“Paesaggio” non significa soltanto “paesaggio naturale” (benché assai complesso ed estremamente ambiguo sia il concetto stesso di “naturale”), ma, nei diversi modi del fare artistico, “paesaggio” può essere anche un costituirsi dello sguardo in visioni d’interni, di spazi urbani, di spazi inventati dall’immaginazione.
La cosiddetta “scuola fotografica di Düsseldorf”, i cui maestri riconosciuti e ammirati sono stati Bernd e Hilla Becher, ha permesso a una schiera davvero eccellente di fotografi di confrontarsi in modo efficace e dialettico con il paesaggio contemporaneo (sia esterno che interno alla mente dell’artista) e, nel caso presente, mi fa piacere considerare lo sguardo colto e sensibilissimo di Candida Höfer, in particolare relativamente alla serie fotografica dedicata alla Elbphilharmonie di Amburgo.
Candida Höfer è nota per le fotografie di grandi dimensioni di interni di biblioteche, di teatri, di spazi pubblici che ha fotografato (ma si potrebbe anche dire “ritratto”) a colori e sempre vuoti di presenze umane e sempre da angolature che ne esaltano le prospettive e l’ampiezza – splendide, per esempio, le fotografie scattate all’interno della Biblioteca dei Girolamini di Napoli (La “biblioteca di Giambattista Vico”, per intenderci).
Nel 2016 Candida Höfer viene invitata, all’interno di un progetto che comprende altri artisti figurativi, a fotografare gli spazi della Elbphilharmonie appena terminata, ma non ancora aperta al pubblico.
Candida Höfer accetta con entusiasmo perché si tratta di documentare la realizzazione di uno dei progetti più ambiziosi (e, anche, più costosi e oggetto di polemiche accesissime) degli ultimi decenni: la Elbphilharmonie sorge tra il porto e la Speicherstadt (il peculiare quartiere amburghese dei magazzini per il deposito e il transito delle merci dalle facciate di mattoni rossi e separati tra di loro da stretti canali) e infatti lo studio di architetti che si aggiudica la realizzazione dell’edificio (Herzog & de Meuron) utilizza un magazzino edificato negli anni Sessanta del secolo scorso (Kaispeicher A) sul quale appoggia la struttura in vetro (si tratta di circa mille finestre dalla superficie curva) e che ricorda un veliero: all’interno dell’edificio ci sono tre sale da concerto, sale conferenza, un hotel, appartamenti di lusso, bar, ristoranti e un parcheggio.
La fotografa vede nei diversi ambienti della Elbphilharmonie l’interpretazione più avanzata della storia plurisecolare di Amburgo e della sua vocazione culturale; ferma la propria attenzione sulla grande scala curva che immette nell’edificio, sulla principale sala per i concerti, sulle superfici ricurve del tetto, ma anche sui modelli in scala che lo studio Herzog & de Meuron aveva preparato; Candida Höfer fotografa e realizza una stampa cromogenica in grande scala del disegno-rendering dell’esterno dell’edificio: fotografa quindi un’immagine che la mente e la mano hanno trasformato in disegno, realizza un’immagine al quadrato, se mi è consentita l’espressione; e quando fotografa i modelli in scala (tra l’altro nelle fotografie si vedono gli scaffali e i ripiani sui quali essi sono appoggiati) mostra l’edificio quand’esso ancora non esisteva, o esisteva nella potenzialità del progetto, torna a mostrare immagini d’immagini, fotografa la soglia tra il progetto e la sua realizzazione; sono invece le fotografie della sala da concerto (vuota) dove il pubblico siede tutt’intorno all’orchestra, della grande scala curva che permette di muoversi da un punto al suo opposto della costruzione, dei passaggi all’aperto attraverso il tetto a testimoniare la realizzazione della Elbphilharmonie ormai pronta ad accogliere le persone: esiste una fotografia che Candida Höfer ha scattato nel foyer (vuoto) del Teatro alla Scala, esistono sue foto degli interni di diversi teatri e biblioteche e musei d’Europa e, sempre, uno dei significati di quegli scatti è documentare la bellezza del pensiero umano tramite luoghi da quello stesso pensiero progettati ed edificati per accogliere ulteriori realizzazioni del pensiero (libri, opere d’arte, concerti…): l’assenza apparente della figura umana è forte eco della presenza dell’uomo dentro questi paesaggi della mente – la Elbphilharmonie viene fotografata, invece, prima della sua apertura al pubblico, l’artista tedesca fotografa il tempo a venire del teatro amburghese, mentre fino a quel momento aveva fotografato luoghi colmi del tempo passato, ambienti già carichi di memoria.
Eppure, in qualche modo, l’edificio di Amburgo accoglie allo stesso tempo una memoria della quale esso si fa eco (quella dei magazzini della città portuale, quella delle navi in transito, in qualche modo anche della distruzione dovuta ai massicci bombardamenti e della successiva ricostruzione), ma, soprattutto, è già capace di accogliere una sorta di memoria del futuro, se è vero che il nitore della fotografia höferiana, la sua predilezione per la luce, la sua capacità di cogliere l’armonia e la bellezza degl’interni sanno anticipare, nella visione, il suono delle musiche e il concorso di pubblico e artisti che vivificheranno l’Elbphilharmonie negli anni a venire.