(A dire la verità, c’è anche un’ultima storia, che Gianni Sherwood mi racconta solo quando nessuno può sentirci. Quando Gianni Sherwood me la racconta si agita sempre moltissimo, spalanca gli occhi e prende lunghe boccate d’aria come se ogni frase fosse un lungo tuffo sott’acqua. Ho deciso di non farne parola con il direttore, almeno per ora. Comunque, se la cosa dovesse sfuggirmi di mano posso sempre usare i ferri.)
***
Ho sbagliato a venire qui. Dopo pochi minuti aprì gli occhi e istintivamente si passò le mani sul corpo. Ecco, mi avrà toccata ancora?
Invece appena lei si era addormentata Glaucho si era arrampicato su per il macigno della cascata, e ora si sbracciava verso di lei mostrandole di volersi tuffare nella pozza. Quasi disperata, schermandosi dal sole con una mano per vedere il ragazzo, Rosahs avrebbe voluto che l’amica fosse con loro, o d’aver rifiutato l’invito di Glaucho, o che la cascata non fosse che un paesaggio artificiale, un paravento che si può richiudere quando si vuole, e mentre Glaucho cadeva urlando nell’acqua sentì un calore di nausea ottenebrarla. Rosahs si diceva Ecco, ora m’invento una scusa, fingo di sentirmi male e mi faccio riportare a casa, anzi non è una scusa, io sto davvero male, devo ritornare a casa, ho la nausea, devo ritornare indietro. Vorrei che venisse giù un inferno dal cielo a incenerire tutto.
***
Risposta del prof. Zanna alla lettera del prof. Favori:
«Carissimo prof. Favori,
ho ricevuto ieri la Sua lettera. Mi lasci dire che per me è stata una sorpresa graditissima ricevere Sue notizie dall’Italia dopo quasi quattro anni di assenza e di silenzio. Il prof. Valmarana è certo un amico di rare cortesia e disponibilità, ma, ahimè, questa volta è stato anche un po’ distratto: infatti ha tralasciato di consegnarLe, oltre che le bozze del primo volume del LUF [Lessico Universale per i Fanciulli, N.d.R.] e le Norme tipografiche per le voci, anche l’intero testo del Bando del concorso; dal quale Lei avrebbe appreso che i termini per proporre le proprie modifiche al testo del LUF scadevano il 31 dicembre scorso, e cioè quattro giorni dopo che Lei aveva completato il Suo lavoro, e ben quattordici giorni dopo l’arrivo dello stesso nelle mie mani, e che questo ritardo La escluderebbe da ogni aspirazione a veder accettata la Sua proposta. Ciò non di meno, così io come il resto della mia équipe abbiamo voluto tenere conto sia dei Suoi grandi meriti presso la comunità accademica; sia dell’altissimo livello scientifico e didattico del testo da Lei inviato, e della splendida ragionevolezza delle argomentazioni con cui ha difeso la Sua proposta; sia infine del Suo prolungato soggiorno a Rimini, che, costringendoLa lontano dalla Nazione di *** e dalla nostra Università per tanto tempo, è certo motivo sufficiente per scusare la Sua ignoranza del testo completo del bando e il conseguente ritardo per la consegna della Sua proposta. Come potrebbe vedere Lei stesso leggendo appunto il testo del Bando, l’art. 1 La mette oggi al riparo dal rischio di qualsiasi esclusione per mancanza di figli. Dando prova di grande nobiltà d’animo, Lei non ha voluto far cenno a un argomento tanto doloroso, ma da parte mia desidero cogliere l’occasione per assicurarLa che l’esclusione dall’équipe redazionale del LUF che Le fu inflitta all’indomani della scomparsa della sua povera figlioletta pesa ancora sulle nostre coscienze, e che abbiamo preso in esame la Sua richiesta anche con l’intenzione di riparare, sia pur tardivamente, e in misura del tutto inadeguata, a quell’ingiustizia che fu dettata da eccesso di zelo burocratico e, lo riconosciamo, aridità di cuore. Abbiamo pertanto deciso, con votazione unanime del Comitato Editoriale del LUF, di accogliere il barsàla nella redazione definitiva del Lessico. Il regolamento del bando vorrebbe che al vincitore non venisse comunicata la vittoria, ma dato che Lei non ha mai potuto leggere tale bando ho creduto di poter fare uno strappo alla norma, tanto più che uno strappo, e ben più grosso, era già stato fatto nel momento in cui la Sua proposta è stata accettata oltre la scadenza del termine di consegna. Il Comitato ha anche stabilito un taglio da apportare al testo, che consisterà nell’eliminazione di tutta la parte successiva alle parole “fictushomo anguilinguatus”; si è anche deciso di intercalare l’aggettivo “semileggendaria” tra le parole “marina” e “dall’aspetto”. Le sembrerà questa una grave menomazione al Suo lavoro, ma tenga conto che Le è già stato fatto un grande onore nell’accettare la Sua proposta (sarebbe piacevolmente stupito nel sapere quanto pochi siate a condividere questo privilegio: per contarvi sono troppe le dita di una persona, beninteso non polidattila), e nell’accettarla fuori tempo massimo (cosa che in un certo senso La mette ancora al di sopra dei Suoi altri colleghi vincitori); in secondo luogo, in questa (dolorosa, mi creda) scelta siamo stati guidati dagli stessi criteri che Lei non ha mancato di commendare nella Sua gentilissima lettera e che quindi, sono certo, comprenderà anche questa volta, anzi direi a maggior ragione proprio questa volta.»
***
I vestiti erano scivolati di dosso la donna in bianco e nero, seduta su una poltroncina di vimini, un seno stretto in una mano come un frutto sul punto di spaccarsi, l’altra mano nascosta nel nero tra le gambe; sorrideva e sembrava voler bisbigliare un segreto a chi si fosse avvicinato abbastanza alla sua bocca. Rosso in volto e balbettando un nonsenso, Hanso si spogliò. Mentre fuori i galli cantavano il loro canto vittorioso e triste, Hanso iniziò a sentire delle cose che non aveva mai sentito prima, come se il suo respiro e tutto il suo corpo non gli appartenessero più, perché era il suo corpo ora a guidarlo, e il suo cuore imponeva il comando come le marionette cosacche lo imponevanoalle donne che guardava ballare da bambino a Briwen. Il suo cuore muoveva i suoi passi di legno su una strada vecchissima che migliaia di uomini prima di Hanso avevano percorso, e guardando la posa della donna in fotografia Hanso sentiva il cuore ballare nella scatola del torace come quando nelle fiere i suonatori venivano con i tamburi e i violini ed era impossibile starli a sentire senza iniziare a scalciare come tanti impiccati.
Dal portafoglio del nonno usciva un buon odore di pelle e di soldi, e quell’odore e il volto della cantante nella fotografia in bianco e nero e le pose di quella e di tutte le altre donne si mescolarono insieme in quel piacere spettrale e dolcissimo che infine trascinò Hanso ansante, come un’onda maggiore di tutte le altre, sopra tutte le altre.
Il nonno entrò.
***
Un giorno mia sorella, non so come ha fatto, ha fatto un’indigestione tremenda di pomodori, e continuava a perdere fuori roba rossa, dei pezzi di pomodoro, e la mamma e il papà diventavano matti, e continuavano a dirmi: “Tua sorella ha mangiato troppi pomodori, guarda che roba,” ed era tutto rosso, perfino per terra, e io non riuscivo a capire quando poteva essere stato che mia sorella aveva mangiato tutti quei pomodori, e come avevano fatto a starci dentro la sua pancia tutti quei pezzi rossi di pomodoro. La mamma aveva le mani rosse fino ai gomiti, come se le avesse messe in un bidone di pomodori.
– Carino quel pesciolino.
– Sì.
– Dove l’hai preso?
– È mio.
– Ti piacciono i pesci?
– Sì.
– Sei mai stata in mezzo al lago?
– Sì. No.
– Sì o no?
– No.
– Io ci sono stato, in mezzo al lago. Sai?
– Quando ci sei stato?
– Quando facevo il pescatore.
– Perché non fai più il pescatore?
– Prima di studiare i libri antichi facevo il pescatore. Andavo anche con le bombole, sott’acqua.
– Sì. Perché le portavi sott’acqua?
– Per respirare.
– Per respirare?
– Certo, servono per respirare.
– Non lo sapevo.
–Devono essere piene d’aria però.
– Come si fa a riempirle d’aria.
– Con una specie di pompa.
– Io non l’ho mai fatto.
– Perché non dovevi andare sott’acqua.
– Però mi sarebbe piaciuto. Non ho mai provato a riempirle d’aria. Io le usavo solo per giocare. Non lo sapevo.
– Per giocare?
– Sì, una era senza testa, però ci giocavo lo stesso. Una volta ci ho trovato dentro un ragno.
