Il non amore dei fiori e di tutte le cose belle.
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Tutti in paese la chiamavano Truut e dicevano che era una strega. La sera la donna gli raccontava delle fiabe che lo avrebbero perseguitato per il resto della sua vita ovvero, come presuntuosamente usiamo dire, per sempre.
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Rapporto salvato per grazia di Dio numero 3 (questo è il mio preferito, l’unico del quale ho capito qualcosa; ne ho perfino chiesto a Gianni Sherwood, ma non c’è stato verso di cavarne un ragno, e non ho rimediato che una nota di demerito per aver violato il nuovo protocollo che vieta a noi infermieri di interrogare i pazienti, anche se nessuno è riuscito ancora a spiegarmi quale sarebbe poi l’esatto confine tra una normale conversazione e un interrogatorio):
«È stato sufficiente che unissero le loro forze. A quanto pare, uno degli ultimi ricoverati nel giro di pochi giorni è riuscito a imporsi sugli altri pazienti, dopodiché lo scoppio della rivolta è stato solo questione di tempo. Le sbarre di ferro, i portoni, i cancelli del Padiglione Verde sono stati abbattuti come carte da gioco. Non è un segreto che molti malati siano dotati di una forza fisica prodigiosa, purché ci sia qualcuno in grado di indirizzarla.»
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“Tanto tempo fa, quando gli animali, le piante e persino le rocce sapevano ancora parlare, ad un papavero spuntarono due gambe sottili, tanto sottili che quasi non si distinguevano dalle radici, e comunque nessuno a quel tempo le avrebbe chiamate gambe, perché gli uomini non esistevano ancora, e gli esseri galleggiavano in un disordine fangoso e privo di nomi.”
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Lettera di Nita dalla quarantena di SHERWOOD®:
«La cosa peggiore era che non conoscevo nemmeno una parola della lingua dei miei aguzzini. Dopo tutte quelle ore di prigionia sulla piattaforma, continuamente respinta dal cordone di marinai e operai che si prendevano gioco di me e dei miei assalti, ero caduta in una specie di trance isterica, e anch’io a mia volta ridevo, come se quella situazione fosse un gioco e non una trappola. Era strano pensare che probabilmente sarei morta lì. Mi spintonavano con modi gentili, senza mai farmi male, proprio come se fosse solo un gioco, ma sapevo bene che non mi avrebbero mai liberato. Ridevo forte.»
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Un anno dopo, senza che nel frattempo si fossero mai rivisti, Rosahs ricevette una telefonata da Glaucho, che la invitava a cena da lui per quella sera. Rosahs non rispose. Glaucho confessò, reprimendo forse una risata, che in effetti l’idea d’invitarla era stata di un’amica comune. Rosahs la sentì lamentarsi attraverso la cornetta e sospirare ma Glaucho ma tu proprio con le donne non ci sai parlare. Rosahs taceva, come auscultando un messaggio in codice attraverso l’elettrostatica della cornetta. Rosahs? la chiamò Glaucho, Rosahs?
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(Continua il rapporto spgd n. 3)
«Non siamo ancora sicuri riguardo chi possa essere il responsabile della rivolta – non osiamo dire il capo ––qualsiasi passo verso l’ufficializzazione di una qualsiasi azione di un paziente sarebbe un irreparabile cedimento alla malattia ––– ma a quanto pare si tratta dello sconosciuto che è stato ricoverato quattro giorni fa. Non sappiamo nemmeno da dove venga. L’accento con cui parla ricorda forse lo spagnolo, ma nessuno di noi conosce a sufficienza la lingua per poter esserne certi. C’è già chi mormora che lo sconosciuto non fosse davvero malato, e che si sia fatto ricoverare di proposito, proprio per scatenare la rivolta dei pazienti. Ma chi farebbe qualcosa del genere senza essere a propria volta almeno un poco malato? A questo punto di solito interviene il nuovo direttore chiedendoci se esiste una qualsiasi azione che non richieda a chi la compie di essere almeno un pochino malato. Una qualsiasi azione, ci dice con occhi significativi. So che anche gli altri infermieri avrebbero voglia di alzare i ferri contro il direttore quando fa così.»
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Rosahs accettò.
