Essendo la provincia generalmente priva di grande varietà quanto alle proposte culturali (spesso, nelle città di buona tradizione, singole manifestazioni concentrate nel tempo), la GIPSI si presenta assai cinematizzata per necessità ancor prima che per vocazione. Pizza e cinema, brrrr che emozione. Preghiere e imprecazioni alternate per invocare le novità e verificare il ritardo di film ampiamente recensiti e usciti nelle grandi città; fiato del Moloch mercantile sulle poche sale disponibili, in via di smantellamento; deprecazione, attraverso i titoli prevalenti, della pochezza dei tempi. Ma poiché la GIPSI è anche una generazione massicciamente televisizzata, per tracciare una sommaria genealogia di temi, autori ed opere, bisogna far interagire la programmazione oratoriale con quella dei nascenti canali privati.
La cinematografia dei già citati Spencer ed Hill ha fornito alla GIPSI maschile un modello di amicizia molto commestibile dalla prima adolescenza di contesto provinciale. Un’amicizia cioè mai esplicitata, hemingueiana ma fatta di muto soccorso, manesco, nel momento del bisogno. Niente smancerie o equivoche intimità, linguaggio quasi ridotto all’onomatopea, ma botte da orbi ai nemici: pedagogia assai gradita alla mentalità concreta della provincia nordica, alla rudezza in cerca d’individualità dell’adolescenza. Nello stesso tempo l’amicizia si presentava come una sorta di condanna superiore, un campo magnetico elettivo che quando il grasso e lo smilzo s’erano giurati eterna lontananza li riportava insieme, malgrado loro, appena giunti ai due capi opposti delle strada. Dunque veniva accolto l’inespresso bisogno di fedeltà assoluta oltre le censure dell’orgoglio, lo slancio biologico a crescere insieme verso l’indefinito.
Alla GIPSI in formazione, anche per immaginario, servivano punti di riferimento credibili e certi nell’ambito del maschile e del femminile, nonché delle loro interazioni. Furono rinvenuti in ottica GIPSIM (M = Maschile) in Edwige Fenech e Alvaro Vitali. La prima quale sintesi più alta e propria delle molte attrici che ne hanno incarnato il medesimo idealtipo (più che semplice personaggio). Una femminilità evidente, in prima battuta, ma sempre velata di cortine di doccia, impedita da barriere/divieti (uniformi, per esempio, età), quindi come irraggiungibile. Come poi le depotenziate Ornelle Muti, Amande Sandrelli o Giuliane De Sio delle successive commedie dei comici anni Ottanta. Lei però tette enormi e sode ma nello stesso tempo senza peso, sorrette da una morale esemplare, tollerante e pungente talvolta, mai cinica e umiliante, d’Italia gran provinciale. Capace all’happy end da novella classica di concedersi all’adolescente perso e ciavarro (ma anche, spesso, bruttino e occhialuto, e quindi consentaneo alla GIPSI), scartando il potere, il prestigio, il denaro in forma multipla di commendator Banfi. Padri, datori di lavoro, superiori come la solitaria ballerina di Bertolucci.
Quanto al Vitali, dando vita al personaggio di Pierino, rappresentava esattamente, e molto più di Luke Skywalker o Indiana Jones, nei quali troppo larghi panni ci si poteva calare solo in modo fantasioso e maldestro, la condizione dolorosamente metamorfica della GIPSIM. Aspetto da bambino dalle voglie smisurate e dinamitarde per sé e l’ambiente. Azzeccato quindi il grottesco infantile, vero carcere di un’individualità prepotente, sconosciuta e coartata, da mimetizzare con vergogna. Mentre solo lo sguardo, necessariamente sbieco e nascosto (per impulso socio-provinciale interiorizzato) rivelava lo spalancarsi puberale del desiderio. Ci riferiamo qui, come ovvio, al canonico buco della serratura da cui Pierino osservava la porzione di reale non/consentita e vedeva di rimbalzo se stesso, e come dal barile delle mele Jim Hawkins, la nuda verità.
Per ciò che pertiene alla GIPSIF (F = Femminile) il primo uomo nudo sullo schermo fu per moltissime Sergio Fantoni in uno sceneggiato incautamente consigliato dalla prof. del ginnasio, che molto poi in classe se ne scusò. Ma questo è solo un dettaglio di colore. Poiché gli uomini venivano offerti dal mercato in maniera assai più abbigliata delle attrici, come manifesti sulle pareti craniche assai meno contavano dei cantanti del periodo. La cui presenza scenica – dal vivo – e la voce riascoltabile all’infinito in cassetta (rispetto all’apparizione su grande schermo operante un attimo in mancanza di videoregistratore) causavano un ben maggiore infestamento di quelle presenze fantasmatiche nell’immaginario femminile. Spiccavano comunque a livello di sineddoche i pettorali gonfi, rigorosamente glabri, di Harrison Ford e Richard Gere. Quest’ultimo, in Ufficiale e gentiluomo, poteva presentare le sue credenziali in ritornello rock – Vieni principessa, ti porto via con me – e comune volo in moto. Oppure chi pure non disdegnava per sé il modello Diane Keaton (ma non mai il modello Allen come amante) non risultava insensibile alla celebre battuta di Fino all’ultimo respiro: “Non fare la doccia, si deve sentire che abbiamo scopato”.