– Senza testa?
– Cosa c’è quando vai in fondo al lago?
– In fondo al lago è tutto nero, non si vede niente e a volte non si capisce nemmeno dov’è il sopra e dov’è il sotto. Si può morire, così. Adesso però devo prendere dei guanti nuovi, perché i miei li ho regalati a te.
– Ma mi avevi detto che tanto non ti servivano più. Sono miei!
– Sì, sono tuoi, ti ho già detto di non piangere. Io ne comprerò di nuovi.
– Mi avevi detto che non ti servivano più.
– Come?
– Avevi detto che non ti servivano.
– Come? non piangere, altrimenti non capisco cosa dici.
– Sì. Avevi detto che non servivano.
– Che cosa?
– Che non servivano.
– Ho capito, ma che cos’è che non serviva?
– I guanti.
– Certo che mi servono i guanti. Non si sa mai. Anzi, mi servono ora.
– A cosa ti servono?
– Per prendere le cose senza rovinarle. Non voglio rovinare niente. Vuoi prestarmi i tuoi guanti, per favore? Quelli che ti ho dato.
– Nel lago si bagnano.
– Non faccio più il pescatore.
– Hai toccato la tazza di caffè.
– Fa lo stesso. La pulirò. Puoi prestarmi i guanti, adesso?
– Sì. Avevi detto che non ti servivano.
– Bene. Grazie, dopo quando ho finito te li rendo. Dov’è il ragazzo di prima?
***
Bagnando le mutande del ragazzo l’acqua le aveva rese trasparenti, e si poteva vedere il sesso molto chiaramente. Mentre il giovane si risiedeva accanto a lei e diceva Mamma mia, Rosahs stava quasi per dire Glaucho ma guarda che ti si vede il cazzo, poi come leggendole il pensiero lui si avvolse tremando nel proprio asciugamano con gli occhi che luccicavano come di febbre e Rosahs pensò Ecco, apposta s’è messo l’asciugamano, e si disse anche Ecco lo so, sta per scoppiare a ridere, lo so, ora Glaucho scoppia a ridere, e si sforzava di non abbassare lo sguardo verso l’asciugamano di Glaucho e fissava negli occhi il ragazzo aspettando la sua risata, ma alla fine fu lei a ridere per prima.
***
Dopo la puntata di Invito a cena i mezzi d’informazione e di spettacolo continuarono a seguire a lungo la vicenda, al punto che il caso del sosia, tanti furono i servizi e i programmi televisivi che se ne occuparono, venne infine completamente a nausea del pubblico, nonché delle persone direttamente coinvolte, gli attanti per così dire, sempre che qualcosa poi fosse stato effettivamente fatto quel benedetto giorno.
***
Valmarana: È come se le parole fossero una ragnatela, e tutti i nostri movimenti sono identici a quelli della mosca intrappolata. Lei non vuole parlarne, ma ne parlerò io, io, sissignore. No. No, in realtà non parlerò affatto di questi orrori. (Lunga pausa. Cantando sguaiatamente)
Il ragno.
La mosca.
Il ragno la mosca mangiò.
(Si avvicina alle pere, terrorizzato dal pensiero di averle svegliate. Le culla. Sfumando) Il ragno. La mosca. Il ragno la mosca m… (Le pere si addormentano. Valmarana si allontana in punta di piedi) Certo non è esattamente come vedere i morti in guerra, o come certe giornate in cui gli esemplari non vogliono sapere di collaborare, però porco di un porco sì, signora mia, sì! Gli orrori del matrimonio! Gli orrori del matrimonio! voglio dire che ci vuole un come possiamo dire, un curriculum, ecco, no, un pedigree, no, com’è la parola, vuoi vedere che è tutto viceversa e che sono le cose ad essere la ragnatela e le parole le mosche intrappolate, cosa stavo dicendo, tutto un, non so come dire, tutto uno stato di servizio preciso e molto dettagliato onde poter articolare–– un discrimine ecco, no, non va bene nemmeno quello, ma insomma il sugo è che una volta steso un elenco accurato e approfondito, un inventario ma di quelli ragionati, diviso in capitoli, sottocapitoli, articoli e comma, con mappe sentimentali tascabili e una tavola periodica delle tenerezze, una tavola erotica e perché no, un atlante a puntate… (Scuote la testa. Cammina su e giù. Borbotta. Prende la bottiglia di vino, la osserva scientificamente. Poi, urlando all’uomo mascherato) Maledizione! Sei in casa o no! (Pausa.)
***
E anche Glaucho, subito dopo: la faccia sempre più rossa, le labbra arricciate in un broncio elettrico e birbante, e infine una risata stridula e quasi donnesca che fece brevemente risuonare la cavità della cascata come un guscio di chitarra. Glaucho le chiese Ma cosa ridi, e tenendosi la pancia con le mani, dentro di sé irata per aver avuto la peggio ed aver ceduto per prima, Rosahs rispose Rido perché fai la bocca a culo di labrador, e come Glaucho minacciandola con la punta di un dito le diceva Guarda che, Rosahs subito disse anche Glaucho, riportami a casa, non mi sento bene. Però Glaucho riuscì a convincerla perché ritornassero alla cascata l’indomani.
***
«Un primo appunto, ma del tutto trascurabile, riguarda il linguaggio da Lei usato, che non sempre sembra voler venire incontro alle competenze linguistiche di un fanciullo; mi riferisco per esempio al punto in cui descrive la lingua perduta del barsàla come “struttura pseudolignea spiraliforme”. Ma questo, certamente, è il meno: i veri problemi sorgono non nello stile, ma nel contenuto della Sua nota. Anzitutto, si è dovuto eliminare ogni riferimento alla controversa personalità di Brušek: i nostri vertici di governo non si sono ancora ripresi dallo scandalo dei condannati a morte ceduti allo scienziato per i suoi esperimenti con i barsàla. Per conseguenza si è dovuto eliminare anche ogni riferimento, sia pur minimo, ai rapporti che la comunità scientifica ha intrattenuto o intrattiene con il barsàla. Del resto, lei sa meglio di me quanto poco credito si dia oggi agli studi di Brušek, in particolare dopo il suo ricovero in manicomio. Anche tutta la parte dedicata alla lavorazione del corallo di barsàla è stata soppressa perché il nostro governo, proprio per i guai passati a causa di Brušek, si è in seguito schierato con altri stati per la soppressione della raccolta dei cadaveri di barsàla, pratica considerata al limite della violazione dei diritti umani, dato che alcuni barsàla in effetti un tempo furono nostri simili. Ma venendo al rapporto tra il barsàla e il mondo dell’infanzia, il fatto è che la specie del barsàla pone diverse questioni, la cui meditazione non siamo sicuri possa giovare alla mente di un fanciullo, almeno non quanto Lei auspica nella Sua lettera. Lasciamo da parte l’inquietudine che in anime tanto delicate può essere prodotta sia dal pensiero che il barsàla è in grado di tramutare gli esseri umani in propri simili, sia dall’elenco dei funesti poteri del suo corallo; che tutto questo in verità potrebbe anche passar.e»
***
Il libraio, quell’uomo che a Sarahs sembrava sempre più un povero diavolo, nel riprendere il lei iniziò a raccontare della moglie, ricordandola con gli occhi luccicanti come se fosse morta e sepolta; quasi senza più ascoltarlo, Sarahs si guardava intorno, ancora stupita della forma di quella libreria che le ricordava un po’ la pancia di un animale gigantesco, di una balena. Le vennero in mente il burattino di Pinocchio, la cui storia conosceva non per aver letto il libro ma perché le era stata raccontata da altri che la conoscevano; e Geppetto intrappolato nella pancia di luce del mostro, e pensò che la scena, con lei davanti a un libraio che perdeva rotelle, era simile a quella del libro, tanto più che Sarahs, che per i nomi aveva cattiva memoria, credette in quel momento di ricordare che il nome del libraio fosse proprio Giuseppe, e anche in seguito, molto tempo dopo essere stata assunta, avrebbe continuato a sbagliare nome.