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Il flusso raccolto dagli elettrodi del casco, che inizialmente ovvero nelle intenzioni dei primi tuttora (il che è tutto sommato inaudito, ma tant’è) ignoti programmatori del videogioco NITA™ doveva servire semplicemente a rendere il personaggio di Robin Hood (nonché naturalmente tutti gli altri personaggi della storia) conforme e, da un punto di vista linguistico-stilistico, concorde, per così dire, al/col giocatore che di volta in volta avrebbe utilizzato il videogioco SHERWOOD® (Interpolazione: DOTT. T–––Š B––––K: (parole pronunciate durante il processo in una, chiamiamola così, arringa non richiesta che in base al recente art. 3555 (29/7/20**) a regolamentazione della pubblicità spontanea/involontaria in luoghi pubblici è costata una pesante sanzione a T–––š B––––k, sanzione che tuttavia, a causa dell’impopolarità del summenzionato art. 3555, ha guadagnato a T–––š B––––k le simpatie di quella parte di pubblico, in effetti la pressoché totalità dei presenti se si tolgono le persone in qualche modo legate ai due tester/vittime, di quella parte di pubblico che non ha trovato nulla da obiettare né di cui indignarsi alla notizia che T–––š B––––k, una volta scoperti gli effetti dirompenti e in nessun modo previsti e, a quanto pare, in base a una qualche imperscrutabile legge dell’altrettanto imperscrutabile informatica quantistica, comunque fosse imprevedibili del sistema per la creazione linguistica automatica poi sviluppatosi in NITA™, una volta scoperti tali effetti che chiaramente indicavano che la sperimentazione di NITA™ avrebbe dovuto procedere secondo parametri medici o anche peggio, il dottor T–––š B––––k nonostante questa scoperta avesse deciso, evidentemente per poter continuare a testare / far testare il programma da/su umani e non, come prevederebbero i parametri di una rigorosa sperimentazione medica, da/su intelligenze artificiali prima (a questo proposito è stato rilevato come NITA™ non sembri in grado di estrarre un flusso creativo coerente da programmi gemelli, la frase più comprensibile e anche lontanamente interessante ottenuta tramite simili esperimenti essendo stata: “Cacare una cabeza nei regi uffici di Tangeri”) poi da/su animali (“microbi, vermi, insetti, crostacei, grandi crostacei, pesci, rettili… su su fino ai mammiferi, ai delfini, ai diciamo primati”) e solo alla fine, dopo un complesso iter preospedalier-zoolog-burocrat-ic-o, da/su esseri umani, il dottor T–––š B––––k nonostante tutto ciò avesse deliberatamente deciso di continuare a considerare anche la versione depotenziata ma pur sempre potenzialmente pericolosa DAIMON™ (dato che NITA™ era del tutto instabile e da questo punto di vista può essere considerata non tanto un processore per la creazione automatica – tale è stata, per buona parte del processo, la tesi della difesa – quanto piuttosto un autentico elettroshock creativo automatico, dato che a quando pare i flussi creativi decodificati dopo l’esposizione a NITA™, tralasciando le descrizioni di Nita (dd.d.N.), che ne erano una versione per così dire diluita, hanno prodotto testi che, sebbene quasi del tutto innocui per tutti gli altri, sono risultati affatto devastanti per la psiche delle persone stesse da cui sono stati estratti, ovvero completamente illeggibili per queste persone che pure ne erano in certo modo gli autori, ovvero leggibili (i testi prodotti) ma solo al prezzo di una irrimediabile compromissione del proprio equilibrio nervoso, “un po’ come se ciascuno portasse racchiuso nella propria testa un suo personale Necronomicon”, ha chiosato T–––š B––––k tirando non del tutto opportunamente in ballo la letteratura del terrore, “un Necronomicon interiore che NITA™ avrebbe l’inopportuna capacità di scovare e portare alla luce, come una sorta di specchio psichico convesso fino al fuoco; per ciascuno di noi esiste una certa sequenza di parole in grado di farci perdere istantaneamente la ragione, la melodia segreta per fare ciao ciao a virtute e canoscenza”; fatto sta che a quanto pare una nuova equipe, la cui composizione è strettamente top secret, sta attualmente cercando di catturare ovvero ricatturare NITA™ per scopi a quanto si dice militari ma che più verosimilmente riguarderanno la sicurezza interna e il controllo informatico/mentale) di considerare DAIMON™ come un giocattolo e non come un medicinale, in modo da poter proseguire con i suoi test/esperimenti con/su persone e, quel che è più importante, con/su bambini):
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Per tutta la cena il ragazzo rimase in silenzio e discosto, come la prima volta che s’erano incontrati, e ad un certo punto, riprendendo quei modi che allora a Rosahs avevano dato tanto sui nervi, si mise persino a tritare una marcetta tra i denti.
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“Staccatosi da terra il fiore si mise a vagabondare; ma camminava davvero, il papavero, o era forse il vento che l’aveva strappato da terra e lo trasportava di qua e di là? E se le sue radici non erano più sottoterra, forse voleva dire che il papavero vagabondo era morto? Chiunque cammina cammina perché è morto? Il papavero non poteva saperlo. Aveva la voce come quella di un bambino, le api gli volavano intorno alla testa e gli facevano il solletico.”
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(Continua il rspgd n. 3)
Il direttore del Padiglione Verde, intrappolato nel suo studio, è riuscito a mettersi in contatto con noi attraverso il circuito chiuso di telecamere. Le condizioni del suo studio sono spaventose, e lui stesso è stato truccato pesantemente dai pazienti con un appiccicosissimo impasto di farina, polpa di frutta e chissà che altro. Pensiamo che l’autore di quel disgustoso mascherone sia il paziente n. 342. Paziente 342. Sebbene sia stato internato molti anni fa, si può dire che anche il paziente 342, come il responsabile della rivolta, sia uno sconosciuto. Uno sconosciuto che tutti qui riconosciamo, però. Ecco che sto cominciando anch’io a filosofare, il direttore mi ha contagiato. Se una cosa è contagiosa, va sempre considerata una malattia?
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(Continua la lettera di Nita dalla qdS)
«C’erano anche delle donne insieme agli operai: avevano costumi tradizionali, di colore giallo scuro, e dopo un po’ sostituirono completamente gli uomini. Le donne si raccolsero in cerchio intorno a me, senza mai smettere di spintonarmi; mi lanciavano chicchi di riso.»
