L’attività principale che rileviamo nella GIPSI è l’incessante narrazione delle proprie storie di vita. Indifferentemente per entrambi i sessi, questo comportamento definito soprattutto femminile, occupa gran parte del tempo dei ritrovi GIPSI. In modo significativo più del discorso intellettuale o politico pretto che vedremo costantemente alluso, citato, ironizzato; ridotto semmai a grammatica o tapis roulant del discorso. Narrarsi vicendevolmente le proprie storie di vita significa anzitutto la ricerca di un fondamento nel passato, anche recentissimo. E proiezione verso un qualche futuro, seppure incerto (qui viene recuperata, certo soltanto a livello individuale, la dimensione politica del progetto). Tuttavia questa necessità di sentirsi ripetere dai sodali segnala perlomeno il bisogno di cementificazione di un io individuale e poi subito di una micromemoria collettiva. Qualcosa resterà dopo le manipolazioni decostruttive che comunque sbeffeggiano il passato e le prospettive di cambiamento cui si aspira? Un erotismo diffuso e narcisistico forse, nato per frizione del gran parlare, come nelle jam sessions, nelle cronache sportive della Gialappa’s, nella radio notturna con gli ascoltatori. L’identità narrata nasce sempre dalla contrapposizione con altri percorsi generazionali paralleli di conoscenti visti ogni tanto o persi per strada. Perché comunque portati da un qualche movimento, laddove la GIPSI è sostanzialmente stanziale nella provincia, ma nomade nel pensiero. Contrappone cioè consapevolezza a cieco movimento. E naturalmente una testualità orale che si vuole profondamente diversa dal contesto provinciale in cui s’incista.
La GIPSI non trova apprezzamento nelle soggettività che la circondano e da parte sua non apprezza quelle soggettività: ciò fa sì che il discorso torni sempre sulla propria diversità, mitizzandola.
In quegli anni, specie ad uso di selezione del personale, girava molto l’Analisi transazionale, una corrente della psicologia sociale, fondata negli anni Cinquanta da Eric Berne e di seguito assai volgarizzata, che prende il proprio nome dalla transazione, ovvero l’unità del rapporto sociale, qualsiasi tipo di scambio tra individui che comporta un riconoscimento. Nella transazione è facile notare che gli individui mutano atteggiamento, punto di vista, vocabolario, voce. Di qui la distinzione di tre stati dell’io (separati ma compresenti, spesso contrastanti, scrive Thomas A. Harris) che si manifestano di volta in volta nelle relazioni sociali, definiti 1 Genitore, 2 Bambino, 3 Adulto. 1 È lo stato che ricorda la figura genitoriale sotto forma di atteggiamenti, pensieri etc. introiettati. Ha funzione normativa, di sostegno, di economicità rispetto alle singole decisioni. 2 È lo stato archeologico dell’infanzia, in cui risiede l’intuizione, la creatività, la capacità di godere, nonché la supremazia dei sentimenti immediati. 3 È lo stato rivolto alla valutazione obiettiva della realtà, in cui stimoli diventano informazioni elaborate sulla base di esperienze precedenti.
Col termine “copione” si intende un piano inconsapevole di vita che ciascuno comincia a scrivere fin dalla nascita, in rapporto transazionale coi genitori e l’ambiente via via più allargato dal punto di vista sociale e culturale. Questa scrittura inconsapevole prevede una “parte” per sé e per gli altri (scelte di comportamento, selezione delle persone ritenute più produttive o gratificanti) e tende a ripetersi nel corso della vita adulta. Possiamo schematizzare le principali posizioni esistenziali dell’AT rispetto al copione: 1 Io sono ok, Tu non sei ok. 2 Io non sono ok, Tu sei ok. 3 Io non sono ok tu non sei ok. 4 Io sono ok, Tu sei ok. 1 È l’atteggiamento del G, che possiede i codici di comportamento e tende ad imporli all’altro percepito come inadeguato. A ciò corrispondono determinate caratteristiche fisiche e di linguaggio verbale e non verbale fortemente assertivo e giudicante (indice puntato, sospiro, “una volta per tutte”, “dovresti”, “sempre” etc.). 2 È l’atteggiamento del B che, indifeso e dipendente, trova la propria valutazione in quelle date dagli altri. Le caratteristiche fisiche e verbali segnalano emozioni incontrollate (stizza, voce acuta, espressioni rivolte al desiderio o incerte etc.). Fermiamoci a queste due posture, dato che la terza è propria all’adolescente, mentre la quarta, di accettazione di sé e degli altri, caratterizzata da posizione d’ascolto e misura, a una predisposizione all’analisi equilibrata dei problemi, basata sul confronto e sulle opinioni, non appartiene per nulla ai soggetti che andiamo studiando. Proviamo a portare queste categorie dalla psicologia all’antropologia GIPSI attraverso la mediazione della letteratura.