***
Il vecchio lo guardò per un attimo, mentre Hanso non sapeva cosa dire, confuso. Il ragazzo balzò in piedi cercando di rivestirsi più in fretta che poteva, poi si fece verso il nonno con la testa bassa, in attesa dello scapaccione. Invece il vecchio Hanso lo guardò e sorrise, e guardava il giovane Hanso; e sorrise ancora, e sorrise sempre di più, e alla fine gli disse, “Coglione! Così hai visto le belle donne che il tuo nonno nasconde nel portafoglio! Ma tu sei per le donne vere!”, e poi, mentre il giovane Hanso iniziava a sorridere anche lui, e schivava le pedate che il vecchio cercava per scherzo di tirargli nel didietro, il nonno aveva continuato: “Impiastro! ti insegno io come si fa con le donne! Prendi su il mio violino, le donne tu non le devi guardare in fotografia come fanno i vecchi, le devi far ballare, e allora tutte le donne saranno ai tuoi piedi! Falle ballare e portale con te in un bel prato, gattaccio, portale in un prato e falle ballare, falle ballare, mio stronzetto di cane, e tutte cadranno ai tuoi piedi con vera forza di gravità!” Il vecchio pazzo con la sua voce roca man mano che parlava intonava sempre di più le parole e sempre di più dava loro un ritmo, e alla fine le parole erano diventate una canzone per cretini e il vecchio Hanso, messosi sulla spalla il violino, iniziò a suonare e a dimenare le gambe e uscì per la strada cantando e danzando come un ragazzo di vent’anni, con il giovane Hanso dietro a seguirlo, come quando a Briwen passavano i carri degli zingari.
Ti butto in mezzo a un frutteto di carta
con la paura che poi tu mi prenda
a schiaffi ti porto nel posto dove
son cadute le mele, dov’è l’erba
più alta!
Ma pochi giorni dopo, mentre camminavano insieme nel fango delle fabbriche ai confini della città il vecchio si era voltato verso il ragazzo, lo aveva traguardato con odio e terrore e prima di potersi spiegare si era stretto la camicia con una mano all’altezza del petto si era accasciato morto per la via.
***
Faccio quasi sempre lo stesso sogno. Alcune donne molto vecchie mi catturano, e poi mi aprono la pancia. Io le lascio fare, perché so che quelle donne sono delle streghe, e perché non mi fa male quando mi aprono. Le streghe guardano dentro la mia pancia e tirano fuori le cose, quasi sempre tirano fuori la colazione, il caffelatte e i biscotti, tirano fuori perfino le scodelle e i piattini, tutto dentro la mia pancia, anche la tovaglia con i fiori ricamati. Quando mi sveglio, sull’angolo in fondo al letto c’è sempre una mano che spunta, tutta viola, grande. Io mi alzo e vorrei andare fuori, ma la mano mi prende e non mi molla, io cerco di fare il giro più largo possibile, ma la mano mi acchiappa sempre, e allora devo restare buona buona ad aspettare che torni la luce del giorno, così la mano sparisce.
– Quale ragazzo?
– Il ragazzo antipatico. Non piangere.
– Quale ragazzo antipatico?
– Quello che vorrebbe tornare qui, perché gli hai detto che tra un’ora finisci di lavorare.
– Quale ragazzo? Io non gli ho detto niente.
– Non piangere. Stai calma, per favore, voglio solo sapere dov’è il ragazzo.
– Non ci sono ragazzi qui, i cuochi sono andati tutti via.
– Lo so, ma il ragazzo, il ragazzo antipatico, dov’è?
– Sì. Non lo so.
– Dov’è andato?
– Non lo so. Da nessuna parte.
– Non è possibile. Si va sempre da qualche parte. Lui da che parte è andato?
– Come, da che parte?
– Cioè dopo che è uscito, da che parte è andato?
– Dove è uscito?…
– Uscito da qui. Perché è uscito, vero?
– Sì. No.
– Sì o no? è uscito sì o no?
– Sì. No.
– Sì o no? Sì o no? Terhesahs, sì o no?
– Sì! No! Sì! No! Aiuto! Aiuto! Aiutatemi! Aiuto! Aiuto! Aiutatemi! Sì! No! Sì! No!
***
Nuovamente di fronte alla cascata, Rosahs si sentiva come se fosse stata intrappolata in un trucco di ipnotismo, o nel vecchio numero della donna segata in due, o ancora nel labirinto di specchi. Come se si trattasse di un rompicapo da ombrellone, trova le differenze, Rosahs si chiedeva Ecco, ogni cosa si ripeteva come ieri, e dunque cosa era cambiato, tra ieri e oggi? Andavano come ieri verso l’azzurro, ma non come ieri il cielo era azzurro; come ieri si liberarono dei vestiti e li stesero per il cibo, ma non come ieri i vestiti caddero sull’erba; non come ieri l’acqua della cascata cadeva nella pozza cupa. Questi però non sono particolari. Perché Glaucho l’aveva invitata di nuovo in quella cascata così nascosta dalla luce? dove faceva sempre freddo nonostante l’azzurro e il canto degli uccelli. Rosahs, vedendo o ricordando di aver visto il ragazzo muoversi con agilità flessuosa nell’acqua, osservandone o riosservandone i movimenti mentre si asciugava e rivestiva, o mentre si svestiva di nuovo, o mentre per la seconda o la duecontomillesima volta si rivestiva (“Domani, e dopodomani e per il resto dei miei giorni verrò svegliata di nuovo dal clacson solo per ritrovarmi di nuovo nella pozza fino a che non troveranno due scheletri accoccolati per un picnic”), confessò a se stessa, ardendo, ecco, era proprio vero, una schiena tagliata con l’avorio.
***
VALMARANA: Queste fratture, queste piccolissime fratture nei denti e nella mascella sono fratture che in effetti stanno dando nuova forma ai miei denti, li stanno affilando, in realtà, come se fossero coltelli o seghetti. (Pausa.) Mi era già successo, da bambino. (Pausa.) Giocavamo animale e padrone. Io ero un animale. Il mio padrone mi ha dato una ginocchiata nei denti e io sono volato in terra. Cioè l’altro bambino, quello era il mio padrone. Quando ho aperto gli occhi e le lacrime sono andate via, uno dei denti davanti era tutto affilato. Alcune persone ci hanno venduto i loro bambini. O regalato. Venduto o regalato. Brušek prendeva i bambini per mano e prima di separarli per sempre gli diceva Vedi, li vedi? I tuoi genitori, loro, i tuoi genitori sono degli eroi; e che dovevano essere orgogliosi di mamma e papà e ancora. Teneva i genitori sottobraccio mentre io accompagnavo i bambini nelle sale operatorie. Bisognava sentirlo! Certi paroloni! (Fa partire un registratore.)
Voce registrata di Tomaš Brušek: “L’innocenza ha sempre attirato le compiacenze degli uomini e di Dio, e anche le mie; i fanciulli sono i gigli della terra, sono gli angioli di quaggiù. Oggi la corruzione invade, e troppo spesso lo sguardo divino, dovunque si posi, non trova che motivi di nausea e abominio. Tra il mondo perverso e il giusto sdegno di Dio, noi qui opponiamo i cuori innocenti dei fanciulli che lo disarmino e lo plachino. Non solo: dobbiamo anche fare in modo che Gesù nel sacramento dell’amor suo abbia le primizie dei loro cuori. Con tre mezzi possiamo organizzare il grande potere morale dei piccoli parafulmini dell’umanità: la preghiera, le prime comunioni, la devozione alla Madonna.”
***
Mano mano che il tempo passava, che gli interrogatori si accumulavano e che si salivano i gradi del giudizio, anche i tre imputati ricordavano in modo sempre più vago ciò che era successo veramente, e anzi non si preoccupavano più per niente di ricordare o meno in modo esatto quella sciagurata mattina; ormai sembrava che l’importante fosse fare trattative per una versione che facesse contente le parti in modo soddisfacente, piuttosto che di capire cosa fosse davvero successo, il che del resto era del tutto impossibile. Come in una specie di sogno, nessuno dei tre si chiedeva più come fosse stato possibile che Marjo Salvati fosse volato fuori dalla finestra dopo aver visto Luijgi Decor, ma ciascuno cercava con gli altri due un accordo perché la morte di Marjo apparisse il più possibile accidentale.
***
Parlavano. Quasi ossessivamente Rosahs si chiedeva ecco, ma come non ho notato prima che Glaucho ha veramente una schiena tagliata in una zanna d’avorio? e non faceva che ripetere zanna d’avorio, zanna d’avorio, zanna d’avorio, reprimendo la rabbia. Poi, ridendo, indicò un oggetto che galleggiava nella pozza: la bottiglia di vino bianco, che avevano dimenticato da ieri, s’era staccata dalla riva dove Glaucho l’aveva sistemata, e adesso si lasciava trascinare lentamente nei deboli gorghi della cascata. Mentre lei rideva, lui si liberò dei pantaloncini, si buttò in acqua, e nuotò verso il collo emergente della bottiglia. Trova le differenze.
