Forse perché si sviluppa a partire dalla Sala dei Giocolieri, il ventaglio di figure dipinte che copre le pareti del castello di Torrechiara, squadrato e regolare dal di fuori, infestato da incubi dentro, come il viso più tranquillo dietro il quale può celarsi un abisso, è incentrato sul motivo dell’equilibrio.
Acrobati inanellati, trapezisti in volo, ballerine dalla chioma serpentina, o animali alati, o piante rampicanti, che sfuggono dai tralicci, o pesci sospesi all’amo, si rincorrono lungo i muri di stanze che portano i nomi delle fasi del giorno, dal Vespro all’Aurora, fino al trionfo nella Camera d’Oro, termine dell’horror vacui. Una moltitudine di creature funamboliche che sfida la gravità, aprendo un movimento verso l’alto, un’intera impalcatura che sta in piedi per un soffio. Grottesche, metà demoni metà umane, affidano al motivo figurale della bilancia l’espressione del loro destino. Ma l’equilibrio è precario: la bilancia ha perso un piatto, la corda è spezzata. E ben conosce chiunque abbia a cuore un nato in Bilancia la fatica del continuo allineamento, di chi finge una posa immutabile pur sapendo che è tutto in gioco. A Torrechiara si risolve nella levità. Il Baglione a quelle figure impresse la grazia di chi è senza peso perché al peso ha rinunciato. Non la leggerezza Simone Weil contrapponeva alla pesantezza, ma la luce. Fu il sogno realizzato da Raffaello: calarsi negli antri più oscuri della Domus Aurea, nella psiche del più folle re di Roma, per liberare e tradurre in pittura le sagome infernali che ne adornavano le mura. E «grottesche» Montaigne chiamò i suoi saggi dalla linea sinuosa. Natura deforme di ogni pensiero, che nasce per necessità ma si plasma sempre a contatto con l’alea; così non alla sola intenzione può esserne affidata l’espressione ma al libero movimento del caso. Forse per questo Guido Cavalcanti considerava le sue poesie degli spiritelli, che immaginava aleggiare nell’aria. E i loro giochi descrivere un’architettura instabile, da cui in ogni momento può staccarsi l’architrave, la parola che non tiene.
[Le immagini sono fotografie dielle decorazioni a grottesche di Cesare Baglione (1525-1590 circa, Castello di Torrechiara, Parma]