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Poi andarono davanti al televisore. L’amica prese in mano il telecomando e in silenzio prese a passare per un canale e per l’altro, finché Glaucho alzò una mano gridando ecco, ecco! questo canale, questo, no non questo, quello di prima, no, ma no, molla, molla ti dico, voglio quel canale di prima guarda che è casa mia qui, e i due quasi bisticciavano, con lui che diceva all’amica ma no, che fai, cretina? e lei che rispondeva ma Glaucho ma senti sei proprio ma come sei questa sera, cos’è che hai il nervoso? e lui cercava di pinzarle via il telecomando dalle mani tirandole i capelli da dietro per immobilizzarla, e l’amica offrendo la gola alla luce gelida dello schermo si divincolava contro la presa del ragazzo, ambedue furenti e grigi nella penombra elettrica. Rosahs pensò che i due volessero passare la notte insieme. Aspettava la fine della lite per alzarsi e ritornare a casa.
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“La tecnologia di DAIMON™ sta ai sistemi per la creazione linguistica automatica prodotti sin qui come i primi computer giocatori di scacchi stanno al finto giocatore meccanico di Maelzel. Prima di DAIMON™ i personaggi di un videogioco venivano concepiti come marionette. Mi si conceda di citare un mio studio giovanile nel quale sostengo che oggetti come i pupazzi per ventriloqui, le marionette, gli automi e altri giocattoli che ora non mi vengono in mente siano l’estrema propaggine di grossolane tecniche preistoriche per la rianimazione dei morti. Il buon Maelzel per la verità aveva costruito anche veri automi, delle specie di immani carillon, organi o orchestre a orologeria, e chissà che un domani applicando DAIMON™ alla materia grigia di un compositore, con adatte macchine decodificatrici non si riesca a tirarne fuori una qualche sinfonia quantistica, naturalmente una sinfonia il cui ascolto sarebbe irreparabilmente nocivo per il compositore stesso, una Necronomicon Symphonie, per così dire, tanto più che lo sanno tutti che Beethoven e Maelzel per qualche tempo hanno calpestato l’uno la segatura dell’altro, al circo, come diciamo culo e camicia––– ma sto divagando, e sto anche scherzando, nessuno qui sta seriamente lavorando a (…omissis…)”
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(Continua il rspgd n.3)
«Il paziente 342 è ossessionato da allucinazioni che riguardano una coppia di mugnai fantasma, e quasi ogni notte si sveglia gridando che delle invisibili macine lo stanno triturando. Appare evidente anche a noi semplici infermieri che con il mascherone applicato sul volto del direttore il paziente 342 abbia voluto prestare un corpo ad uno di quei terribili mugnai. Dato che le telecamere del circuito chiuso non hanno microfoni il direttore del Padiglione Verde ci può parlare solo a gesti, e evidentemente non può essere certo che noi lo vediamo; dalle sue smorfie e i suoi contorcimenti ci pare comunque di aver capito alcune cose; la prima, la più incresciosa, è il fatto che nel Padiglione Verde, col tempo, era invalsa l’abitudine di concedere ai pazienti più danarosi un’intera camera tutta per loro, cosa che ha portato al sovraffollamento delle altre camere.»
(Come un uomo mascherato da mugnaio con un impiastro appiccicoso possa gesticolare una cosa così complicata attraverso una telecamera sperando di essere compreso, non è dato sapere: è una delle cose che avrei voluto chiedere a Gianni Sherwood, avrei voluto vedere eseguita da lui la pantomima del direttore del suo racconto –– che il riserbo intorno ai racconti di Gianni Sherwood cui noi infermieri siamo costretti da parte della dirigenza sia legato alla paura che quei racconti possano contagiare l’aria stessa in cui vengono letti o ascoltati, che la rivolta passi dal manicomio allucinato da Gianni Sherwood al manicomio reale, di cui Gianni Sherwood è prigioniero?)
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Il programma che Glaucho voleva vedere era un documentario sugli animali del Nilo.
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“Passarono gli anni, e vennero gli umani, creati chissà quando chissà mai da chi, e tanto il papavero aveva vagabondato tra di loro che le due gambe così sottili erano diventate forti e robuste, così come le braccia e tutto il resto, e la voce non era più quella di un bambino, e non fosse stato per i petali e le api nessuno sarebbe stato capace di dire se quello era un uomo o un papavero. Il papavero ora parlava la lingua degli uomini e aveva sposato la figlia di un mugnaio, e aveva (ora gli animali, le piante e le pietre non parlano più, a parte certe volte quando il diavolo a cavallo di un raggio di luna scende con il suo violino e apre loro la bocca, allora capita anche di vedere tremare i papaveri, come se volessero strapparsi da terra, e questo si chiama inferno) avuto anche dei figli.”