***
Ogni volta che salivamo in macchina col papà e la mamma per andare in Austria dalla nonna, io avevo una paura tremenda, perché dovevo incontrare la zia Frahncaa. La zia Frahncaa puzzava di maccheroni in bianco, gli stessi che mi davano all’asilo e che io non mangiavo mai, fino a che diventavano freddi e ancora più schifosi. E l’odore della zia Frahncaa era proprio identico a quell’odore di pastasciutta bianca, e ogni volta che la zia mi veniva vicino io pensavo che avrei rimesso i maccheroni bianchi anche se non li avevo mangiati, era come se me li facesse comparire nello stomaco. Avevo paura delle malattie e avevo paura che se fossi stata vicina alla zia Frahncaa per troppo tempo sarei diventata come lei, mi sarei allungata di colpo e subito avrei cominciato a perdere saliva dalla bocca e a puzzare di pastasciutta bianca, e sarei diventata cattiva come lei e avrei cercato di far ammalare anche la mamma e il papà. Quando pensavo alla mamma e al papà che diventavano anche loro malati non appena li toccavo mi veniva una paura che mi toglieva il respiro, perché li volevo toccare, erano la mia mamma e il mio papà e li dovevo toccare anche se ero malata e non riuscivo a pensare ad altro, solo alla mamma e al papà che mi supplicavano di fermarmi tappandosi il naso per la puzza di maccheroni, e il cuore mi batteva così forte da scoppiarmi nella pancia.
– Terhesahs. Calma. Sono qui. Guardami in faccia.
– Aiuto! Aiuto! Aiuto!
– Terhesahs. Non ti agitare. Guardami negli occhi. Non scappare.
– Aiuto! Aiuto!
– Terhesahs. Terhesahs.
– Sì!
– Terhesahs, per favore, smetti di urlare, per favore, smetti di piangere e guardami negli occhi. Dov’è il ragazzo?
– Non ti servono i guanti! Qui non si rovina niente! Hai toccato la tazza di caffè! Paga il caffè!
– Terhesahs, smetti di urlare.
– I guanti sono miei! Aiuto!
– Terhesahs, devi smettere di urlare.
– Aiuto!
– Ti dico, smetti di urlare.
– Aiuto! Aiuto!
– Smetti di urlare! Smetti di urlare! Smetti di urlare! Bene. Così va meglio. Dammi un minuto. Mi sta scoppiando la testa. Di cosa stavo parlando. Dunque. Cosa ti stavo dicendo.
– Tu sei un pescatore.
– Un pescatore. Ecco. Sei mai stata in fondo al lago?
– Sì! Sì! Sì! Sì! Aiuto!
– Basta! Basta! Basta! Basta urlare! Lo vuoi capire che mi fai scoppiare la testa se urli così?
– Anche tu stai urlando.
– Va bene.
– Bene.
– Bene. Smettiamo di urlare. Dunque. Hai mai visto il fondo del lago?
– No.
– Non è un brutto posto, senti i pesci che ti scivolano sulla faccia.
– Sì.
– Come quel pesciolino lì.
– Sì.
– Sì. Adesso devi spiegarmi.
– Io non ho mai visto il fondo nel lago. Però ho delle bambole.
– Hai delle bambole?
– Per respirare sott’acqua.
– Per respirare.
– Le riempio d’aria e vado in fondo al lago.
– No. Delle bombole. Non b––
– Ha!
– Mi prendi in giro.
– Ha!
– Matta.
– Com’è fatto il fondo del lago?
– È nero. Devi dirmi dov’è andato il ragazzo. Qui ci siamo solo io e te.
– I cuochi sono andati via.
– Cos’hai fatto dopo che sono andati via i cuochi?
– Niente.
– Non è possibile non fare niente, Terhesahs. Qualcosa devi pur avere fatto.
– Sì.
– Cos’hai fatto.
– Ho pulito.
– Cos’hai pulito.
– Ho pulito di là.
– Era sporco?
– Un po’ sporco, allora ho preso lo straccio e il secchio con l’acqua.
– Dove sono lo straccio e il secchio adesso?
– Sono di là.
– Bene. Adesso dobbiamo andare in cucina.
– Prima ridammi i miei guanti.
– Non posso. Prima andiamo in cucina, mi fai vedere lo straccio e il secchio, e poi ti rendo i guanti.
– Adesso!
– Terhesahs, per favore, ti ho già detto di non urlare. Per favore. Voglio solo andare in cucina, va bene? Ci mettiamo un attimo.
– Tu come ti chiami?
– Mi chiamo Mijkhele. Andiamo.
– Sì. Dove abiti?
– Un po’ fuori ma non tanto lontano. Bene. Hai pulito tutto molto bene. Ecco lo straccio e il secchio.
– Bene e adesso ridammi i guanti.
– Prima dimmi un’altra cosa e dopo ti ridarò i guanti.
– Toglili.
– Non ancora. Prima dimmi un’altra cosa, dopo li toglierò e te li darò.
– Adesso!
– Solo un’altra cosa. Non urlare. Non mi piace.
– Sì. Va bene.
– Va bene. Qui hai pulito tutto molto bene, però quando io sono arrivato non stavi pulendo, eri di là. Cosa stavi facendo?
– Niente.
– Non è possibile che tu non stessi facendo niente, qualcosa devi pur averla fatta.
– Sì.
– Brava. Cos’hai fatto?
– Mi sono sistemata i capelli.
– Perché?
– Perché erano in disordine.
– E perché i tuoi capelli erano in disordine?
***
Quel giorno, davanti al libraio che continuava assorto a mormorare il proprio felice matrimonio, Sarahs, seguendo il filo del nome di Giuseppe come se fosse sdraiata sull’erba più alta e non in una libreria, si ricordò delle statuine di legno del presepe che per ogni Natale preparava insieme a suo padre, ed era appunto la statuina di san Giuseppe, chinato sulla culla, appoggiato ad un lungo bastone, la statuina che Sarahs aveva da sempre prediletto, con la tunica dai colori vecchissimi che oramai venivano via solo a toccarla, e quella lunga barba già grigia. Il libraio però non aveva la barba, ma solo due corti baffetti ingialliti dalle sigarette. “Lo sai, lo sai qual è stato il primo libro che abbiamo venduto? un Pinocchio… me lo ricordo ancora… e l’hai letto, tu? l’hai letto Pinocchio?”
Cercò di ricordare chi le aveva raccontato la storia del burattino. Forse non gliel’aveva raccontata nessuno, ma in realtà a Sarahs non era mai piaciuta la storia di Pinocchio. La prima volta che le avevano raccontato la storia, ma quando era successo? e chi?, Sarahs aveva sognato il bambino di legno che le veniva vicino con un alito fetido e non faceva che dire, “Tu non uscirai mai viva da qui”.
Chi mi ha raccontato le storie che conosco da sempre?
***
Frastornata, continuando a pensare ecco, quel ragazzo con le zanne d’avorio mi ha toccata, mi ha toccata in mezzo alle gambe mentre facevo la finta, quel ragazzo antipatico e bellissimo mi ha accarezzata di soppiatto, Rosahs immaginava, guardando Glaucho in acqua, a come sarebbe stato bello essere una creatura acquatica soprannaturale, una ninfa, magari, e carezzare il corpo scattante, magro e allungato di lui mentre fosse passato nuotando, confondendosi con la corrente dell’acqua perché lui non avvertisse il tocco della ninfa, e poi improvvisamente stringerlo e allacciarlo e trascinarlo nel fondo scuro della pozza finché il suo corpo non fosse diventato per davvero bianco come la mano d’avorio di un pirata; nel fondo dello stagno, con il rumore lontano della cascata sopra la testa e l’acqua come un soffitto tremulo, sarebbe stato come vivere nella pancia di una medusa, e Glaucho non avrebbe potuto fare niente per fermarla, e ad un certo punto non ci sarebbe nemmeno più stato bisogno di tenere gli occhi aperti, e i lacci si sarebbero stretti tutt’intorno e il freddo della pozza li avrebbe fatti addormentare.
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(In questa storia, Gianni Sherwood è una specie di inserviente in una specie di istituto accanto a un lago popolato da rane e minuscole sirene con il corpo di lumaca. Gianni Sherwood odia lavorare in quel posto. Dice che dal lago arriva un fetore nauseante, e che di notte il canto delle rane, che a sentir lui sono centinaia di migliaia, lo fa quasi impazzire. Certe volte, le piccole lumache che vivono nel lago scendono sulle sue palpebre lasciando dietro di sé una scia luminosa, una specie di serpente di luce, che si vede a malapena: Gianni Sherwood dice che è come quando si chiudono di colpo gli occhi, ma si continuano a vedere i contorni degli oggetti; “come carne luminosa”, dice. Dice che ogni giorno il serpente di luce si arrotola su se stesso fino a sembrare un uomo. L’inserviente si intrattiene con l’uomo-serpente, che gli racconta delle storie, storie che parlano di navi arenate, di sfingi, di presepi, di sirene, di chiocciole, di occhi tagliati e gente morta ammazzata; a sentire queste cose, l’inserviente si spaventa, e vorrebbe uccidere l’uomo-serpente; allora l’uomo-serpente si srotola e lo avvinghia a sé e riprende a sussurrare altre storie ancora più terrificanti.)
