Stando a quanto Walter Siti ha dichiarato, e a meno di eventuali ripensamenti, I figli sono finiti (Rizzoli, 2024) resterà il suo ultimo romanzo: poi scriverà altro. Visto che le ragioni della decisione perentoria non sono solo di origine biografica, meritano un approfondimento. In effetti, alcuni indizi si fanno largo in questo romanzo, quasi a indicare che la soluzione che aveva trovato per rianimare una forma discussa sembra aver esaurito le possibilità tanto da indurlo a passare oltre.
Rispetto ai commenti e alle discussioni che suscitano, in questo libro le azioni dei protagonisti sono meno determinanti di quanto non sia accaduto nei romanzi precedenti. Prive di efficacia in vista di un fine concreto – l’efficacia in questa storia è preterintenzionale o del tutto involontaria – sembrano ridursi a semplici manifestazioni vitali di organismi in affanno. I due personaggi attorno ai quali il libro cresce vivono entrambi sospesi dall’esperienza comune: Augusto, professore di francese in pensione, vedovo di Enzo, con un cuore in prestito e un desiderio erotico altalenante ma mai sopito; e il suo vicino di casa Astóre, orfano di madre, giovane diplomato in ritiro sociale non per fragilità ma a causa di un risentimento crescente nei confronti della famiglia disgregata e di quella che ritiene la storia emotiva del genere umano (la cui sola salvezza, a suo avviso, risiede ormai nel superamento di sé e nella fusione con i microchip più avanzati).
In entrambi i casi la rete è indispensabile alla sopravvivenza. Nella quotidianità di Augusto per i portali porno e le piattaforme di incontri erotici omosessuali a pagamento; le pagine dell’intera Pléiade non bastano infatti a superare una notte insonne. Per Astóre, la rete funziona invece quale fonte primaria di informazione (a cui tenta con difficoltà di imporre una gerarchia), quale strumento per immaginare un avvenire e mezzo per il sexting con un’amica. Ma l’affanno dei due protagonisti è ancor più evidente nei personaggi di contorno: Bruno, bisessuale coniugato, soccorritore di Augusto, ora alle prese con i problemi dei figli; Federico, altro amico di Augusto, con l’ansia da prestazione di chi lavora nell’ambito del marketing digitale, incapace di superare la scommessa sulla moda del momento, per non parlare di Piero, il padre indolente di Astóre, contemplativo in più di un senso. Infine Franco, la più recente incarnazione nel mondo di Siti del formidabile modello palestrato che si prostituisce, oggetto d’amore di Augusto, alienato rispetto al proprio corpo – come nota l’autore – che ritiene di impiegare in modo vantaggiosamente strumentale. Le donne per lo più sono assenti, se si eccettuano alcune apparizioni come Gloria, Antonia e Sofy, di norma più libere, ma non incisive.
Se quasi nulla va come dovrebbe, in un mondo in cui i mezzi sembrano essersi allontanati dai fini questo accade in misura maggiore, persino nel rapporto erotico mediato da uno scambio consapevolmente mercenario, o in quello rappresentato attraverso lo schermo digitale. Il cerchio così non riesce a chiudersi né per Augusto, sempre più affaticato a nutrire il desiderio, né per Astóre, acuto e velleitario. Nel libro prevale la storia del professore, di cui Siti si dichiara scriba partecipe, velata di un tono cupo che il travestimento sarcastico non vuole coprire per intero.
Come d’abitudine, Siti è efficace nell’intuire la condizione di isolamento dei personaggi. Il giovane Astóre, assertivo e scontroso per mancata esperienza nelle relazioni, vagheggiando di realizzarsi in una dimensione post-umana finisce per interpretare il suo sogno come un mutamento collettivo già avvenuto. Di fronte alle sue domande brusche, talvolta Augusto accenna soltanto a una risposta che attinge alle sue competenze letterarie; non le ritiene più condivise dall’interlocutore a cui parla, anche se la propensione metrica torna in Astóre in modi prepotenti e lui si ritrova a registrare su un quaderno versi di una modernità fra surreale e dadaista. In altri casi, cercando una sintesi impossibile che possa suonare familiare e gradita al giovane, Augusto si esprime per formule esemplari. Il problema di questa comunicazione che caratterizza le dinamiche del nostro presente – e di cui Siti è ben consapevole – non è tanto quello di riassumere in un’unica frase il fatto che nella Storia tutto è già accaduto, quanto di comprendere la durata del tempo che il destino ci ha concesso e magari anche di osservare che vivere in una democrazia o sotto una dittatura non assume lo stesso significato. Tuttavia, per diventare discorso, nel racconto queste considerazioni reclamerebbero un respiro più ampio, che la stagione – rileva Siti – sembra al contrario negargli: per questo, oltre alla musica pop, riemergono i versi, più vicini alla cultura orale, e riemergono gli aforismi. La poesia ritorna non solo come deformazione professionale di Augusto, da Charles Cros a Vigny, da Baudelaire a Rimbaud e a Leopardi, con qualche richiamo a Dante, a Montale e infine a Pavese.