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(Continua il rspgd n. 3)
«Attraverso lo schermo di sorveglianza, lo sguardo del direttore mugnaio sembra soggiungere che noi non siamo esenti dalle responsabilità, dato che ormai da dieci anni nessuno qui si preoccupa di dare anche solo un’occhiata a quello che sta succedendo nel Padiglione Verde, e in effetti il sentiero che collega il padiglione alla villa è ormai invaso da piante e erbacce, e i pazienti in rivolta hanno avuto buon gioco ad arrivare fin qui senza essere visti, nascosti nella vegetazione. Ammettiamolo, qui in villa avevamo tutti quanti dimenticato l’esistenza del Padiglione Verde – per non parlare del suo scopo.»
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(Continua la ldNdqdS)
«Gli uomini erano scesi sotto la piattaforma, e potevo sentirli cantare attraverso le lamiere. Poi il cerchio di donne si strinse intorno a me in modo tale che non potevo più andare da nessuna parte, bloccata da tutte quelle mani e quei volti tranquilli e implacabili; tuttavia non riuscivo a tener ferme le gambe, e così mi ridussi ad eseguire una specie danza fatta solo di corti e rapidissimi passetti sul posto. Una ragazza infilò un piede sotto i miei piedi che continuavano a pestare all’impazzata; non so; stavo calpestando il piede della ragazza, ma lei sembrava non sentire nulla, anzi, si sdraiò e, senza alcuno sforzo, alzò la gamba, con me che continuavo a danzare in quel modo inaudito sulla punta del suo piede sollevato. Sconvolta dalla stanchezza e da quello che mi stava accadendo, pensai che forse il mio peso, passando tanto rapidamente da un tacco all’altro, si era in qualche modo sospeso a mezz’aria senza più ricadere come la sfera in più dei giocolieri: ecco perché la ragazza riusciva a tenermi così sulla punta del piede.»
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Lunghe file di zebre o di bufali non più grandi di una formica cercavano di guadare il fiume mentre i coccodrilli occhieggiavano bianchi sorrisi dentati da sotto il pelo dell’acqua, e si vedevano anche le uova di coccodrillo, e i piccoli di coccodrillo alle prese con una ranocchia come un feto di bufalo colorato e piangente, e poi vennero le tigri e le loro tecniche di caccia, i cimiteri degli elefanti e le danze dei serpenti, i palazzi stregati degli uccelli, e le piste che da migliaia di primavere snodavano la loro fanfara di teste tagliate e fauci insaziabili. Dove l’erba è più verde, disse Glaucho a nessuno in particolare, rapito. Forse l’amica di Rosahs aveva anche lei pensato che quello di Glaucho fosse stato solo un gioco per prepararsi a fare l’amore, perché quando poi vide che Glaucho era davvero interessato alle immagini degli animali, facendo la distratta disse ma Glaucho ma guardi questi–– questa roba per bambini? e il ragazzo, cui la fosforescente mezza tenebra dava l’apparenza di una statua di pietra o di un frammento di luna esplosa, rispose sì, certo, gli animali mi piacciono molto.
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“Nei videogiochi (parlo dei vecchi videogiochi) si trattava semplicemente di dissimulare sempre di più i fili che reggono la marionetta, aumentandone la trasparenza e la sottigliezza, allungando a dismisura quei fili fino a creare l’illusione dell’infinito e dell’assenza, ma l’idea matrice, e cioè la resurrezione dei morti, quella era sempre la stessa. DAIMON™ no; DAIMON™ recide quei fili moltiplicandoli all’infinito, rendendoli talmente onnipresenti e diffusi da annullare, per così dire, la differenza tra ragnatela e paesaggio; è il Pinocchio ovvero l’anti-Pinocchio dei videogiochi (sì, certo, anche le marionette di Mangiafuoco sapevano parlare), con in più, o se si preferisce in meno, l’assenza di qualsiasi desiderio di diventare vero, e questo non tanto perché la realtà ossia la verità non siano più o non siano mai state qualcosa di desiderabile, ma più semplicemente perché al livello cui siamo arrivati parole come “reale” o “vero” non significano più nulla. Diventa perciò un bambino “vero” non già perdendo i fili, ma facendo sì che quei fili siano ovunque, che siano l’aria stessa che respiriamo”. ––– Fine dell’interpolazione.):
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(Continua il rspgd n. 3)
«Lo Spagnolo (ormai il 342 lo chiamiamo così) si era presentato, al momento del ricovero, con almeno una decina di paia di occhiali da sole, quasi tutti sistemati uno sopra l’altro sulla testa a formare una sorta di corazza da testuggine o da pesce (a pensarci ora, è stranissimo che nessuno dei medici abbia mai prestato adeguata attenzione al fatto che lo Spagnolo si sia fatto ricoverare di propria spontanea volontà: lo sanno tutti che chi si dichiara malato prima ancora di essere stato visitato può essere un soggetto estremamente pericoloso; queste malattie non sono mica come un raffreddore che viene e che va; non sono nemmeno come la peste o il vaiolo, se è per questo –– ma forse no, forse queste sono cose che sappiamo solo noi infermieri, non i dottori, gli alti studi, e non lo dico per invidia ma lo dico perché l’ho notato sui medici e più ancora sul direttore, gli alti studi a volte finiscono, e forse sono persino fin dall’inizio stati concepiti, finiscono per strappare per così dire gli occhi ai loro stessi adepti, stràppati un occhio e gettalo nell’abisso: è Dio stesso a ordinarlo, non è la fantasia di un infermiere col dente avvelenato).»
