La morte di Roberto Calasso s’iscrive nella mia personale biografia intellettuale perché il nome Adelphi (insieme con Einaudi e Laterza) rappresenta da sempre quel meravigliarsi davanti alla letteratura e alla filosofia che, incominciato sui manuali scolastici, è andato poi esercitandosi in maniera sempre più autonoma sia tramite i prestiti bibliotecari sia con i primi (rari) acquisti in libreria (rari date le limitatissime risorse finanziarie di studente).
Una nutrita porzione della mia biblioteca personale è oggi costituita da libri Adelphi, ma per me, studente liceale e poi universitario tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, educato da chi dalla cattedra del Liceo Classico “Francesca Capece” di Maglie era capace di parlarmi di Giambattista Vico e di Tommaso Fiore, di Pietro Giannone, di Vittorio Bodini, di additarmi la cultura francese come modello di civiltà, di mostrarmi la viva presenza di Bisanzio in Terra d’Otranto, per me, che senza saperlo cullavo l’impressione di avere il mondo ad aspettarmi, il Settentrione d’Italia e l’Europa centrale si profilavano attraenti e molto, molto distanti, ancora da esplorare.
Adelphi, allora, con i preziosi (e costosi) volumi della Biblioteca (che più tardi prendevo in prestito in Università) e con gli altrettanto preziosi volumetti della Piccola Biblioteca (qualcuno riuscivo a comperarlo in libreria con i soldi guadagnati dalle ripetizioni e da qualche traduzione) mi fece leggere Bernhard e Simic, Campo e Ceronetti: Come un talismano fu per me l’illuminazione, il passo decisivo dalla traduzione-versione alla letteratura nel suo stato più puro.
Ma sapevo che “dietro” Van Gogh il suicidato della società, Fuga da Bisanzio, L’ala del turbine intelligente c’era Roberto Calasso. E non mi sono mai capacitato di quante letture e di quanto tempo, di quale straordinaria facoltà di memoria e di potenza di concentrazione occorra per scrivere un libro-capolavoro come Le nozze di Cadmo e Armonia: mi è sempre piaciuto immaginare Roberto Calasso annotare a mano nei suoi quaderni quell’incrociarsi forsennato di miti, compiere una passeggiata tra Via San Giovanni sul Muro e Brera per riadeguare il pensiero stanco al passo di un andare che, in certe ore della giornata, Milano concede silenzioso e quieto (è il medesimo meditante camminare-andare di Robert Walser e di Thomas Bernhard, degli Anelli di Saturno e di In Patagonia).
Più di “un Adelphi” è per me oggi ancora viatico e “genere di conforto”: Morte dell’Inquisitore e Fondamenta degli incurabili, Dissipatio H. G. e Il funesto demiurgo,tutti i volumi della Sapienza greca…
In “un Adelphi” c’è il cosmo di un pensiero o di una narrazione o di un poema e la nitidezza della stampa tipografica, l’eleganza dell’oggetto-libro e, spesso, il vagabondare nei labirinti della letteratura: ecco La Folie Baudelaire, per esempio.
Milano era ed è Parigi e l’Oxiana, Vienna e La Salle des pas perdus nella stazione ferroviaria di Anversa.
Il libro di Roberto Calasso che ho acquistato subito dopo la sua morte s’intitola Allucinazioni americane: il geometrico cinema di Alfred Hitchcock (in particolare La finestra sul cortile e La donna che visse due volte) viene letto tramite frammenti di scrittura nati nel corso di molti anni e che lasciano affiorare ricerche e scritture parallele (quelle relative alla cultura dei Veda e quelle che riguardano Franz Kafka, il cinema di Lubitsch e quello di Ophuls).
È bello, allora, immaginare che le ombre possano tornare ad annodare i propri passi tra di loro annullando ogni distanza temporale: so che in questo preciso momento Roberto Calasso sta salendo i gradini di legno all’interno della libreria Hoepli di Milano in compagnia di Giorgio Colli, mentre Pavel Florenskij sarà testè arrivato con il postale della notte per stringere la mano del suo editore italiano.