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Infine si raggiunse una sorta di compromesso che ai più parve grottesco: i tre vennero riconosciuti colpevoli per il reato di istigazione al suicidio ai danni della persona di Marjo Salvati e condannati a un anno di reclusione, pena che venne convertita a sei mesi di carcere, in capo ai quali Kecilja e Luijgi si unirono in matrimonio. Restarono a vivere nell’appartamento che era stato di Kecilja e Marjo, e sul quale incombeva un mutuo.
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Valmarana: (Spegne il registratore.) Piccoli parafulmini dell’umanità!… Che razza di frase. Piccoli parafulmini dell’umanità (Pausa.) Non so se era per un ricatto che quelle persone portavano i loro figli. Sembravano tutte persone molto ricche, ma nessuno sa cosa pensano i ricchi. (Pausa.) Davano un rapido bacio al figlio e poi lo passavano a Brušek, che mi chiamava con un’occhiata. Lui teneva i genitori sottobraccio, si allontanava con loro. Tutti sorridevano. (Pausa.) Sono i denti. Non fanno male, voglio dire che non è che mi facciano male, però sono i denti. Anche le ossa della testa, a dire la verità, a dire la verità anche il resto della testa fa lo stesso scherzo, però il vero problema restano i denti. (Sottovoce) ––stano i denti. ––rbidi bruchi rosa. (Pausa. Voce normale) Lui si allontanava con i genitori sottobraccio, io prendevo i bambini. (Mima i gesti. È confuso.) Lui si allontanava con i genitori, io con i bambini. No. Io con i genitori, lui con i b–– No. Lui… (Pausa.) Per esempio, la notte, in realtà è quasi sempre la notte che succede, non è un esempio vero è proprio, in effetti è esattamente quello che succede, non è un esempio, è quello che succede. (Pausa.) Non è un esempio. (Pausa.) Per esempio, la notte, sto per addormentarmi e qualcosa in fondo alla mandibola si sposta, e i denti è come se si spostassero un pochino. Solo un pochino, non fa nessun male, però è così, e finisce che mi sveglio. Non fa nessun male, proprio per niente. (Si avvicina da dietro all’uomo mascherato. Lo afferra per le spalle e lo scaraventa giù dalla sedia. Appena l’uomo tocca terra, Valmarana gli tira un calcio alla testa.) CRAC CRAC. All’alba mi risveglio con la bocca piena di robaccia bianca. Sabbia. Puah. Devono essere per forza i denti. (Calcio nello stomaco all’uomo.) Mia moglie, la stessa cosa: proprio prima di svegliarsi inizia a digrignare i denti, anche se che denti vuoi che abbia una striscia di carta. Un rumore come tante macchine fotografiche dentro una scatola di scarpe. È spettrale. (Altro calcio all’uomo mascherato.) I pazzi non perdono i capelli, mi diceva mio padre, perciò questo qui non può essere pazzo, o almeno di certo non è completamente pazzo. O forse, o forse ecco qua: forse ogni giorno si rasa il cranio per ingannare le persone. (Pausa.) Forse certi pazzi devono essere tenuti rasati in modo da tenere sempre controllate le dimensioni e le proporzioni del cranio. Forse dovrei rasarmi anch’io, per vedere se anche nella mia testa si stanno aprendo delle crepe. I nostri esemplari vengono sempre rasati completamente, vivi o morti. Sembrano loro stessi dei lunghi bruchi rosa. (Sottovoce.) ––ruchi rosa. ––unghi bruchi rosa. Lunghi bruchi rosa. (Voce normale.) È difficile tirare fuori i bruchi dagli esemplari. Molto doloroso. Si installano nelle budella, i maledetti. Prlìn, prlìn.
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Il chiodo era appoggiato davanti agli ingredienti per i panini. I cuochi fanno dei panini buonissimi, quando avanzano me ne faccio lasciare sempre uno in un sacchetto di carta, e lo mangio a casa mia. Li fanno con la mozzarella e il pomodoro, con la mortadella e l’insalata, con il formaggio e i cetriolini. Una volta ho provato a farmi un panino da sola, ma i cuochi mi hanno detto che non dovevo, che lo facevano loro. Quando il chiodo gli è entrato in faccia, mi ha messo le mani sul collo, e io mi sono messa a urlare come un maiale. Mi sono sporcata tutta la faccia. Poi mi ha preso per i capelli, e poi non ha fatto più niente.
– Non lo so. Non erano in disordine.
– E allora perché li hai messi in ordine?
– Non lo so. Non li ho messi in ordine.
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Dove erano ora le fotografie di quelle donne, e il portafogli del vecchio? E cosa avrebbe detto oggi il vecchio Hanso di questo nipote perduto per una donna mai ancora incontrata? Pensando alle cose che il nonno avrebbe potuto dirgli della cantante, Hanso rideva. Con le rondini che zirlavano arancioni contro il sole e le rotaie che ancora divelte dopo gli attentati si allungavano nella luce come una ragnatela morta nella rugiada il giovane con la mano dietro la testa diede un colpo col tacco come nei balli che facevano in cerchio tutti insieme A Briwen quando ancora gli scoiattoli rosa non si erano installati nei boschi e nei parchi, e pensava a come sarebbe stato bello presentarsi un giorno con la fisarmonica in braccio nel locale dove cantava la ragazza ed esibita la propria bravura accompagnare la voce della cantante dagli occhi di fango azzurro che si chiamava S––––s e che lui domani, finalmente, avrebbe visto per la prima volta.
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Contemporaneamente bevevano il vino, ancora ridendo. Lui la fissò negli occhi, sempre sorridendo, mezzo sdraiato accanto a lei che s’era riseduta; continuavano a guardarsi negli occhi e a sorridere, e a Rosahs pareva che la bellezza di Glaucho, del cielo e del sole e del lago, e la sua stessa propria bellezza, il nero degli occhi e l’azzurro delle vene, la curva della schiena di lui, tutta la bellezza di tutta la luce che la penetrava negli occhi stesse diventando sempre più insopportabile e opprimente.
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Le suore ci portavano in montagna, in un rifugio. Fuori dal rifugio c’era una roccia, più alta di una casa. Mi piaceva, e un giorno ho provato a andare in cima alla roccia. Era pericoloso, e quando sono arrivata in cima tutti mi gridavano di scendere e io li salutavo e ridevo e andavo verso i fiori che crescevano sul bordo della roccia, per portarne un mazzolino alle suore, che stavano quasi sempre dentro il rifugio. Tutti urlavano.
– Ma prima mi hai detto che li hai messi in ordine.
– Sì.
– Comunque adesso sono in ordine.
– Sì.
– Hai una bella pettinatura.
– Sì. No.
– Sì, è bella. Anche mia sorella si pettina così. Hai mai visto mia sorella?
– Sì.
– Davvero?
– No.
– Lei si pettina uguale a te. Tu hai una sorella o un fratello?
– Sì. No.
– Sì o no?
– Non lo so.
– Come fai a non saperlo?
– Adesso ridammi i guanti.
– Non ho ancora finito. L’ultimissima cosa.
– Voglio i guanti!
– No, prima ancora una cosa. E poi non urlare. Non piangere.
– Devo chiudere. Voglio i guanti. Devo fare la pipì.
– Va bene. Hai già chiuso. Siamo qui dentro chiusi a chiave, non entra nessuno. Non preoccuparti. Dov’è il gabinetto? Ti accompagno.
– Di qua.
– Andiamo.
– Non mi guardare.
– Non ti guardo. Chiudi la porta.
– Ecco.
– Bene. Anche mia sorella si pettina così. Prende la matita e ci arrotola intorno i capelli.
– Sì.
– Ti piace disegnare?
– Sì.
– Lo hai fatto tu il disegno sul bancone?
– Sì.
– Mi piace quel disegno, con gli animali che prendono il caffè.
– Tu assomigli al coniglio.
– Qual è il tuo colore preferito?
– Il rosso.
– Anche il mio. Anche mia sorella usa una matita.
– Sì.
– Prende tutti i capelli insieme, e poi li arrotola, e poi ci infila in mezzo la matita.
– Sì. Di che colore sono?
– Dici i capelli di mia sorella?
– Sì.
– Sono biondi.
– Come si chiama tua sorella?
– Si chiama Terhesahs come te.
– Davvero?
– Sì. Anche tu usi una matita?
– Sì.
– Mi fai vedere come fai?
– No.
– Fammi vedere come fai, per favore.
– No.
– Terhesahs, per favore, togli la matita dai capelli e poi rimettila. Voglio vedere come fai. Voglio vedere se fai proprio come mia sorella.
– No.
– Terhesahs, non ti preoccupare, non ci vede nessuno, siamo chiusi dentro, hai chiuso a chiave sia davanti che di dietro. Togli la matita, non aver paura.
– No.
– Per favore. Voglio vedere i tuoi capelli.
– Li hai già visti.