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Così, eh? rispose l’amica nascondendo il broncio contro il divano, così gli animali ti piacciono molto. E finì per addormentarsi davanti al televisore acceso, mentre Rosahs semplicemente si rannicchiò a propria volta sul sofà e chiuse gli occhi dicendosi ecco, dormirò un po’ o fingerò di dormire, poi me ne andrò. Serrando quasi del tutto le palpebre, la casa sembrava fatta di carne, e il televisore un livido o un’unghia infetta. Un po’ come un incubo ad occhi aperti. Gli occhi infatti non smettono mai di vedere, anche quando li chiudi. L’unico modo per non vedere è strapparseli. Fin da bambina Rosahs era terrorizzata da questo pensiero, chiamiamolo così.
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(Continua la ldNdqdS)
«Come se volesse farmi capire quello che stava succedendo, una donna avvicinò la sua faccia contro la mia (aveva un alito che sapeva di aglio) e disegnò nell’aria la forma di una scarpa. Da sotto, come da molto lontano, sentivo sempre il canto degli uomini. Dalla punta del piede passai su un cembalo, tenuto in mano da una delle donne più anziane; anche lei mi tenne così, sospesa sul cembalo, senza alcuno sforzo; il cembalo suonava sotto i colpi dei miei piedi, e questo era tutto: la donna teneva il braccio teso davanti a sé, come se indicasse l’orizzonte; teneva in mano il cembalo, e io stavo danzando in piedi su di esso facendolo frinire.»
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“Di giorno lavorava sodo al mulino, ma a volte, la notte, e negli ultimi tempi sempre di più, il papavero guardava la luna e sentiva come suonare un violino, e gli tornava la voglia di vagabondare insieme alle api. Guardava allora i suoi verdi artigli che di solito teneva nascosti dentro le scarpe, e carezzava senza amore i suoi figli addormentati (il non amore dei fiori e di tutte le cose belle) e canticchiava addio, addio, addio. Poi venne la carestia, e anche al mulino del papavero morivano di fame. Il vecchio mugnaio, il padre della moglie del papavero, restava ore seduto davanti alle macine e agli ingranaggi immobili dentro il mulino, immobile come un ragno nel suo angolino, fissando il muro bianco davanti a sé con quattro occhi neri, aspettando ogni giorno che la notte venisse a cancellare tutto. Ma ogni volta il sole tornava a strisciare attraverso le finestre e tra dente e dente delle pale del mulino, e se il vecchio mugnaio avesse saputo le parole per obbligare la notte a restare per sempre e strappare il sole dal cielo, le avrebbe pronunciate.”
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(Continua il rspgd n. 3)
A quanto pare (il Mugnaio ce l’ha mimato mettendosi le mani davanti agli occhi) lo Spagnolo ha distribuito gli occhiali da sole che aveva sopra la testa ad alcuni tra i pazienti più aggressivi, creando così una specie di gerarchia tra i rivoltosi a seconda del modello degli occhiali o, su questo punto non siamo ancora riusciti a fare chiarezza, sul colore delle lenti. La seconda cosa che ci pare di aver capito (ma forse è stata la nostra paura a farci interpretare i segni del Mugnaio nel modo peggiore possibile–– ah, chissà cosa direbbe se sentisse che adesso lo chiamiamo Mugnaio e non più Direttore) è che la folla di ricoverati guidata dallo Spagnolo intende salire ai piani superiori della villa e fare irruzione nella camera della direttrice.»
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Gli scienziati brindavano al successo dell’esperimento usando fiale e alambicchi al posto dei calici. Masticare transistor. Forse aveva davvero dormito qualche minuto, ma era certa di essere sveglia quando Glaucho, che era mezzo sdraiato sul tappeto, aveva cominciato ad avvicinarsi a lei. Glaucho si avvicinò piano piano a Rosahs (“come un coccodrillo del Nilo”, pensò lei furente, pronta a fargli lo scherzo di allungare all’improvviso un piede come nel sonno, per colpirlo in faccia), e allungò una mano verso la parte che Rosahs senza volere esibiva, così rannicchiata sui cuscini.
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il flusso prodotto dagli elettrodi del casco e raccolto dalle “macchine della verità” (nome per la vendita: SCRIBA™ secondo i piani originari di T–––š B––––k, piani che dopotutto non c’è motivo per giudicare definitivamente accantonati) veniva decodificato secondo incomprensibili (almeno per i profani) codici di crittografia quantica e infine “ritradotto” attraverso un’ulteriore matrice in dettagli ovvero vezzi linguistici che poi venivano ridistribuiti tra i vari profili dei personaggi in modo che il mondo virtuale e temporaneo del videogioco offrisse al giocatore un panorama il più possibile corrispondente (pur rispettando i parametri di elevata avventurosità che, corrispondenza o non corrispondenza, devono comunque caratterizzare ogni gioco in modo da differenziarlo dalla vita) alla “stilistica-narratologica” ovvero, secondo una terminologia più antiquata, alla psiche del giocatore.
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Come un incubo ad occhi aperti.