Una dialettica serrata su base Genitoriale si vive all’interno della Recherche. Libro, sia detto per inciso, quanto mai GIPSI nella sua maniacale riviviscenza narrativa del passato. La classe borghese dei Verdurin non si limita a una notevole forza economica, che in tanti romanzi veristi fino al Gattopardo costringe la nobiltà declinante al compromesso matrimoniale, ma va alla contesa valoriale. Se i Guermantes ricevendo questo o quello, accettando o rifiutando un invito attraverso i sapidi giudizi di Oriane, esercitano il secolare diritto Genitoriale del sangue, madame Verdurin, al di là dei miseri risultati, fonda le sue pretese di circolo antagonista, stilnovista illuminista, sulla prevalenza dell’intelletto e del saper fare artistico: L’abito da sera era proibito perché si era tra “camerati”, e per non somigliare ai “noiosi”, che si sfuggivano come la peste e che s’invitavano solamente alle grandi serate, date il più di rado possibile e soltanto se potevano divertire il pittore o far conoscere il musicista. Il resto del tempo ci si accontentava di cenare in maschera, ma nell’intimità, senza mischiare nessun estraneo alla “piccola tribù”.” Si tratta di quello che Tommaso Labranca, acuto esegeta di quei tempi, ha definito, mutuando il termine dalla pratica animale di marcare l’ambiente circostante, “territorial pissing intellettuale”. Pratica tipicamente GIPSI da “io sono ok, tu non sei ok”, che si declina nel “camp puro” di chi giocando giudica la cultura bassa per “creare nuove commistioni artificiali”. Non prodotti artistici in questo caso ma verbali e quotidiani, e non solo provenienti dalla cultura di serie B ma stereotipi sociali, linguistici e di pensiero, soprattutto della provincia e della politica (specie della propria parte): strumento di autodefinizione e massimo risultato di critica cui giunge la GIPSI.
E però la schizofrenia dei Nostri contempla la compresenza dell’atteggiamento del Genitore con quello antitetico, “io non sono ok, tu sei ok”, che un po’ sadicamente Berne definisce del “goffo pasticcione”. Di qui tutto l’amato filone dei personaggi perdenti e inconcludenti, inetti e abulici novecenteschi, piagnucolosamente divergenti e scarsamente integrabili, prossimi alla nevrosi e al suicidio; ma soprattutto nella loro versione debole, ovvero quella comica. Zeno Cosini schiaffeggiato dal padre sul letto di morte, Herzog e Portnoy, il clown di Böll e le diverse facce di Woody Allen; facile capire perché siano in maggior parte ebrei e ugualmente facile capire perché la GIPSI si senta intrinsecamente ebraica. E siam poi sicuri che tutti costoro non nascondano, sotto il doloroso stigma di “non ok”, ancora un indiretto e sordo “voi, cari miei, esponenti di questa bella società, siete i non ok”: e che cos’è questo dire ed essere il contrario di ciò che si pensa e si è se non l’essenza stessa dell’ironia?