– Li voglio vedere senza matita. Per favore, toglila.
– No.
– Per favore.
– No.
– Perché?
– Non voglio. Non la tolgo.
– Perché?
– Perché no.
– Vuoi che te la tolga io?
– Sì.
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VALMARANA: Forse nel laboratorio dove era ricoverato questo qui lo rasavano tutti i giorni, con un rasoio di sicurezza, in quei laboratori là tutto quanto è di sicurezza (Gesto caricaturalmente schifiltoso), e poi quando è scappato ha pensato bene di continuare a rasarsi ogni giorno in modo che tutti credessero che non era successo niente, che lui era ancora nel laboratorio. (Pausa.) Certo ci vorrebbe un artista della lametta per creare questa perfetta illusione dell’attaccatura della chierica, quella curva così naturale, e dubito molto che queste mani così lunghe, molli e sudice saprebbero lavorare così di fino, a meno che non abbia un amico barbiere. (Pausa.) Con gli esemplari non andavamo tanto per il sottile, altro che barbiere. (Pausa. Calcio. L’uomo mascherato comincia a vomitare sangue, sdraiato, senza muoversi.) Mio padre mi raccontava un sacco di cose. È stato un buon padre. Chissà dov’è ora. (Apre la giacca dell’uomo mascherato, tira fuori la lettera. La apre e la legge.) “Comunicazioni relative alla distruzione del prototipo AP/9910––” Qui non si capisce cosa c’è scritto. (Guarda la moglie e il maggiordomo a terra.) Cosa diavolo è il prototipo AP/9910. Io non sapevo che qui ci fossero prototipi. Di quale laboratorio–– (Rilegge allarmato la lettera. Non riesce a decifrarla bene. Urlando) Cos’è il prototipo AP/9910! Da quale laboratorio viene questa lettera! (Voce normale) Qui si legge meglio. Qui. Qui. Ecco (Legge) “Il laboratorio richiede l’acquisto di dodici copie del Corano e di altrettante delle Upanishad: infatti è verosimile che Brušek abbia utilizzato più di un testo sacro per criptare…” (Alla moglie) Corano, Upanishad, Apocalisse. Che vuol dire questa roba? Perché non me ne hai mai parlato? Perché non ne sapevo niente? Perché Brušek non mi ha mai parlato del prototipo AP/9910? Io credevo che lavorassimo alle pomate. Credevo che lavorassimo insieme. (Monta una rabbia crescente ma estremamente calma verso la moglie. L’uomo mascherato si rimette al proprio posto.) Perché non mi hai detto niente di questa lettera? Quando è arrivata questa lettera? (Riprende a leggere) “Dai resti dell’esplosione, risulta che l’accensione di AP/9910 fosse affidata ad un meccanismo a molla, simile a quello dei soldatini di latta. Brušek sosteneva che rendere le armi simili ai giocattoli può indurre nel soldato che le utilizza un’inconscia regressione all’infanzia, e la conseguente…” (Ride) Tutti quei bambini… Un meccanismo a molla… Una specie di gioco… Le armi… La pomata… L’esplosione… (Riprende a leggere) “Le funzionalità del prototipo sono descritte in modo sommario nelle pagine che vanno da 4 recto a 5 verso del taccuino n. 11 di Brušek (Rovista tra le cose e ne tira fuori un taccuino. Sottovoce, sfogliando il taccuino) …4 recto a 5 verso… (Trova la pagina) 4 recto, ecco qui. Ecco qui: (Non riesce a leggere. Getta via il taccuino. Grida) Non ci capisco niente. (Riprende a leggere la lettera) “Il difetto del prototipo che ha ucciso l’ingegner Brušek è, probabilmente, da ricercare in un qualche errore di software nell’intelligenza artificiale dell’insetto––” (Si blocca. Rilegge sottovoce) Il difetto che ha ucciso l’ingegner Brušek, che ha ucciso l’ingegner Brušek… L’intelligenza artificiale dell’ins–– (Pausa. Si avvicina alla moglie. La srotola e la stende sul tavolo. Dalla bocca dell’uomo mascherato continua a uscire un quieto rivolo di sangue che si allarga in una pozza che finisce per lambire tutto lo spazio.) Non dire niente. (Pausa.) Amore mio. (Inizia a sezionare la striscia di carta con un bisturi.) Buona. Buona. Non dire niente. Non dire niente. Ecco. Un altro taglio. Un altro. Un altro. Ora voglio sapere cosa è successo a Brušek. Voglio sapere cos’è il prototipo AP/9910, voglio sapere dove si trova quel laboratorio, e chi ha mandato queste lettere. Ce l’hai scritto addosso. Tu hai scritto addosso tutto quanto. Filigrana, cara mia: Fi-li-gra-na. Chi credevi di fare fesso. Ora fammi vedere. Fammi vedere. Ecco. Ecco. Così. (Posiziona la carta contro una lampada.) Ora sei tutta trasparente. Dimmi tutto. Dimmi com’è morto Brušek. Dimmi cos’è il prototipo AP/9910. Dimmi cosa c’entra l’Apocalisse. Ora sei mia. Mia. È tutto scritto su di te. Non puoi evitarlo. Fammi leggere. Raccontami tutto… Io ho dato tutto a Brušek. Noi gli abbiamo dato tutto. Tutto…
Voce registrata di Valmarana: (Monotono, in preghiera.) “Vi ringrazio o Santissima Trinità delle speciali grazie concesse al Vostro diletto figlio e cara nostra guida Padre Tommaso Brušek di Budejiovice, e massime d’averlo colmato di tanti e specialissimi favori sin dalla sua infanzia, e per la fedeltà colla quale vi corrisponde, vi scongiuro a concedermi la grazia che vi domando. Pater Ave Gloria. Vi ringrazio o Santissima Trinità per averlo eletto a fondatore di questo Pio Istituto e per lo zelo che ebbe per la salute delle anime, pel tanto che ha fatto, sofferto, pregato per la gloria del Signore e pel bene del prossimo vi prego a concedermi la grazia che bramo. Pater Ave Gloria. Vi ringrazio o Santissima Trinità per averlo sublimato a tanta virtù per la quale sarà salito al possesso d’una grande gloria in Cielo, e per quell’amore ed onore che, tengo per fermo, vi renderà per tutti i secoli, vi supplico a concedermi la grazia che imploro. Pater Ave Gloria. Pater Ave Gloria. Pater Ave Gloria… (Sfumando.)
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Anche il giorno dopo c’era il sole, e Hanso andò verso il parco vicino a casa sua. Aveva portato la fisarmonica e alcuni bambini si misero a girare in tondo attorno a lui e a ballare e fare dispetti, e Hanso ora sorrideva ora faceva le boccacce con la sigaretta accesa di traverso per la bocca e un occhio strizzato come un vecchio guercio: e quando smetteva di suonare e stringeva la fisarmonica con forza pigiando i tasti a mucchi mandando sgridi sfiatati i bambini strillavano e per un momento rompevano il cerchio e correvano via ridendo, poi non appena Hanso riprendeva a suonare tornavano a ballare. Rimasero con lui fino a che non fu ora di pranzo. Uno di loro andandosene gli lasciò un pacchetto aperto di caramelle alla menta. Avevano la forma di tante monetine. Hanso fece un inchino da pagliaccio e se ne mise in bocca una.
Si sdraiò sull’erba del parco e si addormentò.
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Quando vedeva passare Luijgi per le scale, il portiere del palazzo ripeteva sottovoce la solita frase, “Lui, è lui il signor Salvati,” frase che, da quando venne udita per caso dallo stesso Luijgi e salutata non con una sfuriata ma con una risata e una minaccia scherzosa con la mano, venne da allora pronunciata ad alta voce e proprio di fronte allo stesso Luijgi, come se si trattasse di una battuta di spirito: ma era più probabilmente l’espediente cui il portiere si era infine ridotto per cercare di domare l’oscura passione che lo trascinava implacabile verso quello che, così sentiva nel profondo del cuore, era o avrebbe dovuto essere un assassino.
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Contemporaneamente, in una disperata lotta contro quell’oppressione, Rosahs pensava o cercava di pensare Ecco, no, ecco, l’antipatia deve vincere la bellezza, l’antipatia deve vincere la bellezza, ecco, l’antipatia deve vincere contro la bellezza. Scheletro d’elefante. Tacquero. Glaucho si mise in piedi, dicendo, Guarda là un cespuglio di lamponi; s’arrampicò, camminando sulle punte per non ferirsi sulle rocce, e ne ritornò con le mani cariche di frutti.
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In campagna c’era un cagnolino. Lo portavo sempre a spasso, lui correva davanti a me, si tuffava nei cespugli come se fossero fatti d’acqua, e faceva scappare gli uccelli dai loro nascondigli. Un giorno è uscito con un uccello tra i denti. Lo ha portato fino a casa, e quando gli abbiamo aperto la pancia ci abbiamo trovato dentro tre piccole uova.
