Era il 1983 quando Sarah Kirsch, già dal 1977 fuoriuscita dalla Germania Est, scelse di vivere a Tielenhemme, un villaggio dello Schleswig-Holstein dove, come avrebbe scritto in seguito, allevava “il più piccolo gregge della Germania”. Dietro quest’autoironica affermazione si cela uno stile di vita tendente all’essenzialità e alla sobrietà, i cui valori sono un meditante silenzio e una diuturna osservazione della natura nel trascorrere delle stagioni che in realtà aprono anche un percorso di riflessione sulla propria interiorità e sul rapporto dell’individuo con la storia. Accade allora che nei versi e nei diari di Sarah Kirsch poiane, nibbi, falchi dagli occhi azzurri, pavoncelle, cigni, anitre (e il lettore scopre quanti diversi generi di anitre esistano e solchino il cielo dell’Europa settentrionale nei loro itinerari di migrazione) facciano udire la propria voce o si diano a vedere contro cieli vertiginosi, a volte in volo verso gli argini del Mare del Nord, altre volte nella quiete del loro sonno. Si dispiega un paesaggio d’acque e di pianure, si fa sentire un precoce sentore di neve nell’agosto al suo finire, oppure rossi azzurri e gialli si spandono in un cielo infinito, dandosi qui, entro pochi chilometri quadrati, la possibilità di raggiungere le rive del Mar del Nord a ocidente, del Mar Baltico a oriente. E c’è il Moor (vocabolo che in maniera approssimativa possiamo tradurre con palude),quel particolare tipo di terreno intriso d’acqua attraverso il quale è pericoloso avventurarsi senza guide esperte, memoria geologica e botanica di un antico inabissamento di zone boschive e memoria culturale che, nel folklore, ha creato un gran numero di leggende popolate di spettri, storie d’amore infelice, notturni incontri spesso fatali tra creature ultraterrene e umani. Mari settentrionali, acquitrini, fiumi assieme a una flora di erbe basse e verdissime traversate dal vento e trifogli, ontani, meli, prugni abitano la poesia di Sarah Kirsch. Non è un caso, forse, che la peculiare prosodia di Sarah Kirsch, tra l’altro difficilissima da tradurre in altra lingua, sia costituita dalla soppressione quasi totale della punteggiatura e sottenda un verso che non si confà alle esigenze della sintassi, ma del respiro – o del soffio del vento di queste latitudini settentrionali.
Il cielo del Nord così
erto così nero sopra il
mare tra due stelle.
Der nördliche Himmel so
steil so schwarz über dem
Meer zwischen zwei Sternen
(in Schwanenliebe, Amore di cigno, 2001).
SPIAGGIA DEL NORD
Dormono (ed è bello per noi) sotto
il tetto che
tiene lontana la tempesta guardano il
cielo che si fa verde
sopra prati
vertiginosamente blu i gatti
volano verso la cappa del camino
fuori e dentro le
nubi di cinque piani.
NORDSTRAND
Schlafen uns schön unter
dem sturmabweisenden
Dach sehen den
grünenden Himmel
über tief
blauen Wiesen die Katzen
fliegen zum Rauchfang her
rauß und hinein die
Wolken in fünf Etagen
(in Bodenlos, Senza fondo, 1996).
Dai tempi di Rimbaud e di Van Gogh sappiamo che i colori non appartengono alle cose, ma al modo di guardarle e di percepirle; può allora succedere in maniera perfettamente logica (entro la logica della poesia e del sentire) che il cielo verde s’inarchi sopra prati blu, che nubi alte come un edificio di cinque piani trascorrano per il camino di una casa abitata da gatti, magici animali il cui sonnecchiare e il cui sguardo fanno bene agli uomini che li osservano. E questa è stata, anche, la terra di Emil Nolde…
Ed ecco baluginare sulla pagina l’aurora boreale:
CORRO contro il
vento vedo rossa
librantesi un’aurora boreale
le anitre siberiane
fischiano nel sonno.
ICH laufe gegen den
Wind sehe ein rotes
flatterndes Nordlicht
die sibirischen Gänse
zischen im Schlaf
(in Schwanenliebe).
Aurora boreale è, in tedesco, Nordlicht, alla lettera “luce del / dal Nord”; le anitre siberiane si aggiungono poi a descrivere una geografia che dalla Germania settentrionale si dispiega attraverso la Scandinavia intorno al Polo Nord e in Siberia. E oltre, fino in Groenlandia:
MUSICA D’INVERNO
Sono stata un tempo una ros-
sa volpe con alti balzi
mi procuravo ciò che volevo.
