatore si dilata tutto, non so se mi spiego, quando la testa dell’allevatore ha un’erezione e diventa rossa, guarda caso, in giro c’è sempre un cacchio di giornalista, guarda caso, che ha una testa come una bocca, non so se mi spiego. Il membro verbale dell’allevatore si ingrossa tutto, allora, nel senso che la sua testa fatta di parole si allarga, proprio, e si allunga anche un bel po’, mentre la testa del giornalista, che in realtà è una bocca, ma veramente una bocca, si schiude a dismisura sopra il batacchio dell’allevatore e se lo ingloba tutto, un attimo dopo, non so se mi spiego. In altri termini potrei dire che la testa del giornalista, vale a dire la bocca a forma di testa attaccata al collo del giornalista, non so se mi spiego, si incorpora la testa dell’allevatore, anzi si incorpora l’asta dell’allevatore, proprio, che è una mazza a forma di testa fatta di minuscole parole, non so se mi spiego. E poi la testa del giornalista, che alla fine è una bocca a forma di testa, non so se mi spiego, si discorpora la testa di cazzo dell’allevatore, proprio, anche se il verbo “discorporare” non esiste, mi ha detto una volta il manutentore della museruola. E dopo essersela discorporata, la verga di parole a forma di testa dell’allevatore, non so se mi spiego, il giornalista se la incorpora ancora, la stessa coda a forma di testa, e poi la discorpora, la incorpora e la discorpora di nuovo, e poi la ingloba e la disgloba, la stessa pertica fatta di minuscole parole, anche se il verbo “disglobare” non esiste e dunque non si può dire. Però la cosa va avanti a ritmo regolare, non so se mi spiego, e tra incorporazioni, discorporazioni, inglobamenti e disglobamenti, accade che tra la testa come il cazzo dell’allevatore e la bocca del giornalista, che è poi una testa a forma di bocca, non so se mi spiego, si verifica qualcosa di simile a un coito orale, ecco, direi così, adesso, a voce alta, se non temessi di apparire volgare: un coito orale, proprio orale, non so se mi spiego, con tutte le conseguenze del caso, vale a dire schizzi di parole, non so se mi spiego, ma schizzi di parole schizzati a vanvera, proprio, sulla faccia e nelle orecchie e sulle guance dell’intervistatore. E tutti quegli schizzi di parole, adesso, li vedo qui sulla tua testa, caro il mio giornalista, proprio sulla tua testa a forma di bocca, non so se mi spiego, sulla faccia che è qui di fronte a me, in questo momento, e quegli schizzi di parole me li leggo rigo dopo rigo, se voglio, sulla tua faccia, come se avessi di fronte una pagina di giornale oppure un libro. È sospettoso, l’allevatore, sospettoso, non so se mi spiego. Sulla tua testa a forma di bocca, caro il mio giornalista, vedo tutte le parole dell’allevatore, le parole che ti ha schizzato addosso pochi minuti fa: microchip, ecco, Saverio, poi la grande sciocchezza della concupiscenza di mezzo, non è vero?, e la storia del ciuccio, Saverio, microchip, microchip e infine di nuovo Saverio. Ultimamente l’allevatore vede complotti dappertutto, ovunque rivali, non so se mi spiego. È sospettoso, l’allevatore, anche geloso. Ce l’ha con Saverio e vede microchip come formiche, non so se mi spiego. L’allevatore vede microchip e denigra Saverio, ecco, lo denigra perché vorrebbe il maiale tutto per sé.
Al termine della sua invettiva, il segretario rivolge poche ma incandescenti parole all’indirizzo di tutti gli scellerati che si dedicano all’esercizio gratuito del turpiloquio, poi si raschia la gola e fa una serie di respiri profondi, come per riprendere fiato; infine cerca di sistemarsi la cravatta, provando a collocarla lungo la linea invisibile che congiunge il suo pomo d’Adamo alla fibbia della cintura, vale a dire sovrapponendo la cravatta alla curva convessa della pancia che passa per l’ombelico.
Ora il segretario è accanto a me, alle nostre spalle abbiamo la porta d’ingresso dell’ufficio e davanti a noi si estende una piazzola gremita di porcelli illuminati da un tiepido sole invernale. A un cenno del segretario, facendoci largo tra i maialini intenti a ruzzare liberamente per la piazza, volgiamo il passo verso una specie di chiosco, un piccolo padiglione a colonne aperto su tre lati, al cui interno sono ammassate decine di espositori su ruote per riviste e giornali. Su un cavalletto pubblicitario, di quelli che si usano per esporre manifesti e locandine, campeggia una gigantografia che ritrae Casanova dormiente. Il porco vi appare coricato su un fianco: le sue zampe posteriori sono avvolte in un drappo di velluto color porpora frangiato d’oro; restano scoperti, perfettamente visibili nella parte bassa della foto, due piedini muniti di zoccoli e speroni, e più su, a partire dal bacino, l’ampio ventre e il grifo del maiale immortalati di profilo. Il corpo di Casanova, raffigurato in audacissimo scorcio grazie al punto di vista leggermente rialzato assunto dal fotografo nel momento dello scatto, non appare rimpiccolito, bensì concentrato: concentrato ma tranquillo, verrebbe da dire, come può esserlo un punto immaginario dello spazio in cui si raccolgono innumerevoli forze, ma senza fatica.
Vedendomi assorto nella contemplazione del ritratto di Casanova, il segretario mi informa che il corpo del maiale dormiente è forza risparmiata: – Riposando, il porco trattiene il possibile, in un certo senso non lo spreca –. Poi aggiunge che Casanova è potente durante il sonno, non in un altro stato.
– Abbandonandosi al sonno, – dice il segretario, – il maiale custodisce le forze, non so se mi spiego. Solo così, in questo modo, durante l’avventura del dormire, entrando in quello stato sospeso che è lo stato di sospensione del sonno, Casanova si addentra in una zona franca, non so se mi spiego, una zona franca, proprio, o uno stato di sospensione, dicevo, collocato al di là del desiderio di montare, hai capito?, ma anche oltre la frustrazione per le monte mancate. Casanova dormiente è allora energia conservata, per davvero, ma serbata senza sforzo, non so se mi spiego.
Accompagnato dalle parole del segretario, osservo la parte alta della foto, dominata dal grugno di Casanova visibile sotto la struttura a gabbia della museruola. L’occhio del porco è chiuso, la sua guancia distesa. Dalla superficie liscia del grifo, esente da difetti quali potrebbero essere gonfiori o incavature, emana un senso diffuso di forza quieta che si raddensa nel listello della museruola su cui è appollaiato un martin pescatore; la foto ce lo mostra con l’ala sinistra dispiegata in tutta la sua ampiezza e la testolina lievemente proiettata all’indietro, nell’atto di prendere lo slancio un attimo prima di nettarsi le piume con il becco.