Può essere interessante leggere Teoria della prosa (Wojtek edizioni) per tre motivi tra loro intrecciati: le riflessioni sulla forma nuovelle, l’approccio o l’approfondimento dell’opera di Juan Carlos Onetti, infine la luce riflessa sull’autore di queste nove lezioni datate 28 agosto-13 novembre 1995, ovvero Ricardo Piglia. Problema iniziale del discorso riguarda lo specifico formale e tematico che differenzia, al di là della quantità di pagine, la nuovelle (o romanzo breve) dal racconto e dal romanzo e che si avvale dei contributi dichiarati di Gilles Deleuze e Félix Guattari (Tre novelle o che cosa è accaduto?), Viktor Šklovskij (La novella dei misteri), Eric Auerbach (La tecnica di composizione della novella). La nuovelle, genere piuttosto sfuggente e perciò indigesto al mercato librario, ha al proprio centro il segreto, ovvero “ciò che è eliso e che qualcuno sottrae alla trama, qualcosa che non si conosce ma che agisce permanentemente nella storia”. Non però su un enigma da svelare secondo le coordinate del racconto poliziesco stabilite da Poe, ma su uno spazio tanto vuoto quanto dinamico attorno al quale ci si arrovella all’insegna di un’ambiguità esemplificata da Henry James. Per dirla altrimenti “il racconto si chiede cosa accadrà”, la nuovelle “cosa è accaduto”. Il finale dunque rimane sospeso ed incerto, a partire dalla conoscenza dei personaggi e dei loro rapporti; se comunemente si dice che di un personaggio del grande romanzo realista otto-novecentesco spesso si conosce tutto (atti, motivazioni, psicologia e pure, con Molly Bloom, l’inconscio) e più a fondo rispetto a una persona che vive accanto a noi, con il romanzo breve si torna allo sguardo torbido della quotidianità.
Ma in che modo viene operata tale opacizzazione? Per esempio sovrapponendo due storie parallele o divergenti, facendone scaturire una dall’altra che la contraddice, smentendo la superficie del reale con una seconda versione morsa da una “logica più profonda”, tuttavia senza una facile decidibilità tra realtà e finzione. La trama, per dirla con Pirandello, non conclude, e il lettore con essa. Ciò grazie all’inattendibilità di un narratore solitamente in prima persona che tesse tale trama. O alla presentazione di versioni differenti di più narratori o testimoni, all’inserimento di narratori secondi in cornice come in Conrad, giovandosi della ristrettezza del punto di vista jamesiano. Non a caso i protagonisti sono di frequente adolescenti o para-adolescenti in piena mutazione, deliranti d’immaginario, aperti al possibile come “epica del soggetto”. E le storie allora, quasi per necessità, assumono piegature improbabili, sfiorano la follia e il fantastico. E qui di nuovo soccorre la tradizione di James (si pensi soprattutto a Giro di vite), Faulkner, o gli scrittori del Rio della Plata tra anni Quaranta e Sessanta, come il Borges maturo, Silvina Ocampo del Il sosia (stranamente non citato da Piglia), fino a Roberto Arlt, autore de I sette pazzi e maestro di Onetti. Si riporta infatti l’aneddoto del giovane uruguaiano che si reca alla sede di El Mundo, dove lavora come giornalista il secondo, e gli lascia il proprio manoscritto; Arlt non lo legge ma dichiara che si tratta del miglior libro scritto in quell’anno a Benos Aires.
Veniamo adesso ad Onetti, che rappresenta la puntuale delucidazione della teoria della nuovelle presente in tutte le lezioni. È inutile in questa sede ripercorrere le lunghe verifiche di Piglia sui testi, ma il consiglio è di procurarsi la produzione di Onetti e in partcolare, dribblando racconti e romanzi, proprio le nuovelle che sono le cose più riuscite e caratteristiche tra il 1939 (Il pozzo) e gli anni Sessanta (Il volto della disgrazia). Così personalmente ho fatto, giovandomi delle recenti edizioni Sur e scoprendo uno scrittore coerente e quasi ossessivo, composto e inquietante. Solo qualche accenno agli elementi già citati. Ne Il pozzo l’incontro del giovane protagonista con Ana Maria “la notte del 31 dicembre in una capanna nei dintorni della casa, si trasforma in una scena, in un universo immaginario e segreto”, ovvero una capanna di tronchi in Alaska dove si trasferisce la narrazione. La ricorrente figura di Jorge Malabia, studente ricco e accidioso che diventa per spregio e sprezzatura un pappone; il funerale di una sconosciuta che vede la presenza di un ragazzo con un capro zoppo alla cavezza e sulla cui vita si scatenano retrospettivamente incongruenti e confuse ricostruzioni.
Qualcosa di più avevo letto di Ricardo Piglia, fatto che mi aveva spinto verso queste sue lezioni, le quali rappresentano anche con tutta evidenza, oltre a una teorizzazione di genere e un’analisi delle opere di Onetti, una preziosa guida per i suoi romanzi. Tanto più che in Critica e finzione (Mimesis 2018) metteva in primo piano lo scrittore come critico, dato che “non esiste spazio letterario puro”, specie per l’onnivora vocazione del romanzo. Le lezioni servono per capire meglio la costruzione narrativa dello stesso Piglia attorno al segreto e attraverso il gioco dei punti di vista, ai personaggi giovani, indolenti e ribelli, o insondabili nei loro gesti. Anche in questo caso solo qualche accenno: Respirazione artificiale (1980), uno dei romanzi polizieschi con protagonista lo scrittore Emilio Renzi (secondo cognome dell’autore stesso e personaggio ricorrente), dove troviamo un’esemplare quête retrospettiva sul segreto di famiglia dello zio; ricordando che Piglia è stato direttore della Serie Negra e, secondo Alfonso Berrdinelli, “insiste sulla letteratura-critica come detection e su un uso impegnato, alto, intellettualistico del noir”.