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(Continua il rspgD n. 3)
«Da moltissimo tempo, la direttrice non esce mai dalla sua stanza. Per un certo periodo si era letteralmente barricata là dentro, in silenzio totale, tanto che, non fosse stato per il cibo che veniva regolarmente consumato, avremmo sospettato il peggio. Chiusa nella sua stanza, la direttrice si è abituata a comunicare con noi attraverso la finestra, non a parole ma con i movimenti della mano, perciò col tempo si sono istituiti dei turni non ufficiali per uscire fuori sulla veranda e intercettare e decifrare le comunicazioni della direttrice. Più che di ordini si tratta di lamentele sull’andamento generale dell’istituto, perciò non sempre chi è incaricato va davvero a raccogliere le comunicazioni, del resto non ci è mai stato richiesto esplicitamente, e da quando la rivolta è iniziata nessuno esce più sulla veranda, per paura dei pazienti. Usiamo a volte degli specchi attaccati a un bastone, giusto per vedere la bianca mano della direttrice fare cucù dalla finestra, ma anche così non siamo sicuri di interpretare correttamente i suoi messaggi, tanto più che attraverso lo specchio i gesti ci arrivano capovolti. Non è facile come sembra – sempre che poi lo sembri.»
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Rosahs non si mosse.
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“A volte il mugnaio padre strappava dal corpo del papavero dei petali, degli steli, ma il papavero non aveva più nemmeno lui le forze per gridare. Restava lì, fatto a pezzi dal mugnaio, calpestato dai gatti e dai merli, vomitando una specie di icore e aspettando che tornasse alta la notte.”
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“…come un coccodrillo del Nilo, anch’io.”
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(Continua il rspgD n. 3)
«La rivolta, come si può immaginare, non procede come una comune rivolta; i pazienti hanno praticamente distrutto il Padiglione Verde e ormai tengono d’assedio la villa, ma non hanno l’aria furiosa che dovrebbero avere dei rivoltosi o, come ultimamente li stiamo chiamando, degli ammutinati. Per la gran parte del tempo vagano intorno al giardino, raccolgono la frutta, scavano buche per terra, inseguono i gatti e gli uccelli. Hanno ucciso i pavoni della direttrice. Hanno l’aria assorta, e sono tutti molto pallidi per la prolungata reclusione, e appaiono come mollicci per via dei continui bagni cui li sottoponevano nel Padiglione Verde. Lumaconi sbarellati, altro che. Ultimamente, alcuni di loro entrano nella villa, osservano gli oggetti, ribaltano i libri, ma più di questo non fanno; non sembra abbiano cattive intenzioni verso di noi, probabilmente perché non ci hanno mai visto in faccia. La nostra negligenza ci ha salvato.»
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Rosahs pensava ecco, ora fingo di svegliarmi, oppure ecco, ora mi tiro su e faccio una scena, gli mordo la faccia a sangue. Invece continuò a stare ferma e a respirare regolarmente, come aspettando che la rabbia diventasse impossibile da controllare, mentre le dita di Glaucho indugiavano contro il calore. Rosahs pensava ecco, se fossi sveglia (qualunque cosa potesse significare in quel momento per lei “se fossi sveglia”), o se qualcuno sorprendesse Glaucho in questa posizione, certo sembrerebbe la più sconcia e volgare delle carezze, con lui ai piedi del divano, la mano allungata così intanto che dormo; o poteva anche svegliarsi l’altra, che veramente dormiva (o forse no? Rosahs avrebbe quasi voluto darle di gomito nei fianchi abbandonati, per controllare, o per ridere di Glaucho con lei); l’amica avrebbe potuto svegliarsi e offendersi con Glaucho, con Rosahs stessa. E l’amante morto? Ecco, forse Rosahs voleva vendicarsi di quel che passava ovvero che era passato tra i due ragazzi? e dire all’amante morto vedi? ecco il tuo amico Glaucho che mi tocca mentre dormo e mentre tu sei morto: ecco il tuo avorio africano: ecco, ecco, ecco: marameo, marameo poiché sei morto.
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(Continua la ldNdqdS)
« Continuavo a danzare perché sapevo che nel momento in cui avessi smesso, il mio peso avrebbe schiacciato il cembalo e rotto il braccio della donna che mi teneva in quell’equilibrio precario e illogico.»
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Non accadde niente.
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“Un giorno passò di lì un vecchio assai malridotto, e il mugnaio papavero gli diede una moneta d’oro, l’ultima che gli era rimasta. “Quel che avete donato, il Signore ve lo renderà cento volte” disse il vecchio. Il papavero vide che il vecchio teneva in mano un violino tutto rotto, e chiese al violinista di cantare una canzone, e il violinista cantò…”
Anche la Truut qui si metteva a cantare dondolando sopra di lui i capelli grigi che sapevano di fiori morti, e quando il violinista cantava era sempre il momento in cui lui cominciava a perdere conoscenza e a mescolare la storia del papavero con la propria, fino a che le sue stesse viscere non erano più che tanti fili d’erba strappati e ingarbugliati da un turbine stanco e distratto.
“––partire alla ricerca del Signore, per avere così indietro le sue cento monete d’oro e salvare la famiglia che moriva di fame.”