– Va bene. Ecco. Questo lo tengo io. Stai meglio così, con i capelli sciolti. Adesso portami un sacchetto di plastica.
– Chi c’è di là? C’è qualcuno che sta spingendo.
– È tuo fratello.
– Come fai a saperlo? Ora mi sgrida.
– L’ho chiamato io.
– Come hai fatto a chiamarlo?
– Vieni con me.
– Ma mio fratello è chiuso fuori.
– Ha le sue chiavi. Non preoccuparti.
– Come hai fatto a chiamarlo così in fretta? Mi sgriderà.
– Non preoccuparti. L’ho chiamato prima di venire qua. Buona sera, signor Fazzoni, agente scelto Mijkhele Rovere. Ho già parlato io con Terhesahs. Viene con me. Vero, Terhesahs? Vieni con me?
– Sì. Cosa vuol dire agente scelto?
– Agente scelto vuol dire polizia. Vieni con me, non aver paura.
– Sì. Dove hai messo la mia matita?
– Non è una matita, è un chiodo di ferro. Meglio che lo tengo io, ci si può far del male. E poi è tutto sporco, guarda, anche i capelli ti si sono macchiati.
– Hai pagato il caffè?
– Lo pago domani, te lo prometto. Sali. Ci vediamo tra poco, non ti preoccupare. Loro sono amici miei. Andate, io faccio un salto a casa a prendere l’uniforme.
Salii.
Io penso ancora che quel giorno fosse venuto con i suoi guanti bianchi per uccidermi, e che quello che è successo dopo sia stata solo un’altra bugia.
***
Si risvegliò che già moriva il sole.
Il locale era in una delle vie della città vecchia, stretta e ventosissima; la porta era in legno massiccio, molto scura, e sopra, traendo il vento, una banderuola di ferro battuto a forma di gatto strideva, e sembrava quasi che il gatto di ferro stesse miagolando. Anche dall’esterno si poteva sentire che la musica era già iniziata, e si sentiva una voce femminile accompagnata da un pianoforte; era certo la voce dell’amata. Era davvero una bella voce, da quel che sembrava, e l’altra voce là fuori, la vecchia voce roca della banderuola di metallo, anche se era un suono strano, o forse proprio perché era un suono così strano, e con quel ritmo zoppo e casuale, sembrava l’accompagnamento perfetto per la voce dell’amata, persino meglio che il pianoforte.
Hanso entrò.
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Valmarana: (Legge la lettera. L’uomo mascherato passa uno straccio sul pavimento pulendolo dal proprio sangue.) “Avevano il ventre simile a corazze di ferro e il rombo delle loro ali era come il rombo di carri trainati da molti cavalli lanciati all’assalto. Avevano code come gli scorpioni, e aculei. Nelle loro code il potere di far soffrire gli uomini per cinque mesi.” (Pausa. Valmarana riflette. Borbotta. Soprapensiero, prende una pera e inizia a mangiarla. Prende degli appunti, continuando a mangiare la pera. Borbotta. Dopo un po’ si accorge di aver mangiato la pera. Lunga pausa. L’uomo mascherato continua a pulire. Valmarana riprende a mangiare la propria bambina. Lontano campanello d’allarme, di volume debolissimo. Valmarana si alza dalla sedia. Zoppica vistosamente.) Ora anche i piedi. CRAC CRAC. Anche loro, solo che stavolta fa male, i piedi non sono mica denti. (Pausa. Sottovoce) I piedi non sono mica denti. (Voce normale) È cominciata ieri: tutto come al solito, ho preparato gli anestetici, ho controllato gli esemplari ovvero quello che ne rimaneva, mi giro e CRAC! un volo tremendo. (Pausa.) Come le capocchie di due grossi chiodi qui, all’attaccatura della caviglia. Nervi infiammati. (Muove i piedi nel vuoto.) Che roba. Che roba. Prima i denti, ora i piedi, domani le mani, dopodomani i ginocchi, e alla fine sarò del tutto accartocciato, sarò del tutto accartocciato. (Pausa.) Tutto accartocciato. (Pausa. Tocca una scatola sul tavolo) Un nuovo esemplare: fresco fresco. E verranno un giorno anche per me, a mettermi in una piccola cassa di latta, non mi riconosceranno nemmeno da tanto sarò rinsecchito, e poi mi spediranno a Brušek, o a un suo assistente. (Pausa.) Chissà quanti sono gli assistenti di Brušek. Chissà quanti ce ne sono tra lui e me. Chissà se un giorno sarò anch’io come lui, se avrò anch’io un aiutante da intrappolare dentro le scatole di latta. (Pausa. Apre la scatola. Ne tira fuori una lettera. Legge) “Gentile dottor Valmarana, (sorride con amarezza) ci siamo; finalmente nessun effetto collaterale. Nell’ultima spedizione troverà un esemplare che ha risposto positivamente al test. Ho praticato due tagli nei fianchi dell’animale, perfettamente rimarginati. Ho quindi deciso di procedere con la seconda fase. Ho tagliato in due l’esemplare, longitudinalmente. Alla prima applicazione, le due metà si sono perfettamente rimarginate, e l’animale stava bene. Accludo le istruzioni per la corretta applicazione della pomata. I prossimi esemplari saranno…” (Interrompe la lettura) Funziona. Una volta brevettata, le applicazioni possono essere infinite. La Pomata Cicatrizzante abolisce le conseguenze delle ferite. La Pomata Br–– Sì, gli ospedali, senza dubbio… In casa… ovunque… ogni persona vorrà avere un tubetto della Pomata Brušek… ogni persona… La Pomata Cicatrizzante Brušek abolisce le conseguenze dei fatti di sangue, abolisce le conseguenze degli spargimenti di sangue. (Pausa.) Quando ero a Varsavia ne ho conosciuto uno. Un domatore polacco. Mi ha raccontato qualcosa sul suo mestiere. Fanfaluche, naturalmente. I domatori sono così. La terza volta che ho incontrato Brušek è stata quando ho portato i miei due figli nei suoi laboratori. Il domatore mi ha raccontato che il mestiere del domatore si tramanda di padre in figlio, ma la scelta del futuro domatore spetta alle pantere nella gabbia. Il bambino cammina davanti alle pantere, fissandole negli occhi. Le pantere puzzano da far schifo. Non li ho più rivisti, i miei due maschietti. Mia moglie, lei avrebbe preferito avere due femmine. Diceva che i maschi son troppo rudi, troppo violenti. Brušek, Brušek ormai è morto. E lui era gezwungen, era costretto. È per questo che lavoravo per lui.
VALMARANA: (Recita con desolata efficienza lo spot della Pomata Cicatrizzante) Bende e cerotti, addio! Finalmente ultimata e collaudata da e su esseri umani, la Pomata Cicatrizzante Brušek abolisce ogni sia pur minima conseguenza di qualsiasi tipo di ferita o mutilazione con armi da taglio. Pomata Cicatrizzante Brušek. La pornografia non sarà più la stessa, con la Pomata Cicatrizzante Brušek. Gli interrogatori alla Centrale di Polizia saranno fino a dieci volte più gustosi di prima, con la Pomata Cicatrizzante Brušek. Garantita per ogni genere di ferita o mutilazione con qualsiasi tipo di arma da taglio. Ricordate: Pomata Cicatrizzante Brušek. Ora bende e cerotti sono preistoria. Un tubetto in ogni casa. Pomata Cicatrizzante Brušek. Chiedetela al vostro droghiere. Ora finalmente ogni spargimento di sangue non sarà che un semplice passatempo per tutta la famiglia. Ora finalmente ogni spargimento di sangue non sarà che un semplice passatempo per tutta la famiglia. Ora finalmente ogni spargimento di sangue non sarà che un semplice passatempo per tutta la famiglia, per tutta la famiglia, per tutta la famiglia… (Sfumando.)