Grigia sono adesso grigia pioggia.
Arrivai fino in Groenlandia
in cuor mio.
Sulla costa brilla un sasso
su cui sta: Nessuno ritorna.
Il sasso m’accorcia la vita.
I quattro angoli del mondo
sono colmi di dolore. Amore
è come lo spezzarsi della spina dorsale.
WINTERMUSIK
Bin einmal eine rote Füchsin ge-
wesen mit hohen Sprüngen
holte ich mir was ich wollte.
Grau bin ich jetzt grauer Regen.
Ich kam bis nach Grönland
in meinem Herzen.
An der Küste leuchtet ein Stein
darauf steht: Keiner kehrt wieder.
Der Stein verkürzt mir das Leben.
Die vier Enden der Welt
sind voller Leid. Liebe
ist wie das Brechen des Rückgrats
(in Schneewärme, Calore di neve, 1989).
AGOSTO
Porto addosso la nostalgia
calda come lana
di pecora. Il vento
reca neve dal mare.
AUGUST
Ich trage Sehnsucht
warm wie Wolle
der Schafe. Der Wind
vom Meer bringt Schnee
(in Bodenlos).
Il “tu” nella poesia di Sarah Kirsch è spesso l’amato e l’amore non è sempre felice o realizzato, spesso tra i due s’interpone la distanza:
BERE
Abiti nella luna dal
lato piccolo io sul
fondo del lago
con voce di poiana
mi puoi chiamare.
Il nostro coinquilino
un corvo con ali
simili alle sopracciglia di Skácel
al di là del lutto.
TRINKEN
Wohnst im Mond auf der
kleinen Seite ich am
Boden des Sees
mit Bussards Stimme
kannst du mich rufen.
Unser Hausgenosse
ein Rabe mit Flügeln
wie Skácels Brauen
über der Trauer
(in Bodenlos).
L’esistere e il comporre versi permettono metamorfosi che oltrepassano i confini tra mondo umano e mondo animale, tra umano e minerale:
QUI conosco
soltanto un ontano
anitra grigia fatta d’
aria adesso io sono
dappertutto.
HIER kenne ich
nur eine Erle
Graugans aus
Luft jetzt bin ich
überall
(in Schwanenliebe).
Ontano: si dice Erle in tedesco, la medesima parola contenuta in Erlkönig, il re degli elfi di una celeberrima ballata di Goethe e nel titolo di una raccolta di Kirsch, Erlkönigs Tochter (La figlia del re degli elfi del 1992), titolo a sua volta di un’altrettanto famosa ballata di Herder; l’elemento magico-fiabesco è componente fondamentale della poesia di Sarah Kirsch e nel presente caso permette la metamorfosi in un’anitra fatta d’aria che, come l’aria, è presente dappertutto, permea di sé ogni cosa.
SULL’ argine protette dal vento
dietro la casa
fioriscono le prime prugne.
Blu prugna lì sotto le
violette.
AUF dem Deich windgeschützt
hinter dem Haus
blühen die ersten Pflaumen.
Pflaumenblau darunter die
Veilchen
(in Schwanenliebe).
L’argine (der Deich) è termine essenziale entro il paesaggio del Mare del Nord, trattandosi spesso di argine rinforzato o di terrapieno eretto a difesa dei terreni coltivati e dei centri abitati, ma anche di linea di confine tra terra e acqua, di luogo fin dove si spinge lo sguardo per superarlo e percepirne la vastità spaziale, ma senza smarrire l’attenzione alle cose apparentemente minuscole o minute, quale può essere il corrispondersi del colore blu-prugna tra i frutti che, dice letteralmente la poetessa, “fioriscono” e le piccole violette ai piedi degli alberi.
La poesia di Sarah Kirsch, si accennava, è pure dialogo con spiriti sodali, innanzitutto con quello di Annette von Droste Hülshoff (castello di Hülshoff presso Münster, Vestfalia, 1797 – Meersburg, Lago di Costanza,1848), in Germania citata spesso come “die Droste” (la Droste):
ALLA DROSTE MI PIACEREBBE PORGERE DELL’ACQUA
Alla Droste mi piacerebbe porgere dell’acqua
con lei guardare dentro antichi specchi, dire
i nomi degli uccelli, orientiamo i nostri occhiali
sui campi e sui cespugli di sambuco, andiamo
ridacchiando oltre la palude, la pavoncella è in amore
ah, direi, il Suo Lewin –
non è questo il nitrito d’un cavallo?