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(Continua il rspgD n. 3)
«A quanto pare, il nostro cuoco esercita sugli Ammutinati un certo tipo di autorità: quando lo vedono si allontanano subito borbottando “polizia, polizia”, tanto che da un po’ di tempo anche noi abbiamo preso a chiamare il cuoco il Poliziotto. Nessuno ha più visto lo Spagnolo. È probabile che abbia stabilito il proprio quartier generale nel Padiglione Verde; d’altro canto, nessuno di noi l’ha visto bene, quindi potrebbe anche essere tra i rivoltosi che passeggiano nel giardino facendo a pezzi i pavoni e i pappagalli, e che noi non lo vediamo semplicemente perché non siamo in grado di riconoscerlo. In effetti, siamo sicuri solo del fatto che deve avere circa sessant’anni, e che è molto piccolo di statura. Tutti i rivoltosi che indossano occhiali da sole, però, sono giovani e di corporatura molto robusta. I ragazzi della ganga dello Spagnolo li chiamiamo appunto Occhiali. Recentemente abbiamo scoperto che è abbastanza semplice confondersi con gli Ammutinati: è sufficiente unirsi a una delle file che percorrono i corridoi della villa, cercare di muoversi come loro, magari sbattere di qua e di là un pavone morto, e il gioco è fatto; certo non tutti tra i residenti della villa hanno abbastanza sangue freddo per intrufolarsi, soprattutto per paura degli Occhiali. Il primo a infiltrarsi è stato ovviamente il Poliziotto, sfruttando il proprio misterioso ascendente sugli Ammutinati. Così facendo siamo riusciti a scoprire alcune delle abitudini degli Ammutinati; per non destare sospetti (sempre che un malato possa nutrire sospetti) siamo stati costretti a cibarci anche noi della carne di pavone, e così i membri del personale dell’Istituto che di quando in quando fanno delle escursioni presso gli Ammutinati vengono chiamati i Mangiapavoni.»
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A quanto pare, ovvero giusta una delle tante chiamiamole così spiegazioni messe avanti da T–––š B––––k durante il processo, è in un qualche difetto nel casco per la raccolta dei dati linguistico-stilistici del giocatore che va ricercata la prima causa dell’insorgere di NITA™ (sembra che un certo gruppo di elettrodi avesse la tendenza a raccogliere i dettagli stilistico-narrativi in diagrammi organici e autosufficienti, “quanto di più vicino ad un’autentica intelligenza artificiale si sia prodotto sinora”, ha detto T–––š B––––k, “ovvero una intelligenza autonoma la cui essenza insista in una esasperazione e in una diciamo spavalda suppurazione dell’artificialità stessa, anziché nella pedissequa imitazione dell’intelligenza come la intendiamo noi”) ed è quindi anche intorno alla conformazione del casco prima e del gruppo di elettrodi poi che si è svolto uno dei duelli centrali del processo.
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(Continua la ldNdqdS)
« La donna iniziò a ruotare il cembalo, ed io facevo mille sforzi per restare in equilibrio, come i boscaioli canadesi che attraversano i fiumi correndo all’indietro sui tronchi che galleggiano. Mi piaceva il suono che faceva. Mi faceva venire in mente uno spettacolo di marionette di latta che avevo visto da bambina, in Africa.»
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(Continua il rspgD n. 3)
«Il nostro timore più grande è, in fondo, che la rivolta dello Spagnolo si sia già conclusa in questo modo, con la creazione di un giardino maledetto in cui i nomi veri sono scomparsi e sono stati sostituiti da queste strane cariche, gli Ammutinati, il Poliziotto, il Mugnaio, i Mangiapavoni, lo Spagnolo stesso, e i suoi Occhiali. I nomi sprigionati dalla rivolta si moltiplicano, come parassiti. L’Istituto ora si chiama Giardino dei Pavoni Morti. Forse quando anche la direttrice avrà ricevuto un nuovo nome, la rivolta dello Spagnolo sarà completa, e il suo nuovo ordine diventerà definitivo. Ecco perché nessuno dei pazienti sale nelle stanze del secondo piano, dove vive la direttrice con i suoi segnali. Per ribaltare l’ordine non occorre fare irruzione nelle stanze del potere, gli spargimenti di sangue sono inutili. Sarà sufficiente convincere tutti quanti che quelle stanze non sono altro che Latrine, e che chi agita la mano fuori dalla finestra è solamente una vecchia Sguattera.»
(Fine del rspgD n. 3)
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Rosahs non riusciva a capire, e avrebbe voluto addormentarsi per davvero, e lasciare che la mano del ragazzo non fosse più che l’insensibile chela di un granchio, e lei stessa uno scoglio notturno. Ma ecco, accarezzata così come dagli avvoltoi il corpo di un caduto (ritmico sisma lungo la carne del cadavere frugato dai becchi assetati), Rosahs non sentiva veramente di starsi vendicando, né di stare tradendo l’amante morto. Piuttosto se proprio doveva (devo? pensava Rosahs) mettere quel che lei stava lasciando accadere davanti alla morte dell’amante, mentre ora Glaucho, reso più audace dalla finta profondità del sonno di lei, la sfiorava sull’unico lembo di pelle nuda (le caviglie – e l’avrebbe stretta e trascinata via tirandola per i piedi come gli spettri delle fiabe?) o mentre, forse rinunciando a baciare quella pelle, posava le labbra sul minuscolo calcagno di Rosahs coperto da un calzino nero, o infine mentre allungandosi come un cane randagio spaventato e cattivo cercava magari un nuovo punto scoperto dove azzannarla, Rosahs vedeva chiaramente e senza vergogna, ovvero per la prima volta, che ciò che è vivo trova la propria definitiva e più crudele vittoria su ciò che è morto non con l’energia di una lotta o di uno slancio improvviso e aspro, bensì con la stanchezza e l’inerzia, come se la vita, avanzandosi in tutto il proprio traballante squallore, trionfasse della morte dicendole ecco, di tanto io sono più ricca e forte di te che posso persino prendermi il lusso di mostrarti quanto possa essere più inerte e più stanca di te, più morta della morte stessa.