La tendenza all’espressione aforistica ricorre soprattutto nella seconda parte del libro, e deriva appunto dalla necessità di esprimere il commento a un’azione in forma memorabile. Ne segnalo alcune: «il sesso è la bugia con cui la specie umana cerca di darsi importanza», «il vantaggio della solitudine è che ti esonera dal mondo», «la letteratura è un mito in scadenza», «l’altruismo è il rifugio dei falliti», «sono così impegnati a definire quello che sono che si dimenticano quello che vogliono», «la vita è una farsa pretenziosa e inutile», «il grottesco è la musa del nostro tempo», «la litania degli scrupoli sarà la vostra marcia funebre».
Se la struttura del romanzo è limpida e poco appariscente, questa tendenza sapienziale, come già altre infrazioni magistralmente gestite da Siti (prima fra tutte quella di discutere la voce narrante, di cui commenta in nota le debolezze, ad esempio le metafore insistite nella descrizione del corpo maschile) portano il racconto oltre i confini di una quotidianità incognita e quindi al di là del territorio abituale del romanzo, verso un’espressione più densa e adatta a essere riusata. Verso la poesia, appunto, o verso il mito, ragione prima del viaggio a Cnosso dell’ultima parte, che si svolge per flashes allucinati e in fondo inverosimili. Minotauro divorava la vita dei giovani come oggi lo fa l’Intelligenza Artificiale Generativa, ma lo faceva in modi manifesti e codificati dal rito. Di fronte alla realtà digitale il giovane, negando ogni forma di istruzione tradizionale, arriva a confondere l’alba delle sue possibilità col crepuscolo di una concreta realizzazione sociale delle sue intuizioni. Troppo intelligente per cadere nella trappola di chi appende la propria vita al numero di follower, fra mille impressioni non sa trovare una strada che possa diventare la sua.
Del resto, il problema non ha natura concettuale. Sia rimuginare sulla Pléiade, come fa Augusto, sia ignorarla per seguire l’ultima scoperta dei chip innestati in un corpo umano risultano nel racconto atteggiamenti sterili. Senza un respiro più ampio, l’espressione personale non trova spazio per venire in luce. Lo scoramento del professore rischia di ridursi a una sorta di fatalismo provvidenzialista ipnotizzato dai corpi che non riesce più a possedere a sufficienza, mentre la pretesa di Astóre di definirsi aprioristicamente solo in virtù del proprio essere – negando dunque al fare, ossia al tempo dell’espressione, un valore effettivo – lo spinge in modo inavvertito verso un destino muto. I giochi sarebbero fatti, se non fosse per alcune sorprese che il libro riserva, nelle quali, sotto il sarcasmo, si apre lo spazio all’umiltà dei gesti concreti.
Per quanto nella narrazione le sue risorse possano impressionare – per non risalire troppo indietro rispetto a questo libro, penso alla parte catanese de La natura è innocente – quando nel romanzo Siti vira verso il saggio la sua voce suona sempre originale, anche se si tratta delle prospettive del mondo digitale. In fondo qui si radica parte della meritata fama che la sua opera ha guadagnato nel corso del tempo. Il suo lavoro si è spesso risolto nello sviluppo narrativo di un tema saggistico e nel commento diffuso di un’azione narrativa, ragion per cui la voce narrante, il Walter Siti come tutti, si è rivelata tanto decisiva. È questa che dà coerenza al racconto, si tratti di un’opera di finzione – dove appare, appunto, più mediata – oppure di un ricordo autobiografico come lo splendido ritratto che Siti ha scritto per Francesco Orlando, apparso quest’anno nella silloge Letteratura ragione represso dedicata allo studioso dalle Edizioni della Normale di Pisa. È una voce su cui si può fare affidamento. Se in questa forma il romanzo non è più riscattabile, staremo dunque a vedere quale sia, dal suo punto di vista, una proposta diversa.