Più sottile e convincente, seppur non del tutto compatibile con una ben strutturata ISF, risultava il paradigma di altri film del periodo; uno per tutti Alla ricerca della pietra verde. In cui la protagonista parte blandamente intellettuale (come può consentirlo un film USA), timida e con qualche problema, per arrivare, tramite l’incontro fisico con l’eroe maschile (a sua volta spesso centauresco, quale l’archeologo da biblioteca e foresta Indiana Jones), ad una trasformazione radicale di carattere, già contenuto, si suggerisce, in potenza, in ogni spettatrice. Verso cioè l’indipendenza da ogni limite quotidiano esplicata soprattutto in amore per il pericolo e intraprendenza sessuale. Ecco quindi un’altra icona del cambiamento che poteva catalizzare le pulsioni informi dell’adolescenza in uno sbocco gratificante e rassicurante, in una sintesi arricchita che riportava a casa l’eroina ormai per sempre tale nella fermezza dello sguardo. Ben altre però e più accidentate dovevano risultare le vie di formazione della GIPSIF. Intendiamo i molteplici cicli notturni e televisivi del Ghezzi, o con intro di Vieri Razzini o Claudio G. Fava, che hanno segnato di nero le occhiaie e gli sguardi, con tutti quei Bergman e Truffaut e Atalante, delle giovani licantrope.
I rapporti della GIPSI con l’altro sesso sono talvolta intermittenti talaltra frenetici, ma sempre problematici. Rappresentano un altrove vivamente tallonato (Andrea) o proiettato nel vuoto (Albi) ma sempre sfuggente. Capace però di rivoltare la vita (Essenza). L’altra persona rappresenta cioè il punto che scavalca i limiti e si pone in parallelo, strettamente intrecciato, ad un altro luogo, un altro spazio socio-culturale. Ancora, se scovato in loco, sarà l’alter ego che va a rifinire l’uno, completando come un doppio Transformer l’arma da fuoco contro il mondo. Qui, nel rifiuto di ogni amore dialettale, nasce però il problema. Pedagogico e pigmalionesco tra le pieghe di un compromesso non troppo disonorevole. Dunque o una serie di tentativi eterogenei e in fine fallimentari, un campionario di storie buffe e dolorose (Andrea), oppure la grande selezione di pallide figure rifratte sul lungo viale del tramonto (Albi).
Una possibile terza via è l’incesto interno alla GIPSI. Si danno rari casi, miticamente indicati, di legami liceali prolungati per un decennio. Il sogno molto GIPSI di totale condivisione e crescita comune, che mostra però, ad occhi estranei, una curiosa, a volte mostruosa, forma di senilità precoce. Aperta a molteplici digressioni con estetiste o maestri di tennis. Fino al divergere, magari minimo ma definitivo, dei progetti di vita, con dissolvimento rancoroso che comporta il deflagrare tellurico all’interno della più vasta GIPSI amicale, con micidiali lacerazioni, schieramenti retoricamente ben sostenuti e contro-schieramenti.
Certo le difficoltà amorose della GIPSI sono spesso causate dall’esistere della GIPSI stessa: quale campo d’influenza e di giudizio in cui va inserirsi il/la nuovo/a in arrivo. Un vaglio pesante da sopportare per l’avventizio/a e il suo portatore, che produce infatti, il più delle volte, la secessione d’una monade che se ne va, per vergogna e orgoglio, a vivere in solitudine il suo sogno d’amore. Come vecchio indiano affronta da solo la morte per la GIPSI sulle colline, esce come folle fachiro dal corpo comune, proiettando nello spazio il suo desiderio individuale e ridicolo. Per tornare poi, in genere, ad aggiungere l’obolo espiatorio d’una storia al capitale delle citazioni collettive.
Nel caso evidente di Essenza la GIPSI risulta il limite, tenacemente scelto, che si fa immediata alternativa e concorrenza al nuovo legame. Lo si direbbe in ogni caso e non solo quando il nuovo è politicamente urticante, diventando intruso; certo in questo secondo caso, più di anti-GIPSI che di non-GIPSI, l’allontanamento appare inevitabile e si configura come tradimento, la memoria esecranda. Uscire dalla GIPSI si può percepire dunque riposante e liberatorio. Può accadere anche il movimento contrario, cioè che sia la new entry, sostanzialmente integrata nella cultura provinciale, a percepire, dopo un certo periodo di tempo, il limite inedito della GIPSI (che, va ricordato, è in primis un sistema di esclusioni), e si defili quindi deliberatamente in buon ordine per sopravvivere. Oppure, più combattiva, ponga un’alternativa radicale rispetto alla quale il membro GIPSI non ha per altro difficoltà di scelta, in un senso o nell’altro. Poiché il contesto GIPSI diviene allora una precisa cartina di tornasole: purtroppo ripudiarlo o mantenerlo significa comunque ripudiare se stessi.