Si entra qui nei meandri della famigerata “superiorità morale della sinistra”. In verità ridotta, dopo lo sbandamento del 1989 (e non dimentichiamoci mai che la GIPSI ha vent’anni in quel momento, e qualcosa vorrà pur dire), agli spettacoli dei cabarettisti. Quel giovane Paolo Rossi, allora applaudito dalla GIPSI in un cinema periferico della città, ceduto per una notte dai preti per Le visioni di Mortimer, ad esempio. O il «Cuore» che picchiava sempre forte sui nostri (“Caffè e carisma. Per chi è? – Occhetto. Terza porta a destra”, Altan) e via via su chi intanto si passava il potere – i socialisti nel panico quando scatta l’ora legale, Berlusconi – mentre il sistema politico andava in pezzi. Meglio ancora, per la sua duplicità che teneva insieme il Genitore e il Bambino, il personaggio di Nanni Moretti: Michele che in Bianca giudica amici e conoscenti dalla sua disperata posizione esistenziale, denunciando con l’omicidio lo scollamento donchisciottesco tra aspirazioni personali e realtà; il prete de La messa è finita, che ugualmente tenta di dare ordine al mondo, e anche solo perché ostinatamente protesta per un parcheggio pirata viene tenuto più volte a soffocare sott’acqua da alcuni energumeni prevaricatori.
Ecco che salta fuori il fondamentale dell’adolescente: Io non sono ok, Tu non sei ok.
2.1
La Banda in un ufficio molto professionale. Alberto e Andrea da una parte della scrivania, un cinquantenne dall’altra parte, Essenza un po’ più defilata, indietro e di lato. Ficus in un angolo, modellino di Ferrari sul tavolo, stampe veneziane alle pareti. Continuando un discorso già iniziato. Le frasi corsive saranno pronunciate con particolare sottolineatura – Vede, arrivati lì si avvertiva, proprio palpabile, un che di Europa… l’immensità dei parchi inglesi, le ramblas, il traffico di Napoli, piuttosto che il caldo di Atene… –
ANDREA – Poi invece si torna qui, e Beppe Signori Manzù il moscato di Scanzo, poi il vuoto. Lei mi dirà: dove sono in Italia i Montale, gli Ungaretti, i Marinetti al limite… –
– Ma è chiaro che non si può assumere un atteggiamento rinunciatario, tanto meno dentro a una realtà imprenditoriale dinamica e capace d’impulso. Perché in quel caso ognuno diventa a sua volta vittima e carnefice. Ma la cultura d’impresa, lei m’insegna, va in tutt’altra direzione. –
L’uomo giacchincravattato li guarda interessato ma lievemente sgomento, con sinceri sforzi per seguire lungo le parole trappola. Essenza trattiene a fatica, sempre più, il sorriso. ANDREA – Lei giustamente ci vorrà dire che bisogna stare al fatto concreto, ma chiunque può vantare un’esperienza in quel settore, andiamo! La nostra situazione, anche locale, esige un segnale forte, la partita si gioca ormai a livello di grandi numeri, idee, strutture globali. –
– È vero che noi, per lei, rappresentiamo una scommessa, ce ne rendiamo ben conto. E ci è altrettanto chiaro però che non può essere fatta solo in nome del dio denaro. Questo, intendiamoci, ma lei l’avrà capito da un pezzo, senza cadere in un certo conformismo dell’anticonformismo, che personalmente mi ripugna… – L’omino si asciuga veloce la fronte con un candido fazzoletto. ANDREA – Insomma per essere espliciti fino alla brutalità, noi pensiamo che sia finita l’era dei giochetti, delle polentine riscaldate, delle manovre inequivocabili, noi le offriamo grandi temi, grosse svolte… –
– Ciò che dice il mio collega è indubbio, che siamo uomini decisi ad andare al di là di un certo tipo di guado, tanto più che è un pubblico maturo a chiederlo, un ceto medio stanco, a domandarlo a gran voce. – ANDREA – Pertanto le chiediamo, accorati ma con fermezza, non sia sordo al richiamo della competitività, a vivere con intensità le diverse esperienze, anche culturali. Colga, la scongiuriamo, il concetto chiave. – L’omino è stremato e si appoggia provato allo schienale della poltrona fit. – Per raccogliere la sfida di fine secolo, delle nuove tecnologie anche, bisogna però saper analizzare determinate realtà, sennò si corrono rischi notevoli. E noi modestamente ci sentiamo in grado di ricondurre ogni fatto a quelle che sono le sue cause. – ANDREA – Nessuno ripeto nessuno se non la Banda della Nausea… – L’omino, tirandosi su dallo schienale in un sussulto come Uma Thurman dopo la botta, – La banda, scusi…? – Quasi in coro – La Banda della Nausea, no? Di cosa abbiamo parlato fino adesso? Una sorta di… –
[continua]