I riccioli un po’ più leggeri – e andiamo
lungo il ghiaieto, io l’epigona
avrei dato scandalo – alla spinetta
magnifica che c’è in sala
suoniamo a quattro mani canti di caccia oppure
quelli vietati di Villon
sorge la luna – noi siamo sole
Il giardiniere ci mostra come lanciare la lenza
fin quando Lewin arriva in carrozza
ci regala bozze di giornale, acquavite
ci versiamo in gola, leggiamo
entrambe amiamo quell’audace, i suoi occhi
sono come verdi stagni in ombra, ci
capiamo adesso fino in fondo nel mestiere di pescare.
DER DROSTE WÜRDE ICH GERN WASSER REICHEN
Der Droste würde ich gern Wasser reichen
in alte Spiegel mit ihr sehen, Vögel
nennen, wir richten unsre Brillen
auf Felder und Holunderbüsche, gehn
glucksend übers Moor, der Kiebitz balzt
ach, würd ich sagen, Ihr Lewin –
schnaubt nicht schon ein Pferd?
Die Locke etwas leichter – und wir laufen
den Kiesweg, ich die Spätgeborne
hätte mit Skandalen aufgewartet – am Spinett
das kostbar in der Halle steht
spielen wir vierhändig Reiterlieder oder
das Verbotne von Villon
der Mond geht auf – wir sind allein
der Gärtner zeigt uns Angelwerfen
bis Lewin in seiner Kutsche ankommt
schenkt uns Zeitungsfahnen, Schnäpse
gießen wir in unsere Kehlen, lesen
beide lieben wir den Kühnen, seine Augen
sind wie grüne Schattenteiche, wir verstehen
uns jetzt gründlich auf das Handwerk Fischen
(in Zaubersprüche, Formule magiche, 1973).
La lirica è una fine e complessa tessitura di motivi riferibili e alla vita e all’opera della Droste, oltre che di Kirsch stessa; il lettore non riesce a sottrarsi alla commozione che suscita quel desiderio di offrire dell’acqua alla poetessa amata e studiata, gesto umile e intimo al tempo stesso e quel guardare dentro antichi specchi, accumulo forse di ricordi e di volti; nominare insieme gli uccelli è un passo ulteriore in questo coincidere di lettura e scrittura, perché Sarah che legge Annette è anche Sarah che rende attuale nella lettura e nella propria scrittura la poesia della Droste la quale conserva un potere fortissimo di suggestione e ispira le nuove generazioni di poeti; gli occhiali, quasi fossero binocoli o telescopi, vengono orientati sulla campagna e sui sambuchi, altri elementi amorosamente contemplati nella poesia delle due autrici. Ed eccolo il Moor, l’universo d’acque piante pesci e anfibi che Annette amava esplorare da sola, portando con sé il manuale di scienze naturali di Bertuch illustrato da magnifiche incisioni a colorie un martello per staccare i fossili dalle rocce. Lewin (o Levin) Schücking è il giovane scrittore e pubblicista cui Annette fu legata da tenera amicizia e per il quale nutrì un impossibile sogno d’amore che infatti non potè realizzarsi. Quando si viene a leggere dei boccoli si pensa subito a un noto ritratto della poetessa della Vestfalia la quale visse un’esistenza prigioniera tra le convenzioni e le regole cui era obbligata dalla propria appartenenza sociale da un lato e un’irresistibile aspirazione alla libertà dall’altro che potè trovare espressione in una poesia per molti versi innovatrice, al cui centro è una natura liberata dal sentimentalismo romantico e rappresentata con un linguaggio vigoroso il cui lessico è spesso attinto da quello tecnico delle scienze naturali (Sarah Kirsch stessa ha studiato biologia all’università di Halle). “Alleggerire i boccoli” significa forse riuscire a liberarsi dalle costrizioni sociali, trovare il modo e il coraggio di fare ciò che è proibito o scandaloso: dette scandalo Sarah Kirsch nel 1977 quando fu tra i primissimi firmatari di un documento contro l’espulsione dalla DDR del cantautore, intellettuale e poeta Wolf Biermann (in conseguenza di tale atto dovette lei stessa lasciare la Germania Est) e dava scandalo la sua poesia spesso così soggettiva, apertamente pacifista, così vogliosa di cantare l’amore e la natura, capace di dire il dolore dell’abbandono e della solitudine. Infatti Lewin, i suoi occhi verdi come stagni in ombra, sanno suscitare la passione in entrambe le donne e l’arte di pescare è, lo si comprende bene, l’arte dell’amare e quella del poetare.