SIPARIO
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“Quand’è così, io per me, guarda… io per me ti assumo anche subito”. Sarahs, che nel frattempo aveva dimenticato il vero motivo per cui era finita dentro la libreria, restò quasi interdetta. Il libraio si scusò, “Ah! ma non avevo finito…”, dicendo, “non avevo finito di spiegarti che cos’è il lavoro… cos’è il lavoro… il lavoro… il lavoro… bene: ti dicevo, ci sono clienti che vengono una tantum…”, e riprese il discorso da dove l’aveva abbandonato, spiegando a Sarahs come ci fossero certi affezionati clienti che avevano preso l’abitudine di venire nella libreria del signor Tomasi solo due o tre volte l’anno, e in ognuna di quelle visite acquistare e ordinare parecchi libri. “Solo che poi, capisci, tutti questi libri… tutti questi libri, non possono portarseli via così, sono decine e decine di libri, decine e decine… che loro ordinano… li ordinano e poi però li lasciano qui e noi glieli portiamo poi, il giorno dopo… decine… il giorno dopo o quando riusciamo, perché a volte… a volte… a volte i libri non li abbiamo qui, devono venire loro, da lontano, i libri…”, poi, come per rassicurare Sarahs che quell’impegno a consegnare la merce non sarebbe stato fonte di ansie e preoccupazioni, “Insomma non c’è un termine… un termine fisso di consegna, capisci? loro lo sanno che noi abbiamo… abbiamo… come dire, i nostri tempi, i nostri… la nostra onda… bene: i libri hanno la loro onda, e loro lo sanno. Il tuo lavoro sarebbe anche questo… quello di fare le consegne, che io e mia moglie… io e lei… te l’ho detto… non riusciamo… non riusciamo più… tutti quei libri…”. Il signor Tomasi, con l’aria tramortita di chi veramente ha appena scaricato una montagna di libri, si mosse verso un piccolo cassetto, e ne tirò fuori un quadernetto nero. “Ecco, questo è… è… il taccuino dove ci sono… ci sono gli indirizzi dei clienti… vedi? ma vieni… vieni qui vicino che ti mostro… ti mostro dove sono… nessuno è troppo… troppo lontano, sai? vieni… i libri… le strade…”
***
I teschi degli elefanti venivano scambiati per teste di ciclopi morti. Schiacciando i lamponi con la lingua e assaporandone il succo, Rosahs pensava Ecco, ora mi avvicinerò di scatto, gli pinzerò la punta del naso e gli dirò cretinetto, cretinetto, cretinetto, credevi, vero, che stessi dormendo, quella sera? e inizierò a torturarlo, a calciarlo e canzonarlo, a farmi inseguire su e giù lungo la pozza, fin sotto la cascata, sempre dicendo, cretinetto, guarda il cretinetto che mi credeva addormentata! Lo voglio finalmente fare arrossire di vergogna, per la sua viltà e per la sua colpa verso la memoria del mio povero amante, e verso la mia; voglio che pianga e che chieda perdono, ecco, continuerò a lottare fino a che non chiederà perdono, continuerò a lottare contro questa bellezza fino a quando non mi si getterà ai piedi finalmente arresa, e perché si arrenda la inseguirò senza tregua fino a stremarla come un leone strema la preda, e mi nasconderò contro la roccia e prenderò il falso colore di una pianta per farla cadere in trappola, e la incalzerò fino a quando io stessa non riuscirò più a muovere un solo altro passo se non per schiacciare il cuore del ragazzo sotto la punta dei miei piedi come ora schiaccio in bocca questi lamponi, ecco, come i lamponi, ecco, ecco, ecco, io continuerò a lottare e a lottare contro questo maledetto Glaucho, io continuerò a lottare…
***
Però è venuto davvero a trovarmi. Era gentile e mi ha detto che dopo che siamo andati via gli altri hanno trovato il corpo del ragazzo dietro i cespugli. Avevo fatto una fatica tremenda a portarlo fino lì. Hanno trovato miei capelli incastrati nelle sue dita e la mia pelle sotto le sue unghie, ma io non so come hanno fatto. Mijkhele mi ha detto che forse non dovrò stare qui per tanto tempo, e mi ha portato una scatola di colori e dei fogli di carta. Ho disegnato la prigione ma al posto della gente ci ho messo degli animali, e anche un coniglio vestito da poliziotto. Una ragazza, quando ha visto il mio disegno, si è messa a piangere.
Quando hanno fatto vedere agli avvocati le foto del mio dipinto lungo il bancone ero disperata, perché era tutto rovinato dalle ginocchia dei clienti. Hanno anche fatto vedere in grande la faccia del coniglio tutta rovinata, e io ero rossa come un pomodoro per la vergogna.
Quando è venuto a trovarmi, Mijkhele mi ha raccontato che quella volta era passato dal bar solo per dare un’occhiata, perché una signora aveva telefonato, aveva sentito le mie urla e le urla del ragazzo quando ho preso il chiodo. Il ragazzo aveva gridato così forte che la signora si era spaventata e aveva chiesto che qualcuno andasse a controllare. Mijkhele mi ha detto che quando si era accorto della punta di ferro che avevo nei capelli, e di come era tutta sporca, si era spaventato a morte. Era da poco che lavorava nella polizia, e era passato di lì dopo aver finito il lavoro, solo per giocare al detective.
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«No, in realtà, il vero problema, il problema cioè turbativo che il barsàla pone, è il problema delle proprie origini, e con ciò dell’origine dell’uomo. Il fatto che il primo barsàla sia apparso sulla Terra migliaia d’anni prima della nascita dell’uomo, infatti, implica che, a rigore, non è il barsàla ad essere antropomorfo: siamo piuttosto noi umani che abbiamo l’aspetto di un barsàla, e ne è prova anche la facilità con cui possiamo trasformarci in barsàla, quando ne incontriamo uno. Il pensiero che una creatura marina possa essere identica a noi pur partecipando internamente della natura del corallo è già di per sé sufficiente a generare una certa dose d’orrore; pure, tale orrore è di gran lunga superato da quello che procura la considerazione che Dio, quando volle creare un essere a propria immagine e somiglianza, in verità creò il barsàla. Fu solo in un secondo momento, dopo la cacciata dal paradiso terrestre, che nacque quella squallida imitazione del barsàla rappresentata dall’uomo: egli all’esterno era una perfetta copia del mostro marino, ma, all’interno, non era che una misera marionetta di fango, condannata agli umori e alla putrefazione del sangue e della carne.
Voglia credermi Suo aff.mo
Giacinto Zanna
Città di ***, 14 gennaio 1963»
Fine della lettera del prof. Zanna.
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Prima di andarsene, mi ha anche detto che all’inizio gli era sembrato che fosse tutto a posto, e che si era fermato a parlare con me solo perché i guanti bianchi gli erano scivolati fuori dalla tasca; e anche perché, lì per lì, gli ero sembrata bella.
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…io continuerò a lottare fino a che la lotta non si sarà trasformata in amore.
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Il libraio aveva già aperto il taccuino sul tavolo davanti a sé, con tutti i nomi e gli indirizzi di tutti quegli strani clienti incolonnati per diverse pagine, “Ci sono anche i numeri di telefono”, e Sarahs si era già levata l’impermeabile gocciolante, e alle spalle del signor Tomasi, chini tutt’e due sul libricino, annuiva, mentre l’uomo le indicava dove erano le strade, e quale percorso fare per arrivare in una certa via, indicando con la mano le direzioni proprio come aveva fatto poco prima, quando aveva spiegato a Sarahs com’era fatta la libreria; anche adesso, Sarahs non poteva vedere i luoghi che il libraio veniva indicando mentre li nominava, “Passi di là, lungo il porto…” oppure, piegando il braccio, “Proprio dietro il cinema del centro, sai quale intendo?…” o anche, indicando da un’altra parte, “Dove c’è quel pescivendolo, quello con l’insegna a forma di polpo…” e disegnando la forma del polpo con le mani; però stavolta la vista di tutte quelle cose non era impedita dallo scaffale di libri ma dai muri delle prime case davanti alla libreria, anche loro già visibili a malapena così dietro la vetrina grondante, e con il cielo che ormai metteva a notte.
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(Gianni Sherwood dice che starebbe le ore a guardare quei due mentre parlottano insieme.)
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Clara, quando Luijgi suonava per lei la chitarra o quando lo sentiva muoversi in un’altra stanza, o quando facevano l’amore, sentiva a volte una vertigine in cui si mescolavano il sangue versato per unirsi a quell’uomo, una specie di rancore furioso per la morte di Marjo e una sorta di sordo e furibondo disappunto per il fatto che il suo secondo marito aveva dovuto essere così assolutamente identico al primo, disappunto che talvolta sfociava in odio aperto. In quei momenti, Clara fissava il marito in preda a una totalità vorticosa e contrastante di sentimenti che era per lei come una fiamma inesauribile e un turbine inarrestabile, e allora come in un salto mortale attraverso la tenda e le grida di un circo si sentiva piena di forza e di amore, quell’amore acerbo, nervoso e rabbioso che provava quando aveva diciassett’anni, e sentiva come se fosse stata lei, e non il marito, a dover nascere due volte, e come se la sua vita di prima e la sua vita di ora, in quella stessa città che non era più la stessa, in quella stessa casa che non era più la stessa e con quello stesso uomo che davvero non era più lo stesso, fossero due vite lontane nel tempo quanto lo sono l’uno dall’altro i reami delle fiabe, quelle fiabe che iniziano sempre con un re e finiscono sempre con un matrimonio e con la promessa per tutti di vivere, da allora in poi, felici e contenti.
FINE
[continua il 22 aprile]