Da fuori saliva il sospiro desolato della città.
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Gli uomini cantavano.
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“Prese le sue cose (le povere semplici inimmaginabili cose dei papaveri) e partì.”
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I Mangiapavoni! Uno di questi giorni devo mettermi con calma, radunare nella sala grande tutti i pazienti e fargli recitare a turno tutte quante le parti, i Mangiapavoni, il Poliziotto, il Mugnaio, la Sguattera… Tutti dovranno recitare tutte le parti, anche Gianni Sherwood, e vedremo se non salterà fuori qualcosa. Tanto ormai il direttore cosa vuoi che mi faccia, così impiastricciato…
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(Continua la ldNdqdS)
«Poi la donna si sporse oltre il parapetto. Tutte le altre mi lanciavano dei chicchi di riso; a volte passavano dei gabbiani e prendevano i chicchi al volo. Gli uomini cantavano. Pensai che prima di essere gettata in mare avrei voluto provare ad eseguire quella danza sopra dei gusci d’uovo senza romperli. Lontano, in basso, sotto il cembalo che continuava a vibrare sotto i colpi dei miei tacchi, potevo vedere le spume delle onde, come tanti enormi sorrisi.»
(Fine della ldNdqdS)
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“Al di là di quella che sarà la sentenza finale per le attuali imputazioni a T–––š B––––k e alla fabbrica di giocattoli – così, con sobrietà retorica e un tantino supponente, l’accusa – l’incidente con NITA™ obbligherà (tale almeno è il giudizio della maggior parte dei commentatori) obbligherà e anzi obbliga positivamente la comunità medica a riformulare per intero il concetto di “farmaco”: se, come pare sia vero, ai tester/vittime non sono state fatte assumere sostanze di sorta prima dei test/esperimenti, tuttavia è innegabile che l’esposizione al gioco è equivalsa in tutto e per tutto ad un’intossicazione; in nessun modo l’utilizzo di NITA™ può dunque essere considerato, con buona pace della difesa, “puramente linguistico-narrativo” né tantomeno ludico, quanto piuttosto “farmacologicamente linguistico” o “farmacologicamente narrativo”, per quanto ridicole o persino illogiche possano apparire tali formule, e uno dei compiti più urgenti del legislatore sarà senz’altro quello di emettere una regolamentazione esauriente per queste sperimentazioni farmacolinguistiche o, se proprio si vuole concedere qualcosa a T–––š B––––k, farmacoludiche, e, prima di arrivare ad una tale regolamentazione, interrompere immediatamente gli esperimenti/test che T–––š B––––k e la fabbrica di giocattoli stanno conducendo in questo preciso momento con DAIMON™ sotto la speciosa giustificazione del depotenziamento e della conseguente messa sotto controllo di NITA™.”
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Un incubo ad occhi aperti.
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“Io sono Dio” disse il vecchione mentre il vascello dei pirati iniziava a dondolare sopra le tende e le baracche del lunapark. Il vecchione sorrideva e gli occhi gli ballavano come quelli dei pupazzi messicani. Si muoveva con molta fatica, almeno così sembrò al mugnaio papavero (o forse il fatto era che gli sembrava che Dio dovesse muoversi così, con fatica), come se il suo corpo non fosse fatto di carne ma di zolle di terra che franano le une sopra le altre. Di terra mandava anche un odore, e al mugnaio parve anche di vedere dei minuscoli germogli verdi nella trasparenza dei suoi grandi occhi messicani, o forse vermi. I grandi occhi di Dio… da quanto tempo il papavero li stava guardando? già gli pareva di vedere nel nero delle pupille galleggiare enormi gabbiani (si chiamano albatros perché sembrano fatti di pietra), le stelle sopra il Mare Artico (ma lui non sapeva che lo fosse) e gli iceberg dove passeggiano i pinguini come maggiordomi all’inferno, e più lontano, dall’altra parte del mondo, il giorno già pieno, e la foresta amazzonica con serpenti come radici di alberi. Il mugnaio si tirò indietro giusto in tempo prima di venire risucchiato per sempre negli occhi di Dio. Si chiese se quello che aveva visto fosse il Paradiso, ed ebbe paura, ma lo salvò il pensiero delle cento monete d’oro, le cento monete d’oro che voleva avere da Dio.
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Più morta della morte stessa.
[continua il 22 giugno]
Nota: alcune sezioni di questa puntata sono a suo tempo uscite, in altra forma e sotto altro nome, presso la rivista «Nuova Prosa» diretta da Luigi Grazioli.