Altra sorella d’elezione è Bettina Brentano (Francoforte sul Meno, 1785 – Berlino, 1859), intellettuale emancipata e colta del secondo Romanticismo tedesco, sorella di Clemens, poeta di punta dello stesso movimento e coautore con Achim von Arnim (poi marito della stessa Bettina) della raccolta di canti popolari Des Knaben Wunderhorn (La cornucopia del fanciullo, 1805-1808), opera fondamentale, assieme alle favole dei fratelli Grimm, nella riscoperta e valorizzazione del patrimonio popolare tedesco; Bettina viene evocata nel ciclo di liriche intitolato Wiepersdorf dal nome della residenza dei Brentano a circa ottanta chilometri a sud di Berlino dove Sarah Kirsch stessa ha vissuto grazie a una borsa di studio. Il testo poetico numero nove così recita:
Questa sera, Bettina, tutto
è come in passato. Sempre
siamo sole quando scriviamo ai re
a quelli del cuore e a quelli
dello Stato. E ancora
si spaventa il nostro cuore
se all’altro lato della casa
si ode una vettura.
Dieser Abend, Bettina, es ist
alles beim alten. Immer
sind wir allein, wenn wir den Königen schreiben
denen des Herzens und jenen
des Staats. Und noch
erschrickt unser Herz
wenn auf der anderen Seite des Hauses
ein Wagen zu hören ist
(in Rückenwind, Vento alle spalle, 1976).
Si ripropone di nuovo il tema della solitudine legato sia alla condizione femminile e sentimentale (noi siamo sole aveva detto alla Droste), sia alla situazione del cittadino comune di fronte all’autorità dello Stato e la vettura che si ferma nei pressi della propria casa richiama un’immagine usata da Peter Huchel, poeta e intellettuale di assoluto rilievo nella Germania Orientale (ma non solo), per molti versi maestro di Sarah Kirsch: i cittadini della DDR sapevano riconoscere le vetture della STASI (la famigerata, efferata polizia segreta) i cui equipaggi erano incaricati di sorvegliare i sospettati di dissidenza nei confronti del regime o, peggio, venivano mandati a perquisirne le abitazioni o ad arrestarli.
SOLITUDINE DEL BOSCO
Nel crepuscolo
è il mio usignuolo
nero il vento si adagia
sulla tomba di Arnim.
WALDEINSAMKEIT
In der Dämmerung
ist meine Nachtigall
schwarz legt sich der Wind
auf Arnims Grab
(in Bodenlos).
Le creature dell’aria sono prossime alla bellezza e alla sapienza che può scaturire dalla poesia, la quale, secondo la tradizione romantica tedesca, ha anche nell’usignuolo una sua incarnazione, quasi che la natura sia capace di cantare se stessa attraverso le proprie creature e sappia amare i poeti come Arnim.
A mo’ di congedo scelgo i versi liberi di Sarah Kirsch, liberi anche nel senso di “liberàti”, lasciati andare nel mondo, proprio come spesso nel mondo vanno i protagonisti delle fiabe popolari tedesche, desiderosi d’avventura e di fortuna, proprio come incontro al mondo va il Taugenichts (il romantico perdigiorno) della novella di Joseph von Eichendorff:
VERSI LIBERI
Ieri notte mi sono svegliata sapevo
che infine dovevo congedarmi
da questi versi.
Succede sempre così
dopo alcuni anni. Essi devono andare
nel mondo. Non è possibile
trattenerli (per sempre!) qui sotto il tetto.
Povere cose. Devono andarsene in città.
Pochi potranno tornare più tardi.
Comunque la maggior parte va vagabondando là fuori.
Chissà che cosa ne sarà di loro. Prima che
si acquietino.
FREIE VERSE
Gestern Nacht erwachte ich wußte
daß ich mich nun von diesen Versen
verabschieden sollte. So geht es immer
nach einigen Jahren. Sie müssen hinaus
in die Welt. Es ist nicht möglich sie
ewig! hier unter dem Dach zu behalten.
Arme Dinge. Sie müssen hin in die Stadt.
Wenige werden später zurückkommen dürfen.
Jedoch die meisten treiben sich draußen herum.
Wer weiß was aus ihnen noch wird. Eh sie
zur Ruhe gelangen
(in Erlkönigs Tochter).